mercoledì 14 ottobre 2020

ALSO SPRACH MARIO MAGNOTTA




A Roberto Pasquini

A Daniele Ercolani

A Lorenzo Ceccotti

A Raffaele Martirani

A Alessandro Napoleoni

A Nicola Bonimelli

A Antonio Recupero

A Paolo Sutera

A Michael Rocchetti

A tutti i fratelli in Mario sparsi in questa valle di lacrime 

Nella sua stupenda introduzione ai Salmi, Guido Ceronetti esalta la capacità di Diamanda Galàs, artista la cui potenza vocale è pari solo alla sua intensità blasfema, di evocare la potenza del sacro nella sua interpretazione satanista delle invocazioni veterotestamentarie.

Un'intuizione che potrà scandalizzare i bigotti e i dogmatici, non certo chi, come il sottoscritto, è cresciuto ascoltando in eguale misura i madrigali di Monteverdi e la più alta manifestazione della rivolta antiteistica dall'Inno ad Arimane di Giacomo Leopardi in poi: mi riferisco ovviamente all'ultima telefonata del primo scherzo telefonico a Mario Magnotta.

Ben prima delle infinite possibilità di divulgazione immediata offerte dai social, fin dalle elementari, sono stato testimone e partecipe di questo fenomeno di diffusione virale, accostabile solo a quello delle censuratissime musicassette pirata delle canzoni di Vladimir Vysotskij nella Russia sovietica: non con la spesso irresponsabile facilità di un clic, ma solo col paziente lavoro di registrazione su un nastro, potevano risuonare trionfali le evocazioni magnottesche nel chiuso della nostra cameretta, trasformata da ogni pressione del tasto play in un tempio di ancestrali divinità animali.

Per chi, come il sottoscritto, faceva squillare trionfante la memorabile conversazione registrata il 16 settembre 1987, come un ipnotico basso continuo, sulla metropolitana accanto alle suore o, direttamente, sul sagrato della chiesa di zona all'ora della messa, è evidente la portata filosofica di rivolta antimetafisica del grido di Magnotta.

Siamo oltre Camus, qui si contempla un moderno Giobbe, l'incarnazione dell'archetipo dell'uomo che si scontra con l'eterno enigma della teodicea.

Come il pastore errante nell'Asia (e torniamo a Leopardi), Magnotta si chiede il perché dell'ingiustizia perenne a cui ontologicamente l'Uomo è sottoposto.

Lo scherzo a Magnotta è, innegabilmente, il vertice del Novecento, il secolo di Kafka, Bulgakov, Joyce, Beckett.

Nella sua eruzione finale vibra tutto il dolore del Dasein, quello che nei testi vedici viene chiamato Dukha, la necessaria sofferenza collegata al ciclo di morte e rinascita.

La tragedia dell'uomo medio davanti all'impossibilità di comprendere l'assurdità dell'esistenza: neanche Luis Buñuel ha minimamente sfiorato le vette surreali dell'intreccio magnottesco.

Potete anche non credere all'astrologia, ma non è certo un caso che Magnotta sia nato a poche ore di distanza da Friedrich Nietzsche, il grande martellatore, colui che ha sparso il tremendo annuncio: "Dio è morto!".

E se ha ragione il mistico Silesius ("So che senza di me, Dio non può un istante vivere: / se io divento nulla, deve di necessità morire"), ognuno può riconoscere la suprema vertigine teologica nella frase forse più famosa della telefonata: "PER VOI MAGNOTTA È MORTO!".

Uno schiaffo ai non iniziati, ben superiore ai compiacimenti aristocratici di un Guénon.

Se poi aggiungiamo l'inquietante caso di parziale omonimia con un serial killer cannibale canadese, l'allegoria eucaristico-dionisiaca mi pare cristallina.

Inoltre, al di là dell'esegesi più squisitamente teologica, Nicola Bonimelli mi faceva notare anche il tema marxiano del rapporto alienante tra sottoproletariato e macchina: un tema forte nella riflessione filosofica dal celebre Frammento sulle macchine di Marx fino ai moderni Deleuze e Fisher.

Tema, declinato su fronti ideologicamente antitetici, in maniera cruciale da Heidegger e Jünger.

Ma andiamo sulla filologia: vi invito a non cedere alla seduzione, facile quanto ingannevole, di concentrarvi sul finale del primo scherzo (il secondo, per quanto dilettevole, è chiaramente un artefatto apocrifo, un mosaico di consapevoli autocitazioni).

Il crescendo epico, più wagneriano che rossiniano, del finale, oltre a essere un gesto atletico superiore a quello di Eminem in Rap God (la leggenda delle otto bestemmie consecutive senza fiato), oltre a configurare un'estasi mantrica, oltre a essere un generatore di frasi entrate per direttissima nel parlare comune ("Mi iscrivo ai terroristi" su tutte), oltre a essere un manifesto filosofico dal valore universale è, in primo luogo, un vertice estetico che trova il proprio senso in quanto compimento di un lento, progressivo, inesorabile montare di furia iconoclasta.

