mercoledì 24 agosto 2016

Enrico IV, il cortocircuito tra Volontà e Rappresentazione #LEgidadiAtena


Luigi Pirandello è stato l'autore che probabilmente ha rappresentato con maggiore profondità di sfumature psicologiche i temi eminentemente novecenteschi della frammentazione dell'io, dell'illusorietà ingannevole di ciò che appelliamo reale, del contrasto tragico e straniante tra le proprie proiezioni mentali e la percezione discordante dei fenomeni attorno a noi.
Temi sviluppati con abissale sguardo da una corrente sotterranea di filosofi e sapienti occidentali, tra i quali Schopenhauer s'impone certo come colui che più esplicitamente e (anti)sistematicamente ne ha raccolto l'immensa eredità.
Eredità di cui Nietzsche sarà in seguito l'interprete più furioso e carismatico, proprio nel momento in cui tenterà, impossibilmente, di liberarsene.
Eppure, ben prima di Goethe ed Holderlin, ben prima dei Neoplatonici, ben prima delle riflessioni supreme di Meister Eckhart e Silesius (tensioni sublimi che sfondano i limiti del pensiero in largo anticipo sulle elucubrazioni cartesiane), ben prima delle riconosciute radici greche di tali riscoperte moderne (i Misteri Eleusini, la tradizione orfico-pitagorica, Eraclito), tali intuizioni erano patrimonio comune, quasi scontato, della tradizione orientale.
Come per noi lo sono ora le categorie kantiane, così per la sapienza cinese, indiana e persiana, i temi su cui s'incaglieranno le menti elaboratissime di Joyce, Kafka e (con più arroganza) Sartre, fino ed oltre Heidegger, erano l'inizio di ogni discorso metafisico.
Le vette del pensiero filosofico moderno occidentale sfiorano le fondamenta di quello orientale.
Ciò che per "noi" è il vertice, per "loro" è la base.
Una base che rende le indicazioni "noi" e "loro" del tutto sciocche nella loro clamorosa erroneità.
Del resto, è tutto logico: l'albero della riflessione occidentale è tutto rivolto verso l'esterno, quello orientale verso l'interno. Inevitabile che, per la legge della polarità, i due percorsi contrapposti si siano mossi in senso inverso, fino a recentemente sfiorarsi, dopo un millenario percorso di avvicinamento, in una congiunzione fatidica.
Le ultime scoperte della fisica post-quantistica sono innegabilmente conciliabili con i presupposti della saggezza vedica.
Ne abbiamo parlato (QUI) con una delle figure eminenti del CERN.


Queste riflessioni sono sorte dopo la lettura di una riduzione a fumetti del capolavoro di Pirandello, l'Enrico IV, opera in cui il genio siciliano mette in scena con maestosa nitidezza espositiva i temi già affrontati magnificamente in Così è (se vi pare)  e già elaborati nella lunga gestazione di Uno, nessuno e centomila (che uscirà nel 1926, quattro anni dopo il debutto dell'opera in oggetto al Teatro Manzoni di Milano).


Pirandello spezza l'oscillazione del pendolo schopenhaueriano tra dolore e noia, esponendo la storia di una follia volontaria, in cui il protagonista si avvolge del velo di Maya fino a squarciarlo, trovando un'impossibile noluntas nell'adesione folle e totale alla Rappresentazione: il modo più tragicamente esplicito per denudare la vanità illusoria del nostro io.

L'autore della riduzione fumettistica, il giovane Lorenzo Bianchi, certo non può essere accusato di mancanza d'ambizione: questo tentativo segue quello già proibitivo de L'Uomo delle Stelle, racconto a fumetto della vita di David Bowie.
Bianchi si affida ai disegni di Angelica Regni, come nel caso di Bowie a quelli di Veronica Veci Carratello.


