giovedì 1 novembre 2018

L'Ultimo Guardiano del Valico - l'omaggio a Lao-Tze di Valentino Bellucci



Da tempo leggiamo con interesse le numerose opere di Valentino Bellucci, intellettuale fecondo e prolifico che si è occupato di diverse aree dello scibile umano, sempre osservate con lo sguardo sereno e superiore che la frequentazione dei testi sacri indiani dona agli studiosi consapevoli.
Il limite della sua interessantissima produzione, per un pubblico abituato a più convenzionali letture, è da un lato una certa assertività dogmatica, dall'altro un'attitudine didascalica a volte troppo trasparente: l'urgenza di rivelare la ricchezza della sapienza orientale, a lettori spesso digiuni e orbati dagli avvilenti luoghi comuni dominanti, talvolta tradisce la sua vocazione di divulgatore spirituale.

In questo breve romanzo, L'Ultimo Guardiano del Valico (Digital Soul) possiamo incontrare i pregi e i limiti della sua ormai vasta produzione.
L'assunto è geniale: come sa chiunque si sia approcciato al Taoismo, la leggenda sacra vuole che Lao-Tze abbia scritto il sublime e abissale Tao Te Ching per poter varcare il confine della corte Zhou; quella era stata la richiesta del guardiano per farlo passare, ovvero lasciare un testo scritto in cui condensare la sua rinomata sapienza.
Con suprema ironia, l'immenso testo sapienziale inizia: "Il Tao di cui si può parlare non è il vero Tao". Maestro Primordiale, come Socrate, Lao-Tze aveva fondato la teologia negativa.

Statua di Lao-Tze sul Monte Qingyuan
Bellucci, con un'intuizione notevole, decide di raccontare cosa accade dopo quel decisivo incontro.
Da un lato, seguiamo le paradossali peripezie del guardiano, sballottato dal potere del Tao tra ambizione e fallimento, infamia e gloria, umiliazione e successo; dall'altro contempliamo le vicende eguali e contrarie del sommo saggio, gli ostacoli e le prove continue per la sua serenità interiore.
Il racconto è plasmato sul modello delle storie sacre, con evidenti omaggi al Siddharta di Herman Hesse. A noi che tributiamo una sacra devozione al Saggio Cinese suscita un certo turbamento vederlo ritratto in momenti di smarrimento, peccato, contrizione, dubbio.
Rappresentare i pensieri di un Guru universale è un'ambizione che richiede costi alti.
Comprendiamo, d'altro canto, lo spirito di Bellucci nel mostrare come il cammino della Conoscenza (come appunto nel caso di Siddharta) passi per la dolente iniziazione dell'errore.

Il racconto è scritto con impeccabile rispetto formale (salvo un richiamo un po' didascalico alla contemporaneità) e si conclude, con perfetta coerenza ideale, nel rovesciamento incrociato dei destini.



Siccome Bellucci, prima che uno scrittore interessante, è un dotto studioso, abbiamo trovato ancora più ricca di spunti la coda storico-critica, in cui si dispensano, stavolta sì con equilibrio tra rigore erudito e necessità di divulgazione, precise note informative sul Taoismo, sul Confucianesimo e sul Buddhismo, confrontati nella purezza degli insegnamenti come nei rischi delle derive esoteriche.

Concludiamo con una frase di Henry David Thoreau, considerato da Bellucci un erede della tradizione taoista nella letteratura occidentale: "Illuminazione è vedere il piccolo".

Henry David Thoreau
Dunque, la si può trovare anche in un libro poco conosciuto di una piccola casa editrice.

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