Non ha senso ascoltarlo, o meglio se ne smarrisce il 60% di detonazione comica, senza aver seguito attentamente l'intero corso della telefonata: il tono cordiale e amichevole dell'inizio, il coup de théâtre della chiamata del Direttore da Milano, l'invenzione pirandelliana del personaggio della Signora Cinque, le iniziali scocciature, la falsa umiltà, il tono accomodante, la prima indispettita bestemmia, scappata come un "Poffarbacco", davanti all'insolubilità kafkiana della situazione, l'indignazione, il richiamo a leggi primordiali come Fiducia e Rispetto, la scissione fra scritto e orale esemplificata dal contratto fantasma: solo dopo ha senso l'ascolto dell'esplosione finale.

Sarebbe come ascoltare l'aria della Regina della Notte, senza aver seguito la vicenda de Il Flauto Magico.

Hanno fatto benissimo due degli amici a cui è dedicata questo indegno omaggio, artisti peraltro stimatissimi, a comporre un mosaico sonoro soltanto di "Eeeeh....ooohh....eeeeh...oooh" tratto dalla telefonata, smarcandosi dalla pur nobile tradizione che ha ispirato una serie di remix dei momenti salienti della telefonata incrociati con celebri canzoni (consiglio la reinterpretazione di Twist and Shout, probabilmente il momento in cui parte il coro è la cosa che fa mi più ridere di tutti i tempi).

Lì, in quelle pieghe del dialogo, in quelle frasi smozzicate, in quei brevi battibecchi, in quello sfregarsi dialettico di fioretti, giace il vero Genio e la vera Bellezza.

Leggiamo insieme:

"B : Sì, vabbe', comunque ecco, a parla' chiaro se va...

M: Be'!

B : Tu te piji 'sta lavatrice...

M: Nooo... io non me piglio niente, pijolo te.

B : Allora stai a fa lu strunzu.

M: I steng'a fa ju strunzu sci! Senti, mo m'hai rotto proprio i coglioni!

B : Aaaaah... ma allora parli pure così...

M: Ma! Se, mo vengo esso..., senti un po' 'na cosa, io non la voglio la lavatrice va bene?

B : Ma se te la portemo?

M: E portamela, ma chi, e chi te la paga?

B : Ah, non paghi?

M: Non pago perché io... senti!

B : Ma l'atra la sci pagata, allora?

M: La so' pagata sci!

B : Ah, sci sicuro?

M: O freghete! Quella lavatrice dell'81, io te la so pagata sì, l'ho pagata, e come mai dopo 6 anni mi vieni a rompere i coglioni?

B : Allora, a me non me risulta.

M: Come?

B : Non me risulta.

M: Perché sei un truffatore tu! Tu sei un truffatore, perché tu non l'hai pagata alla signora Cinque, perché io non lo sapevo che... che la lavatrice della San Giorgio la teneva in conserzione la signora Imberri perché sennò sarei andato da Imberri, no da te!

B : Ah sì?

M: Aeeh.

B : Ah, fai pure 'sti, 'ste sozzerie?

M: 'Ste sozzerie le fai tu, arrivederci!"

(tratto dal sito della Turbo Zaura, la consegna della prima copia del cui Manuale di Conversazione Metropolitana, saccheggiato da tutti i comici romani degli ultimi 25 anni, sancì la mia amicizia col citato LRNZ).

Un intreccio musicale, uno scontro dialettico che fa sembrare Plauto un epigono di Brignano.

Sia lode eterna a Antonello De Dominicis e Maurizio Videtta, le menti semidivine da cui è scaturito tutto ciò, coloro che con l'incipit memorabile: "Pronto, Bontempi, chi è, la signora?", hanno schiuso le porte all'ingresso in scena dell'Eroe di campbelliana memoria: "No. So' Magnotta".

Neanche James Bond, neanche Ken Shiro.

A livello di influenza culturale, non posso non citare il fumetto Magnotta Wars (Magic Press), di Antonio Recupero e Fabrizio Di Nicola, che sancisce finalmente l'ingresso del Mario nazionale nelle grandi icone pop della contemporaneità.

Regalatelo ai vostri figli, e ditegli: questa è la carezza di Mario Magnotta.

I più attenti avranno capito che il motivo di questa prolusione è semplice: oggi ricorrono i natali di Mario.

Ebbi la fortuna di festeggiare in persona il compleanno del Nostro, in un locale sulla Casilina, anche se non ebbi l'onore, meritato, che ebbe il mio amico Alessandro Napoleoni di comparire accanto a lui in video (video che trovate su Youtube, Mario Magnotta all'Alien del 17-04-2003).

Questo è un mio tenero, commosso, indegno omaggio.


Grazie di tutto, Mario, il tuo "NO NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO" fa vibrare ancora i tre mondi, l'urlo fiero e disperato dell'Uomo in Rivolta contro il dolore di essere uomini,


lunedì 9 dicembre 2019

Non c'è due senza uno. Il sosia del sindaco.









Erano mesi che non riaprivo questo mio impolverato diario telematico.
Mi è sembrato giusto farlo per parlare dell'artista che fu la scintilla di questo stesso blog incendiario: quell'adorabile malandrino di Maicol&mirco (proprio lui che mi definì "Il Pierino della Cultura").