Nella trasposizione si nota un affine sguardo registico, un'ambientazione simile, più che altro come atmosfera interiore: il protagonista smarrito nel labirinto mentale del proprio genio o della propria follia, la cui alienazione regale è trasposta fisicamente in un castello immaginario, proiezione irreale delle proprie edificazioni mentali. Entrambi personaggi che incarnano la crisi della propria personalità: una scissa nella finzione folle di un impossibile ruolo storico, l'altra sublimata in un serie di maschere, di innumerevoli alter-ego, di vite parallele ben più reali (e divenute immortali nella trasfigurazione estetica) di quella convenzionalmente intesa come vera.
Due sfide mastodontiche, necessariamente invincibili, ma che denotano una già delineata personalità autoriale. 
Sappiamo come Bianchi stia da tempo riflettendo su un progetto altrettanto ambizioso e impegnativo, una sorta di monumento fumettistico alla decadenza.
Di più non possiamo dire.
Noi, che apprezziamo l'incoscienza di gettarsi in progetti che spaventerebbero i più, non possiamo che incoraggiarlo a trasferire il suo intento dal vago e sicuro regno del potenziale al pericoloso e limitato mondo dell'atto.
In un mondo di accidiosi criticoni, ben venga chi si espone incurante a critiche, potenzialmente anche feroci, in nome dell'espressione della propria creatività.


domenica 21 agosto 2016

Carlo Sperduti e l'arte del racconto breve e paradossale #LEgidadiAtena


Tra gli autori di racconti brevi emersi in Italia negli ultimi anni, Carlo Sperduti si impone come tra i più sottili e intelligenti.
Un'intelligenza sottile che si è manifestata con metodo nell'accorto esercizio del proprio talento: numerosi ormai sono i racconti da lui pubblicati, in cui Sperduti, come in un laboratorio di parole e concetti, ha affinato, rodato, oliato gli ingranaggi del racconto breve, cercandone la formula aurea.
Il tutto sempre guidato da una Musa munifica quanto inaffidabile, un faro dalla luce accecante ma capricciosamente intermittente: l'umorismo paradossale.
L'esperienza ha portato Sperduti a corteggiare la Musa con accortezza ed a farsi guidare con discernimento dai lampi improvvisi e irregolari del faro prescelto.
A differenza, ad esempio, di Alessandro Bergonzoni, Sperduti non ricama la sua prosa di continui paradossi, non segue il filo delle associazioni (il)logiche, procedendo narrativamente di svolta in svolta, tracciando ad ogni bivio un percorso creato da un nuovo gioco di parole. D'altra parte, nemmeno schiera i suoi bisticci concettuali come fossero molotov pronte ad essere gettate contro il buon senso comune, nello stile di Antonio Rezza, che persegue metodicamente una decostruzione linguistica, specchio deformante, e per questo fedele, della propria dissonante ricerca filosofica.
Non ritengo nemmeno si possa associare al padre nobile del genere Lewis Carroll, i cui limerick fluviali avanzavano imponenti sull'onda del ritmo, della rima, delle associazioni libere e fulminanti.