Soprattutto, è obbligatorio farlo dopo che questo scapestrato così si riferisce alle nostre estenuanti esegesi della sua opera in QUESTA intervista pressoché definitiva del valente Gabriele Ferraresi:

"Adriano Ercolani ti ha accostato a nomi importanti, uno su tutti Samuel Beckett, e tu hai risposto: “Io Beckett non l’ho mai letto”. Però ti volevo chiedere quali sono i tuoi riferimenti, cosa è stato importante nella tua formazione?

Adriano è il motivo per cui siamo qui ora, nel senso che è il primo che ha scoperto cosa erano Gli Scarabocchi. L’ha scoperto prima di me. Si è accorto che erano se non un fumetto qualcosa di diverso, qualcosa di più, ci ha affondato le mani dentro per primo. Non a caso l’introduzione al primo libro dell’Opera Omnia l’ho affidato proprio a lui, perché è lui che mi ha fatto scoprire me stesso".

A questo punto, da suo esegeta storico, non ho potuto non notare una mastodontica anomalia: da alcuni giorni Gli Scarabocchi SEMBRANO rappresentare (ma non è così) un personaggio reale e non fittizio.
Qualcuno di molto simile al Sindaco di San Benedetto del Tronto.

Blasfemia! 
Eresia! 
Scandalo!
Ovvero, i temi caratteristici degli Scarabocchi.

Abbiamo chiesto spiegazioni alla più simpatica canaglia dell'Esistenzialismo contemporaneo.
Leggete, se avete il coraggio.


Ma cosa succede, finalmente rappresenti un personaggio reale?
Irreale come sempre. Tratto solo irrealtà lo sai. 




Ti sei dato alla satira politica?
La striscia del sosia del sindaco non è satira, come Gli Scarabocchi non sono strip.
Sono sempre fumetti, travestiti da altro, ma fumetti. Solo quello so fare io: fumetti.
Poi nelle mie storie mi occupo non di persone ma di personalità, non trovi né Renzi né Salvini né il papa, ma i Renzi, i Salvini e i papi che da sempre intralciano la storia.
Sono fumetti acronici, come la storia stessa, acronica in quanto circolare. Quindi in questa striscia non c'è l'attuale sindaco di San Benedetto del Tronto, ma il sindaco in assoluto,
quindi tutti i sindaci, di San Benedetto, delle Marche, d'Italia e del mondo. Il mio sindaco e il tuo sindaco (c'è chi dice sia addirittura Beppe Sala, il sindaco di Milano).



Quindi stiamo ancora nell'ambito del fumetto?
Esatto. 
Un fumetto nato però da un caso di cronaca giudiziaria locale (come tante opere di tanti autori), quella di un sindaco che sostanzialmente querela una pagina facebook omonima, rea addirittura di sostituzione di persona.
Chiaramente una situazione paradossale, vista la palese attitudine satirica della pagina stessa. Ma quello che mi ha colpito è un meraviglioso e nuovo meccanismo comico: quello di un personaggio pubblico terrorizzato di apparire per quello che poi siamo tutti: un uomo comune con difetti comuni. In tantissime opere comiche il meccanismo funzionava al contrario, penso a "Fracchia la belva umana" (per rimanere nel mito), in cui un comune cittadino veniva scambiato per un famosissimo criminale. Oppure in film come "Non c'è due senza quattro", in cui due uomini comuni sfruttano la loro somiglianza con quella di due fratelli miliardari.
Qui è una roba diversa: ho fatto tanto, sono arrivato tanto in alto e ora c'è il rischio di essere preso per un omino qualunque (nel caso specifico un cantante principiante). Meraviglioso. Tutti noi si dice abbiamo sette sosia nel mondo. Cosa comporta?
Siamo in qualche modo responsabili della loro condotta? In tempi così superficiali basta avere la stessa faccia per avere le stesse colpe o meriti? Sono le nostre azioni a determinarci o le nostre somiglianze? 
J. G. Ballard rideva di un attentatore che venne arrestato nonostante avesse simulato un attentato con una pistola finta. Diceva: il prossimo attentato alla regina avverrà a opera di qualcuno armato di un semplice cartello con sopra scritto ATTENTATO.
Come poteva questo paradosso, un sindaco preoccupato non di essere ma di sembrare, non diventare una mia storia?
Essere o sembrare?
Non solo debbo preoccuparmi delle mie azioni, ma anche di quelle dei miei sosia?




Spiegaci bene la differenza tra un personaggio di fantasia e uno reale.
Quello di fantasia non esiste. Quello reale esiste solo per un pugno di anni. Questo breve lasso di tempo, che chiamiamo vita, che influenza può avere in faccia all'eternità? Smettiamo di distinguere la realtà dalla fantasia per favore. Posiamo l'orologio.



È lo stesso principio di quando spieghi la differenza tra una bestemmia o un'atrocità reale e una disegnata negli Scarabocchi, insomma?
Prendersela con la fantasia è solo un modo per svilire la realtà. E la realtà non ne ha assolutamente bisogno, masochista com'è.
La storia che la penna ferisce più della spada è una storia messa in giro dai venditori di spade. 
Deresponsabilizziamo la fantasia e responsabilizziamo la realtà.




Speriamo di vederti solo dietro una prigione di carta. Certo, dopo dovrai disegnarci le arance da portarti.
Mi divertirò a disegnare soprattutto le etichette delle arance, sono sempre bellissime.






Avrai molto tempo in carcere per disegnare, a quale opera ti dedicherai nelle pause dei lavori forzati?
"Le vostre prigioni", spero non vi offendiate, ma io coi fumetti sono evaso.


Segnaliamo l'evento del 20 dicembre organizzato da Rifondazione Comunista con l'autore.

lunedì 25 marzo 2019

Il secolo beat - Jazz reading su Radio 3





In occasione dei cento anni di Lawrence Ferlinghetti, Radio 3 omaggia il "secolo beat" con un jazz reading dedicato a I Sotterranei di Jack Kerouac (QUI il link per l'ascolto).

La line up del jazz ensemble che accompagnerà il reading è la seguente:
Dimitri Grechi Espinoza, sax contralto, sax tenore
Gabriele Evangelista, contrabbasso
Simone Padovani, percussioni
Vladimiro Carboni, batteria

Voce recitante sarà Marco Cavalcoli, tra gli attori più versatili e prolifici del panorama attuale (ne abbiamo parlato QUI, QUI, QUI, QUI e QUI).

Dei rapporti tra la prosa di beatnik e be bop abbiamo già parlato altrove (QUI).


Riportiamo qui l'incipit del romanzo I Sotterranei, forse il più riuscito esperimento della prosa beat:
"Ero una volta giovane e aggiornato e lucido e sapevo parlare di tutto con nervosa intelligenza e con chiarezza e senza far tanti retorici preamboli come faccio ora; in altre parole questa è la storia di uno sfiduciato che non è piú padrone di sé e insieme la storia di un egomaniaco, per costituzione e non per facezia — questo tanto per cominciare dal principio con ordine ed enucleare la verità, perché è proprio questo che voglio fare. — Cominciò una calda notte d'estate, sì, con lei seduta su un parafango quando Julien Alexander che sarebbe... Ma cominciamo dalla storia dei sotterranei di San Francisco".

Un appuntamento di grande interesse per tutti gli appassionati di musica e letteratura.

mercoledì 13 marzo 2019

La leggerezza dell'essere - Elio Crifò tra Kundera e Schopenhauer





Vi abbiamo già parlato di Elio Crifò, soprattutto in relazione al suo EsotericArte, uno degli spettacoli più interessanti degli ultimi anni.

Rievochiamo brevemente alcune delle considerazioni che abbiamo proposto in passato:

- ne abbiamo parlato QUI sul Blog de il Fatto Quotidiano, definendo lo spettacolo ""EsotericArte, una brillante panoramica sulla storia occulta dell’Arte italiana, in cui, con giocoso tono da gigione beffardo, l’attore getta luce sull’immenso patrimonio di conoscenza esoterica sottesa ai capolavori dell’architettura e della pittura, soprattutto, medievale"

- avevamo precedentemente scritto QUI:
"Si potrebbe riscrivere l’intera Storia dell’Arte occidentale leggendo in tralìce l’immensa mole di messaggi occulti, codici simbolici, riferimenti esoterici che non solo appaiono nelle più celebri opere, ma ne sono di fatto sostanza d’ispirazione e fondamento strutturale.
Questo è l’assunto, interessantissimo, di EsotericArte: i misteri nell’arte Italiana. Un viaggio tra esoterismo, simbologia, numerologia, una ricerca colta e inusuale condotta da Elio Crifò (...)
Uno spettacolo colto, brillante, non convenzionale, il cui valore si apprezza solo al termine del percorso"

- ci rifacciamo sempre alle parole perfette di Chiara Babuin in QUESTA sua recensione:
 "l’intento di Crifò è quello di spodestare la visione scientista, tecnocratica e falsamente progressista (ricordiamo la distinzione pasoliniana tra Sviluppo e Progresso) che ormai governa il contemporaneo, in favore di un recupero – o di una presa di coscienza da parte del pubblico – di quel legame arcaico, ancestrale che era il fondamento del Sapere delle più grandi civiltà che hanno solcato questa terra".



Sabato 16 marzo alle ore 18.00 presso la Sala del Senato del Convento dei Domenicani a Roma (piazza della Minerva, 42) l'attore presenterà, accompagnato da Rosario GorgoneLa leggerezza dell'essere, evento organizzato da Terre Sommerse in collaborazione con la società Active Piano.

Già leggendo i nomi collegati all'evento (Rosario, Gorgone, Minerva, Convento) emergono atmosfere degne di un romanzo esoterico medievale.
Abbiamo chiesto a Crifò di illuminare i significati di questo evento suggestivo.



Come presenteresti l'evento di sabato?
Sabato presenterò un prototipo di pianoforte, l'innovativo Active System Piano, un connubio tra piano elettrico e piano tradizionale. Ho pensato quindi di creare una presentazione che riportasse lo stesso connubio tra tradizione e innovazione. Musiche classiche contemporanee suonate dal compositore Rosario Gorgone, unito al mio stile espositivo, contemporaneo nell'enunciazione e nella scrittura, classico nei costrutti filosofici.