Sperduti, ci sembra, procede in altro modo, più consapevolmente letterario rispetto ai primi due esempi, meno irrazionalmente spensierato rispetto al terzo, ingombrante maestro: trovato il calembour riuscito, il paradosso illuminante, la freddura ispiratrice egli non si limita a porla nella lista delle felici intuizioni.
Da scrittore avvertito, tecnicamente preparato, vi costruisce attorno un racconto coerente, solido, plausibile. Solo alle prime, sorprendenti battute, l'esposizione appare faceta, causa la molla iniziale (la sostituzione di una lettera ad un'espressione comune che ne ribalta il significato, un'assonanza audace che squarcia di luce inquietante la saggezza boriosa di un proverbio), ma in realtà il racconto è svolto col massimo rigore logico-deduttivo, fino alle prevedibili, inesorabili conseguenze che ciascun sillogismo narrativo imponga, data l'assurda premessa.
Dunque, è una detonazione controllata a scopo dimostrativo, un monito beffardo e ineludibile sulla vanità della logica lineare, delle convenzioni temporali, dei condizionamenti culturali, delle trappole insite nel linguaggio stesso come indizi eclatanti dei buchi neri del pensiero.
Grande precedente è Raymond Queneau, certamente, non a caso riscopritore di Hegel tramite Kojéve (e quindi abituato a confrontarsi con la dialettica identitaria tra reale e razionale).
Stilisticamente, in Italia il nome che sorge alla mente è indiscutibilmente Achille Campanile, per quanto alcuni giochi di parole abbiano un effetto comico più simile a quello ingenerato dalle improvvisazioni di Totò (genio antitetico a quello dello scrittore romano, che difatti non lo entusiasmava).
Campanile, più di Flaiano, proprio perché mentre il secondo (geniale osservatore del grottesco quotidiano) si limitava ad annotare sfondoni inconsapevoli ed irresistibili nel suo Frasario Essenziale ("Mio marito è ipocondriaco: sodomizza tutto!", "Le ha fatto un'iniezione sotto Catania"), il primo sapeva costruire in due battute un cosmo narrativo (le celebri, appunto,Tragedie in due Battute), facendo leva sulla forza esplosiva di un paradosso che violasse i limiti del pensiero.


Due sono i testi di Sperduti che sottoponiamo alla vostra attenzione, entrambi pubblicati dalle Edizioni Gorilla Sapiens.
Il primo, Lo Sturangoscia, è scritto a quattro mani con Davide Predosin, altra brillante penna amante del paradosso e del gioco linguistico (segnaliamo il suo libro notevole fin dal titolo Alcuni stupefacenti casi tra cui un gufo rotto) e presenta degnamente le qualità dei due autori.
Partendo dall'invenzione di un fantomatico strumento a fiato in grado di estrarre la tristezza fisicamente dal corpo (allusione parodistica al Pranayama?), i due autori allestiscono un concerto epistolare di deliranti botta e risposta, puntellati di raggianti antinomie, acrobazie nonsense, inconciliabili accostamenti, su un tappeto ordinato e costante di giochi linguistici, talvolta geniali, talvolta divertenti fino alla diuresi, talvolta prevedibili.
Era dai tempi di Chiedi alla polvere di John Fante che una lettera non ci faceva scoppiare a ridere così tanto (in quel caso per il crudo cinismo che la ispirava):
"Gentilissimo mentecatto, le scrivo innanzitutto per ricordarle il disprezzo che nutriamo nei suoi confronti. Destinato a una fulgida carriera, lei si ostina a gozzovigliare come se non dovesse prima o poi, come tutti, rendere conto al Creatore.".



Da amanti della letteratura, e da studiosi dei meccanismi moderni che essa innervano, i due autori giocano sul finale con le convenzioni del racconto contemporaneo, mantenendosi furbescamente in bilico tra dileggio e fedeltà.
Un libro che si legge in tre ore, ma che rimane nella nostra mente anche a lettura conclusa, una come una poesia di Palazzeschi recitata da Paolo Poli.


Sottrazione, invece, ci conduce nell'officina letteraria di Sperduti: se i primi tentativi (Un tebbirrile intanchesimo e altri rattonchi e Caterina fu gettata) potevano farci pensare ad una versione sardonica e aspra di Gianni Rodari, per l'immediatezza infantile del dispositivo narrativo, in questo caso il dogma che si impone l'autore è matematico nella sua insensatezza: 34 racconti disposti per ordine decrescente di lunghezza.
Qui emergono i grandi maestri di Sperduti, a cui l'omaggio si tributa nella accurata parodia: Julio Cortázar, sopra tutti, ma anche il Borges più lieto e chestertoniano.
Nel racconto forse meno decifrabile della raccolta, Pareti discordanti, la lezione kafkiana della brevità illuminante, filtrata dai grandi sudamericani citati, si riconosce nello sguardo claustrofobico che contempla ad occhi sgranati il grottesco che possiede il reale, fino al più emblematico dei finali: "Finalmente ero diventato impossibile".