Quali temi e quali autori affronterai?
La leggerezza dell’essere è un immersione nei fondali incantati della filosofia e le composizioni sonore di Gorgone sono sirene che guidano i sommozzatori-spettatori in questo paradiso sottomarino.
Un pianoforte ci tuffa nel mar della serata emettendo note di soave armonia. Note che sono ossigeno di sopravvivenza. Il piano arpeggia, vibra, vola... per poi discendere, acquistare peso e poi sprofondare nelle gravità dei suoni più cupi.   
Davvero la leggerezza è positiva e la pesantezza negativa? Questo si domandava Milan Kundera nel primo capitolo del suo famoso romanzo e questo ci domandiamo noi all’inizio dello spettacolo. Si parte da Kundera e dagli “opposti” di Eraclito per inabissarsi nell’eterno ritorno di Nietzsche, poi nella forza dell’inconscio di Schopenhauer, poi nelle grandi intuizioni di Emanuele Severino, poi nelle critiche di Umberto Galimberti... sino alla relatività di Einstein e capiremo, alla fine del viaggio, che oggi abbiamo una concezione dell’Universo identica a quella di 2600 anni fa! La filosofia ha battuto la scienza già da millenni. Ed è proprio Einstein che evidenziava la piccolezza della scienza rispetto all’immensità della filosofia, in quanto, per Einstein, “solo il Pensiero domina la realtà”


 Come nasce il tuo interesse per le tematiche esoteriche?
Dal suo opposto, la materialità, ossia una commissione per un testo sull'arte medievale. Da lì mi sono imbattuto nei simboli. I simboli rimandano a contenuti sapienziali, a formule filosofiche, a quel pensiero del trascendente e del sacro che ha basi molto più ampie del Cristianesimo, che ha una riflessione sul divino adeguato ad un adulto, che non appartiene alla catechesi di massa ma che mira alla realizzazione di una via diretta tra l'individuo e Dio... e, a un certo punto, ti rendi conto che le religioni monopolizzano il concetto del sacro. Le grandi religioni dicono: il sacro siamo noi o quantomeno la via. Li guardi bene, li frequenti, conosci la loro via e... cambi strada, perché quel sacro di massa, non può interessare a chi interessa veramente il sacro.
 D'altronde se vuoi comprare il cibo genuino non vai certo all'ipermercato!



Qual è il tuo metodo di ricerca?
Aver smesso di ricercare scritture e aver iniziato a ricercare un senso del mio lavoro. Il mio lavoro è un arte e l'arte dona la possibilità d'interessarsi di qualunque disciplina per poi riversarla creativamente in parole, gesti, fiati, emozioni concrete. L'arte è un mondo inaccessibile ai professionisti, perché i professionisti sviluppano competenze ed eseguono, al massimo interpretano, ma nessuno crea. E la creazione è ricerca.


 Quali sono i tuoi progetti in cantiere?
Sopravvivere felice in questo mondo infelice.

martedì 5 febbraio 2019

Tutti gli articoli di Novembre, Dicembre e Gennaio





Care lettrici, cari lettori
queste sono quasi tutte le cose che abbiamo pubblicato da fine Ottobre a oggi.

William Blake ,Dante running from the Three Beasts

Su minima&moralia abbiamo parlato di:
Verlaine QUI
LRNZ QUI
Patricio Pron QUI
William Blake, Dante e Alan Moore QUI
Davide Martirani QUI
David BowieMarco Cavalcoli QUI
Suspiria di Luca Guadagnino QUI
Pillola Rossa o Loggia Nera? di Paolo Riberi QUI
Wislawa Szymborska con Luigi Marinelli QUI


Su Il Blog de Il Fatto Quotidiano abbiamo parlato di
I 50 anni del White Album QUI
Lo spettacolo Esotericarte e l'intervento urticante di Odifreddi QUI
Quelli che per noi sono migliori spettacoli del 2018
 (Davide Enia, Rezzamastrella, Andrea Colamedici) QUI
Il Bagno di Diana di Pierre Klossowski QUI

                                                   
Chet Baker
Su Repubblica XL abbiamo parlato di:
Le Icone del Rock di Tania Bucci QUI
I Villani di Don Pasta QUI
A Dictionary of Sound di Teho Teardo QUI
Moni Ovadia QUI
Oona Rea QUI
Rock Lit di Liborio Conca QUI
Lo spettacolo Chet! QUI
Enrico Pieranunzi e Roberto Gatto QUI
Ivan Talarico e Claudio Morici QUI
MARLENE D. di Riccardo Castagnari QUI
Music for Wilder Mann di Teho Teardo QUI


Su D.A.T.E. Hub

Una selezione dei libri più interessanti del 2018 QUI

Su Ultima Voce abbiamo parlato di:
Jesus Christ Superstar QUI
Claudio Morici e Ivan Talarico QUI
Banana Split QUI