Sono letture solo apparentemente "divertenti", bensì, più profondamente, divergenti.
Dal percorso obbligato della massa chiassosa nel deserto della mediocrità.

sabato 20 agosto 2016

Nel nome della Dea - In cerca della Divina Madre #LEgidadiAtena

La Venere di Willendorf, testimonianza paleolitica del culto della Madre
Negli ultimi anni si è assistito ad una rinascita, caotica quanto entusiasmante, degli studi sull'archetipo della Grande Madre.
Fonte e solco di tale fioritura filosofica è chiaramente il saggio di Carl Gustav Jung Gli aspetti psicologici dell'archetipo della Madre, che con parole memorabili sancisce la primordiale priorità di questa manifestazione dell'Inconscio Collettivo: "La magica autorità del femminile, la saggezza e l'elevatezza spirituale che trascende i limiti dell'intelletto; ciò che è benevolo, protettivo, tollerante; ciò che favorisce la crescita, la fecondità, la nutrizione; i luoghi della magica trasformazione, della rinascita; l'istinto o l'impulso soccorrevole; ciò che è segreto, occulto, tenebroso; l'abisso, il mondo dei morti; ciò che divora, seduce, intossica; ciò che genera angoscia, l'ineluttabile.".
Migliaia di pagine (alcune illuminanti, molte interessanti, moltissime fuorvianti) sono state dedicate al più antico dei temi antropologici.
Da Robert Graves a Maria Gimbutas, da Joseph Campbell a Erich Neumann, fior di studiosi hanno esplorato l'oceano di connessioni segrete, occulte intuizioni, antichissime verità legate, e negate, al culto della Dea.
Ancora Jung docet: "L'archetipo della Grande Madre possiede una quantità pressoché infinita di aspetti".
Durga, Parvati, Iside, Atena, Demetra, Maria.
Volti diversi, aspetti contrastanti, apparenze distinte dello stesso luminoso diamante divino.

Shri Durga
La Dea stessa annuncia la sua perenne, cangiante, intatta manifestazione, nell'eterno lila divino di rinascite e redenzioni, nella Parola rivelata della Protennoia Trimorfica (codice 13 dei manoscritti ritrovati a Nag Hammadi):
"“Io sono la Protennoia, il Pensiero che dimora nella Luce, io sono il movimento che dimora nel Tutto, colei in cui il Tutto pone le proprie fondamenta, la primogenita tra coloro che vennero all’esistenza, colei che esiste prima del Tutto, colei che è chiamata con tre nomi, che esiste di per sé, essendo perfetta.
Io sono invisibile all’interno del Pensiero dell’Invisibile Uno e sono rivelata in ciò che è incommensurabile e ineffabile.
Sono incomprensibile, stando all’interno dell’incomprensibile.
Mi muovo in ogni creatura.
Sono la vita della mia Epinoia, ciò che dimora in ogni Potenza e in ogni eterno movimento, all’interno di Luci invisibili, all’interno degli Arconti e degli Angeli, dei Demoni e di ogni anima che dimora nel Tartaro, di ogni anima materiale.
Io dimoro in coloro che vennero all’esistenza.
Io mi muovo in ognuno e scendo nel profondo di tutti.
Io vado rettamente e risveglio colui che dorme, sono la visione di coloro che sognano nel sonno.
Io sono l’Uno invisibile all’interno del Tutto.
Io sono colei che consiglia coloro che sono nascosti e conosco il Tutto che esiste nel nascondimento.
Io sono senza numero al di là di ognuno.
Io sono incommensurabile e impronunciabile, eppure se lo desidero mi manifesterò, interamente, perché sono lo Splendore del Tutto.
Io esisto prima del Tutto e sono il Tutto perché esisto in ognuno.
Io sono una voce che parla sommessamente.
Io esisto dal principio nel Silenzio.
Io sono ciò che è in ogni voce e la voce che è nascosta in me, nell’incomprensibile illimitato pensiero all’interno dell’illimitato Silenzio.
Io discesi nel centro degli inferi e risplendetti sopra l’Oscurità.
Io sono colei che versò l’acqua.
Io sono colei che è nascosta nelle acque radianti.
Io sono colei che illuminò gradualmente il Tutto col mio Pensiero.
Io sono unita alla Voce ed è attraverso me che la Gnosi si manifesta.
Io dimoro negli ineffabili e negli incomprensibili.
Io sono la percezione e la Conoscenza, emettendo una Voce per mezzo di Pensiero.
Sono la Voce reale e parlo in ognuno ed essi la riconoscono dato che in loro dimora un Seme.
Io sono il Pensiero del Genitore e fu innanzitutto attraverso me che la Voce venne, cioè la Conoscenza di cose che non hanno fine.
Io esisto come Pensiero per il Tutto, in armonia col Pensiero, inconoscibile, irraggiungibile.
Io manifestai me stessa, Io, tra tutti coloro che mi riconoscono, perché io sono colei che è unita ad ognuno nel Pensiero nascosto e nella Voce esaltata.
Tale Voce viene dal Pensiero nascosto, incommensurabile dimora nell’Incommensurabile.
È un mistero, irrefrenabile per la sua incomprensibilità, invisibile a tutti coloro che sono manifesti nel Tutto.
È luce che dimora in Luce.".


Ora, Massimo Agostini, moderno ricercatore sulle tracce di una Gnosi sepolta, contribuisce al dibattito con un testo emblematicamente intitolato Nel Nome della Dea (ed.Sinclair).


Libro a tesi, interessante, documentato, in cui affiorano pregiate congiunzioni esoteriche, dotte sorprese etimologiche, spunti di ricerca autentica.
Ciò che diverge nella nostra interpretazione dalle tesi di Agostini (e dall'intera visione dello Shaktismo nella storia della letteratura antropologica e delle religioni) è ciò che periodicamente appelliamo "l'equivoco tantrico", in cui inciamparono anche menti eccelse come Zolla.
Per reazione all'oppressione sessuofobica paolina, si esalta il represso, sotterraneo culto ierogamico, la prostituzione sacra, la commistione (tecnicamente errata) tra Kundalini e Mooladhara Chakra.
Mooladhara in sanscrito è "supporto della radice".
La radice è l'osso sacro, sede della Kundalini.
Dunque, non si può essere supporto di se stessi. Per definizione, si sostiene altro.
Non c'è relazione alcuna tra Kundalini e attività sessuale.
Ma, tecnicalità yogiche a lato, ci rifiutiamo di sottoscrivere tale concatenazione allegorica sulla base di una semplice osservazione: La Madre è madre, la sorella è sorella, la sposa è sposa.
Questi aspetti certo convivono nell'archetipo femminile, nell'integrazione yogica del profilo psichico di una donna realizzata.
Ma sono distinti.
I danni di Freud continuano a intaccare anche gli ambiti del pensiero tradizionale.
A differenza di Agostini, che nutre i suoi studi di dichiarati stimoli della massoneria contemporanea, riteniamo interessanti solo le prime 50 pagine del best-seller di Dan Brown, in cui si riassume per le masse la considerazione sacrosanta che segue: le religioni ufficiali, le teologie dogmatiche hanno rimosso il Femminile Sacro dal Divino (si pensi a Padre, Figlio e...Madre?), il quale è invece stato recuperato esotericamente da tutte le correnti mistiche (Sufismo, Qabbalah, Gnosi) e dai grandi artisti illuminati (Leonardo da Vinci, Piero della Francesca, William Blake).
Paccottiglia è, invece, la china scandalistica del finale, col rituale ierogamico spiattellato a destare prurigini blasfeme.
Pessimo servizio alla Gnosi, splendido assist ai bacchettoni ipocriti nelle tenebre vaticane.
Come scrive con sopraffina ironia il coltissimo studioso Gregoire de Kalbermatten ne Il Terzo Avvento: "Dio, in aggiunta a tutte le altre cose, ha anche creato l'intelligenza e usarla non è peccato".