A Love Supreme, John Coltrane

Su Alexanderplatzjazzclub:
Louis AULEI Siciliano QUI
Roy Hargrove QUI
Elisabetta Antonini QUI
Il Blues nel Tempio del Jazz QUI
Rosario Giuliani QUI
Reggie Washington QUI
Benito Gonzalez QUI
Roberto Sironi QUI
Alessandro Contini QUI
5 pezzi Jazz per Natale QUI
A Love Supreme di John Coltrane QUI
Bruce Ditmas QUI
L'influenza di A Love Supreme QUI
Javier Girotto QUI
Omaggio a Frank Zappa QUI
Marcello Rosa QUI
Enrico Pieranunzi QUI
Mingus di Joni Mitchell QUI
Elisabetta Antonini QUI
il Jazz al femminile QUI
Rita Marcotulli QUI
Sara Della Porta QUI
Luca Velotti QUI

Maria Callas


Su Spezzando le manette della mente abbiamo parlato di:
Valentino Bellucci QUI
Teho Teardo QUI
I Villani di Don Pasta QUI
Tiresia interpretato da Camilleri QUI
Le Ninfee di Monet QUI
Maria Callas QUI
Gli Scarabocchi di maicol&mirco QUI
Raccolta fondi per Vincenza Guzzo QUI
Ocean Vuong e Michele Sganga QUI
Marco Cavalcoli QUI
Gianni Amico QUI
Fabrizio De Andrè QUI

Rudolf Nureyev

Su Icone Metropolitane
Rudolf Nureyev QUI

Abbiamo esordito su Laziocrazia con un omaggio a Eugenio Fascetti QUI

L'intervista su Radio Elettrica QUI

A parte, ci sono stati gli incontri di 7 Libri per 7 Chakra alla Libreria Passaparola di Via della Balduina a Roma, la presentazione di maicol&mirco al MacroAsilo, gli incontri su David Bowie a Bassano del Grappa e al Cinema Trevi a Roma.

In tutto ciò, è partito il progetto degli SpinDoctors con gli amici di Tlon:




Questo è solo l'inizio.

venerdì 11 gennaio 2019

Fabrizio De Andrè, il cantore dei cattivi divenuto santino dei buoni








In occasione dei venti anni dalla morte di Fabrizio De Andrè ripubblico l'ultimo parte di un articolo fluviale che vi avevo inferto su questo blog poco più di sei anni fa, all'interno di un trittico dedicato all'ultimo disco di Guccini che diventava occasione per riflettere sui grandi del cantautorato italiano (rileggendolo lo trovo estremamente severo nei confronti di Francesco De Gregori, che ho rivalutato molto negli ultimi anni). L'articolo integrale lo trovate QUI


De Andrè: snobbato per anni e dopo la morte divenuto un santino anarchico, anche lui vittima della potenza delle sue parole, più forti del suo essere selvaticamente refrattario a miti e bandiere.

Al colmo delle esagerazioni, Fernanda Pivano, lo definì il “più grande poeta del Novecento italiano”.
Del resto, c'è chi ha accostato la Silvia di Leopardi a "Albachiara" di Vasco.
E qui mi fermo, altrimenti contraddirei il mio primo post in cui ho affermato di essere contrario alle bestemmie...

Vogliamo tutti bene alla Pivano, che tradusse Lee Masters Fitzgeraldi beat e Dylan  in italiano, ma era certo una persona facile alle iperboli.
 Definì’ Dylan “L’Omero del XX secolo”, per poi dire "sarebbe necessario che invece di dire che Fabrizio De André è il Bob Dylan italiano si dicesse che Bob Dylan è il Fabrizio De André americano", facendo commuovere il cantautore genovese.
Nella parabola della simpatica scrittrice c’è tutta la decadenza della cultura di sinistra in Italia.
Una carriera iniziata con Pavese, continuata incontrando Hemingway,  Kerouac  e Burroughs ,  e finita incensando Ligabue.

Una differenza fondamentale nella personalità creativa di De Andrè lo fa il rapporto con le influenze, nel suo caso molteplici e tutte d'alto livello.
Il De Andrè degli anni '60 è senza dubbio sotto l'influenza  dei cantautori in lingua francese, Brel e Brassens sopra tutti, ma anche Cohen (Dylan lo scoprirà relativamente tardi)

Ora, se siete arrivati fino a qui avrete capito che amo le digressioni, e probabilmente non vi dispiacciono molto, altrimenti mi avreste già inviato mail piene di sputi telematici.
E' obbligatorio un omaggio a uno dei più grandi artisti popolari del Novecento (non solo come cantautore ma anche come interprete): Jacques Brel.
Non francese, ma fieramente belga.

Brel, come si suol dire, dà una pista (ma di quelle da maratona) a la stragrande maggioranza dei cantautori a lui contemporanei (in tutto il mondo).
Ribelle vero in tempi non sospetti (parliamo degli anni '50), fu creatore di melodie indimenticabili, dal respiro popolare eppure dalla raffinata composizione. 
Rinomata è la precisione maniacale dei testi, traboccanti della capacità autenticamente poetica di cogliere oscuri nodi interiori ed restituirli in versi memorabili.
Fu soprattutto una creatura poetica, un uomo in cui ogni fremito nervoso, ogni intensa espressione facciale esprimevano sentimenti profondi, reali, ardenti.
Un'artista fonte di verità umana.
Nemico d'ogni improvvisazione, del mito romantico dell'ispirazione, in questo d'accordo con BaudelaireBrel era un artista dalla rara consapevolezza creativa:



Brel ha scritto forse la preghiera d'amore più bella del mondo:  "Ne me quitte pas".
Se è vero che Gigi Proietti lo ha magnificamente canzonato come 
emblema dell'esistenzialismo intellettualoide francese:



è pure vero come diceva il già citato Baudelaire: “Creare luogo comune è genio”.
Chissà che avrebbe pensato il grande poeta , lui che negli stessi appunti di questo aforisma, divideva  l'umanità in  due categorie: uomini e belgi …

E poi, l'incontenibile, drammatica, inarrivabile presenza sul palco di Brel. In confronto alla sua intensità dal vivo, Iggy Pop (che infatti lo ama) è un composto pianista da “Piano bar”(ah, altra canzonetta di De Gregori...).
Basti confrontare le due versioni di "Amsterdam"
quella straziante e travolgente di Brel




con quella, pur degna, del cantante che ha portato all'epitome la teatralità nel rock, cioè Bowie, così intelligente da studiarlo e omaggiarlo:

Pagato il giusto tributo all'amato Jacques, torniamo al buon Faber.
Il legame di De Andrè con la canzone francese è così profondo da approdare e legarsi alla tradizione letteraria delle ballate medievali di Francois Villon (“La ballata degli impiccati”“Il testamento”) ma anche da raschiare dal barile dei moralisti del '600.
In tanti anni, pochi si sono accorti di come il verso forse più bello e proverbiale di "Bocca di Rosa" (“Si sa che la gente dà buoni consigli/ quando non può più dare cattivo esempio”) sia un furto dal moralista supremo, La Rochefocauld.  Furto astutamente attenuato dal "si sa,."...


Ma poi, a differenza di De Gregori, pur procedendo a tentoni tra varie influenze, il cantautore genovese ha saputo creare una propria forte e inconfondibile personalità autoriale.
E’ stato, soprattutto, sempre coerente e integrato con la sua poetica, incentrata su l'identificazione col diverso, in tutte le sue più grottesche e tragiche declinazioni: l’ oppresso, l’  umiliato e offeso,  l'alienato, “sfruttato represso calpestato odiato” (insomma tutti gli aggettivi del fratello figlio unico di Rino Gaetano).
Una sorta di “Desolation Row” (da lui tradotta miseramente sempre con De Gregori, fino a cambiarne addirittura il senso) lunga tutta una carriera, un microcosmo anti-borghese abitato da icone popolari quali il matto, il tossico, il fallito, la puttana,  il trans, il nano, quest'ultimo anche nelle sue versioni meno apprezzabili: il nano che si vende la madre, (anzi compra quella altrui),  il nano giudice infame.

Nel primo caso il riferimento ovviamente è a una delle più riuscite "commedie umane" balzachiane in tre minuti del primo De Andrè“La città vecchia”.
Canzone nata non solo come atto d’amore per il porto malfamato di Genova, ma per divenire ritratto e manifesto dell’umanità che popolava quei vicoli brulicanti di vita e peccato.

Nel secondo caso,( “Un giudice” ) assistiamo alla vetta espressiva dell'odio di De Andrè verso l'autorità in genere,.
Un tema ricorrente  (si pensi a “Il Bombarolo" o a "Il pescatore”),  espresso stupendamente nel verso di un'altra canzone dello stesso album,  "Un medico"
"un giudice, un giudice con la faccia da uomo".
Differenza antropologica dei giudici...ricordate chi l'ha detto?!!
Del resto Silvio e Faber cantavano sulle navi insieme...

Fa ridere come tale atteggiamento di rivolta contro la giustizia istituzionale abbia come padri nobili Bakunin e Malatesta, e  come ignobili eredi attuali Sallusti e la Santanchè.
Torniamo  al rovesciamento pasoliniano operato dal Potere, analizzato nel primo post:
gli opinion leader dell’opposizione localizzati a sinistra parlano di autorità e legalità;
TravaglioDe MagistrisDi Pietro (nel suo caso fin dal nome del partito),  in un paese normale sarebbero figure di destra, di una destra liberale e legalitaria;  la destra, invece, attacca la Giustizia e predica la “libertà”, con rivendicazioni e linguaggio da anarchici, non da ex-fascisti, men che mai da moderati.
Qui mi è imposto il richiamo al più grande analista politico degli ultimi 20 anni.
Ovviamente, Corrado Guzzanti:





L'originalità e la grandezza di De Andrè sono molto nell' aver cantato la cruda realtà dei sottofondi, con una simbiotica aderenza formale.
Pur attingendo, come visto, a destra e a manca (ma il tesoro della canzone popolare è stato ed è, oggi più che mai, saccheggiato a piene mani dallo stesso Dylan), De Andrè è stato in grado di creare, e incarnare, dei "tòpoi" validi per il cantautorato mondiale.
Se ci pensiamo  un attimo, “Where the wild roses grow" è la versione dark e omicida de
 “La Canzone di Marinella”.
Tornando a Baudelaire, nella misura in cui Faber ha creato qualche luogo comune, dobbiamo riconoscerli un certo genio.

Anche qui, già che ci siamo, spazziamo via un po' di stereotipi.