La Madonna della Misericordia di Piero della Francesca
Condividiamo, invece, ogni parola della ricostruzione di Gwenael Verez ne La Madre e La Spiritualità - La riscoperta della Dea, che affranca la metafora nuziale dall'ispirare pratiche rituali a carattere sessuale, bensì la restituisce nel suo valore squisitamente allegorico, di fusione psichica delle due energie, maschile e femminile, nell'equilibrio del Tao: "Quando la Dea Madre Kundalini si risveglia, porta con sé nella sua ascensione lo Spirito, al quale essa si unisce nella zona limbica del Cervello (che la tradizione spirituale dell’India denomina Sahasrara) appena al di sopra di ciò che la medicina chiama Talamo, termine che significa in greco Camera Nuziale”. Così, oltre al punto di unione dell’anima umana a Dio, lo Yoga è è il luogo di ritorno all'unità divina primordiale prima della separazione cosmica tra un principio maschile e uno femminile. È l’unione dello Sposo e della Sposa del Cantico dei Cantici, lo Hyeros Gamos dei neo-platonici. La Kundalini è purezza assoluta, espressione divina di verginità. Essa è Gauri, nome che significa la Vergine nella tradizione indiana. Essa genera la nascita spirituale senza l’intervento del Padre, come la nascita virginale del Cristo. La Kundalini è quindi Vergine Madre, come Maria, ed è lo stesso principio che l’Occidente ha adorato nella sua espressione religiosa".


Un dibattito cruciale che prosegue da secoli, nella quiete violata e poi restaurata dei templi del Maharashtra, nel silenzio iniziatico delle logge, nella mente vulcanica in divenire, vero Kurukshetra, di ogni ricercatore della Verità.

Le meraviglie del Progressive, dai primi Genesis agli Area #LaVinadiSaraswati

Esistono libri che uno vorrebbe scrivere, o meglio che uno ha pensato di scrivere, ha cullato come idee potenziali, progetti eventuali, proiezioni sempre più definite, architetture fantasma per edifici mai eretti, procrastinati per accidia o per, nobile scusa, volontà di maggiore approfondimento.
Intenzioni creative destinate a divenire chimere, incubi o urgenze a seconda delle congiunture, del carattere di ognuno, degli incroci permutanti dispiegati dall'esistenza come Tarocchi beffardi oppure illuminanti (a seconda di dove si contempli il volto androgino del Destino).
Talvolta, accade che qualcun altro abbia rotto gli indugi e abbia dato alle stampe esattamente quel libro che si voleva da anni scrivere, con lo stesso titolo, gli stessi riferimenti, gli stessi temi.
Spesso, per far pagare all'inconsapevole autore gemello (involontario psicopompo del nostro brusco risveglio alla realtà dalla caldo limbo amniotico del potenziale) la critica in quei casi si fa feroce, puntigliosa, accanita, pedante, ingiusta.
Eh, bisogna far scontare l'affronto a chi osato mostrarci il nostro fallimento.


Donato Zoppo sfugge a questa maledizione: il suo libro La filosofia dei Genesis - voci e maschere del Teatro Rock (eh, si la prima parte del titolo l'avevo in mente da cinque anni, ma forse non era un'intuizione originale). pur nella sua agile brevità (108 pagine! Coincidenza benedetta o ammiccamento esoterico?) ci appare inattaccabile, un compendio dettagliatissimo ed esauriente su uno dei più grandi fenomeni musicali degli anni '70.
Già ci occupammo della "cosa par venuta/ da cielo in terra a miracol mostrare" che per convenzione appelliamo i Genesis-Era Gabriel (QUI e QUI)
Essendo venuti al mondo quasi un lustro dopo la fine di quella strepitosa era musicale, purtroppo dobbiamo accontentarci dei, pur impressionanti, simulacri filologici dei The Musical Box, per noi occasione non solo di ascoltare un'esecuzione impeccabile delle grandi composizioni adorate, ma soprattutto di riversare su queste colonne i nostri deliri riguardo la vasta foresta di simboli in cui si smarrì lieta l'immaginazione del giovane trickster Gabriel.


Dunque,  certo apprezziamo le interpretazioni dei brani offerte da Donato nel suo scrupoloso lavoro di analisi filologica, ma in realtà siamo rimasti molto colpiti dalla prima sezione del libro: From Ally to Tommy: Rock Theatre 1967-1969, una preziosissima e non facile ricostruzione del fermento di fine anni '60 nella Swingin' London, quel teatro neo-barocco a cielo aperto, in cui si muovevano come personaggi di una recita globale ancora da scrivere, il giovane buddista mod Bowie, il suadente maestro di bugie Kemp, il mistico autodistruttivo Barrett mentre nella New York caleidoscopica Reed cresceva alla corte di Warhol, tra gli sberleffi geniali di Zappa e l'ingenua eruzione dionisiaca di Morrison.


Un humus ardente, vulcanico, inebriante quanto velenoso, dal cui calderone ipnotico nasceranno i grandi concept album dei The Who, il glam incarnato da Marc Bolan, il maestoso alter-ego di Ziggy Stardust...e appunto le cangianti maschere di Peter Gabriel.
Zoppo segue con accurata dovizia le tappe della grande evoluzione che condurrà i Genesis da "semplice" gruppo proto-progressive a irripetibile compagine creativa di moderne sinfonie esoteriche, tesse con rigore una tela di riferimenti, date, nomi, occorrenze, contatti, influenze tale da imporre a un lettore che non sia menomato intellettivamente il desiderio di studiare i grandi testi del giovane Gabriel.
Un degno tentativo, per il quale invece di osteggiare Zoppo, lo ringraziamo: ci ha fatto risparmiare tempo e fatica, realizzando un ottimo volume introduttivo all'opera magnifica di un manipolo di geni contemporanei.
Difficile far di meglio, nel breve formato.


Tutt'altra atmosfera, benché medesimi siano gli anni, emana l'altro testo di Zoppo che vogliamo presentarvi: Caution Radiation Area - alle fonti della musica radioattiva.
Un atto d'amore, dovuto, nei confronti della straordinaria stagione degli Area, soprattutto nei confronti del loro secondo disco, grandioso abbattimento di barriere sonore, complesso fino ad essere respingente, coraggioso fino a rasentare l'inascoltabilità, autenticamente rivoluzionario, fino a pagarne le logiche conseguenze commerciali e produttive.


Zoppo qui gioca in casa, consulta e interroga i protagonisti superstiti di quell'opera incomprensibile e affascinante: Fariselli, Tofani, Tavolazzi, il transfugo Dvijas, ma anche il recordista Ferrario, il fonico Bravin, dando il giusto rilievo alle menti in cabina di regia Sassi e Albergoni.
Tutto, come prevedibile, è evocazione del grande sciamano laico della vocalità riconquistata, il carismatico esploratore della fonazione come strumento di liberazione sociale: l'indimenticato Demetrio Stratos.


A rigore, è sciocco anche catalogare sotto la vasta e ambigua etichetta di progressive l'opera degli Area, in particolar modo Caution Radiation Area, manifesto sonoro meno accostabile, ma più dirompente, del precedente memorabile Arbeit Macht Frei.