De Andrè, rinomato per i toni depressivi e funebri, ha in realtà aperto le porte della satira nel cantautorato, componendo col suo grande amico Paolo Villaggio la famosa parodia di Carlo Martello (graziosa anche l'altra composizione dei due, "Il fannullone").
Gustatevi quando avete tempo i suoi cattivissimi e divertentissimi ricordi.

                                        Altro grande merito storico, è quello d'aver messo  l'attenzione sui "Vangeli Apocrifi", nel disco "La Buona Novella", anche se operando un'umanizzazione della storia evangelica troppo facile. Un rovesciamento che può si deliziare gli anti-teisti, ma oltre ad essere disturbante per i credenti, è debole e forzoso anche per gli atei onesti.

Il limite di De Andrè è stato quello (comune a tanti grandi artisti "contro") di ridursi alla "pars destruens", e quindi ad esaltare sempre comunque ciò che è oscuro, diverso, illegale.
Certo,  nell' Italia ipocrita e democristiana ipnotizzata dal benessere, benedette le voci coraggiose e discordanti che hanno mostrato l'altra faccia della medaglia.
Ma ora, con distacco storico, possiamo riconoscere che si tratta d'un vizio romantico, di un limite di visione. Per contestare ciò che formalmente è Bene, si simpatizza, spesso forzosamente, per ciò che è Male.
Del resto, il rapporto di De Andrè con la spiritualità è stato alterno, non sempre fecondo, viziato da filtri ideologici (o antideologici che dir si voglia).
Parlo dell'opera, non della santità laica sfiorata nel perdono ai rapitori che lo avevano sottoposto ad un umiliante prigionia assieme alla moglie (rievocata nella fin troppo celebrata "Hotel Supramonte").

E' da sottolineare, osservando la sua lunga produzione, un paradosso illuminante.
De Andrè è sempre stato un autore irriverente, irreligioso, anticlericale, spesso blasfemo.
A volte gratuitamente come in "Coda di Lupo", a volte programmaticamente come ne "Il Testamento di Tito" (brano in cui il rovesciamento polemico dei Dieci Comandamenti  non appare sempre convincente).
Però, se andiamo a vedere la prima traccia del primo disco e l'ultima dell'ultimo sono entrambe "preghiere".

La prima ("Preghiera in gennaio" si dice ispirata dalla morte di Luigi Tenco) così commovente e intensa da vincere  l'effetto datato degli archi e del birignao.

(A PROPOSITO, VI  SVELO UN SEGRETO:
se amate fare parodie oscene di canzoni famose, De Andrè è una manna dal cielo: il tono serio e malinconico, la pronuncia lenta e staccata delle sillabe, la voce impostata, il susseguirsi di rime interne e baciate, tutto congiura a creare tempi comici devastanti.
Usate questo consiglio con cura preziosa, mi raccomando.)

La seconda, "Smisurata preghiera", è il vero testamento spirituale di De Andrè.
E' uno dei vertici della sua maturità poetica.
Una sintesi finale dei diversi stili della sua carriera, dove c'è l'abilità di intagliare versi perentori e perfetti, da manifesto eterno:
 "per chi viaggia in direzione ostinata e contraria/ col suo marchio speciale di speciale disperazione/ e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi/ per consegnare alla morte una goccia di splendore / di umanità, di verità".

Una "Chimes of Freedom" senza visione, un auspicio sospeso tra pessimismo e scaramanzia, ma comunque una preghiera di giustizia. Giustizia che nel finale, coerente con lo scetticismo d'una intera vita, viene considerata, quasi gnosticamente, "un'anomalia".
Una carriera di bestemmie circolarmente conchiusa da due preghiere.


Ma va riconosciuto a De Andrè soprattutto il grande valore di essersi reinventato, con grande lungimiranza,  a inizio anni'80. Prima che i suoi grandi modelli  (come Dylan e Cohen) flirtassero, registrando alterni esiti, con videoclip e sintetizzatori, De Andrè  con "Creuza de ma" mostrava la via dell'l'impasto etnico e  strumentale, donando alta dignità poetica al vernacolo genovese.
In anticipo netto (come riconosciuto da tutti) sul Paul Simon di "Graceland" e su quell' artista benedetto di Peter Gabriel, in uno dei suoi capolavori, "Passion" (Dio lo abbia in gloria anche, solo per il semplice motivo d'aver fatto conoscere all'Occidente la più bella voce in natura, Nusrat Fateh Ali Khan!)

Dobbiamo concedere a De Andrè il dono di aver saputo estrarre dal magma di una ispirazione spesso approssimativa e limitata (la poetica degli esclusi), comunque, dei versi di grande potenza e di profonda incisività, degni d'essere entrati nella memoria collettiva.

Sottovalutato per anni, esageratamente incensato dopo, De Andrè rimane un cantautore importante, che ci ha lasciato in dono alcuni brani d'intatta bellezza, e che anche nei suoi esperimenti meno riusciti, ha mantenuto alta la barra della ricerca.
Un esempio di coerenza e di perfetta aderenza tra forma e contenuto.
Negli ultimi scampoli di questo infernale Kali Yuga, merita d'essere messo sull'altare.