Nell'atmosfera ebbra di furia ideologica della metà degli anni '70, ritmata dalle rivendicazioni delle BR, gli articoli profetici e inascoltati di Pasolini e le bombe fasciste attribuite agli anarchici, le composizioni lunghe, estenuanti, esplosive, sovranamente ipertecniche degli Area, hanno rappresentato la colonna sonora meno popolare, ma forse più icastica, dell'inquietudine interiore che possedeva ognuno sugli illusori fronti opposti.
Merito di Zoppo è unire la passione dell'ammiratore alla serietà del critico, frenando la tentazione enciclopedica con la visione d'insieme dello studioso, che da anni dedica pagine e pagine alla straordinaria stagione musicale del progressive, esplosa attorno all'anno della sua nascita (1975).
Dinamica comprensibile: divenire esperti studiosi della musica risonante attorno alla nostra culla.

Un altro motivo per sentire profonda empatia con un autore tra i più attenti e preparati del panorama giornalistico nostrano.

venerdì 19 agosto 2016

TUTTI GLI ARTICOLI DI GIUGNO E LUGLIO



Care lettrici e cari lettori,
nella pausa agostana possiamo ripassare la produzione dei due mesi precedenti.
Del resto, abbiamo mantenuto un ritmo, escludendo i festivi, di un articolo ogni due giorni, credo che possiamo ora serenamente concederci un momento di riflessione.


Iniziamo con Giugno.
Su Fumettologica abbiamo pubblicato:
- il nostro contributo al volume La Grandiosa DC Comics sugli archetipi nell'universo DC QUI
- la recensione di Maledetta Balena di Walter Chendi QUI


Su la Repubblica XL:
- abbiamo raccontato il nostro fugace incontro con Brian Eno QUI
- abbiamo segnalato l'IFEST QUI

Su il Blog de Il Fatto Quotidiano:
- un omaggio a 1984 di George Orwell QUI


Su Minima&moralia:
- la nostra introduzione a La Danza dei Corvi di Manuelle Mureddu QUI
- la recensione del romanzo Mors Tua di Matilde Serao QUI
- la nostra conversazione con Enrico Rava QUI

Su queste deliranti colonne:
- abbiamo parlato dell'aspetto esoterico di Napoli e Trieste QUI
- abbiamo raccontato l'omaggio a Shakespeare allo Spazio Cima QUI
- abbiamo parlato dell'omaggio a Nureyev a Caracalla QUI
- abbiamo attraversato alcune interpretazioni di Pinocchio QUI
- abbiamo pubblicato l'articolo omologo sugli articoli di Maggio QUI


A Luglio invece
Su La Repubblica-XL:
- un articolo sui rapporti tra William Blake, Aldous Huxley e The Doors QUI
- il racconto del concerto di De Gregori all'Auditorium QUI
- l'intervista deliziosamente delirante al Dr.Pira per L'Almanacco dei Fumetti della Gleba QUI
- il lancio dell'imperdibile mostra David Bowie Is a Bologna QUI
- la recensione della mostra Ex-Voto a Via del Parione a Roma QUI


Sul Blog de Il Fatto Quotidiano:
- abbiamo parlato delle connessioni tra Star Wars e la Filosofia Orientale QUI


Su Minima&moralia:
- la nostra conversazione con Antonio Rezza e Flavia Mastrella QUI
- una nostra riflessione su Avevamo ragione noi di Domenico Mungo, illustrato da Paolo Castaldi QUI

Su Davidbowieblackstar.it:
- la prima parte delle nostre riflessioni sui rapporti tra Bowie e il Buddismo QUI

Su D.A.T.E.*Hub:
- la recensione della mostra su Alphonse Mucha al Complesso del Vittoriano QUI



Su le colonne di Spezzandolemanettedellamente:
- abbiamo parlato del Piccolo Festival delle Dieci Notti QUI
- abbiamo segnalato alcune letture per l'estate QUI
- abbiamo scritto con la stessa indignazione di 15 anni fa una ricostruzione della morte di Carlo Giuliani QUI

Non preoccupatevi, siamo tornati a scrivere agli stessi ritmi.
Buona Lettura!