venerdì 7 dicembre 2018

VUONG'S TRIPTYCH- Poesia di Ocean Vuong e Musica di Michele Sganga


Ocean Vuong è una delle voci più interessanti della poesia americana contemporanea.
Vincitore del T.S.Eliot prize nel 2017, Vuong trova la propria ispirazione in una peculiare condizione esistenziale: nato in Vietnam, figlio dei figli della guerra, rifugiato negli Stati Uniti, prima persona in grado di leggere nella sua famiglia (pur considerandosi, da bambino, pressoché dislessico), dalle sue umilissime radici (nato in una fabbrica di riso) alla soglia dei trent'anni gode di un'esposizione mediatica rara per un poeta (è stato intervistato dal Guardian e dal New Yorker). Per lo più per un poeta non facile, che affronta temi non esattamente consolatori o di facile consumo: un complicato rapporto con la figura paterna, il sentimento di un'Apocalisse incombente (memore di quella da cui di fatto la sua vita deriva), l'esplorazione intima della propria omosessualità.


Per questi pochi spunti siamo debitori a Riccardo Capoferro (Sapienza, Università di Roma), che ieri ha introdotto l'evento Vuong's Triptcych. Poesia e Musica, nella magnifica cornice della Fondazione Primoli a Roma, un luogo che non avrebbe sfigurato per incanto ottocentesco in una scena de Il Segno del Comando.


L'evento presentava l'ardito tentativo di Michele Sganga di porre in musica tre trittici di poesie di Vuong, tratti dalla raccolta Cielo notturno con fori d’uscita (La nave di Teseo, con prefazione di Michael Cunningham e la traduzione di Damiano Abeni e Moira Egan).


Sganga, compositore che seguiamo da anni con interesse, ha spiegato con grazia e passione la sua opera di traduzione artistica (apprezzatissima da Vuong): in alcuni casi la sua sensibilità si sposa perfettamente a quella del poeta, in altri si discosta cercando libere variazioni e paradossali licenze poetiche in musica rispetto alla lettera della poesia.

                                 

Sganga ha tradotto in "canzoni" (definizione sulla quale si potrebbe dibattere per ore) affidate al proprio magistero pianistico e alla voce del baritono Riccardo Primitivo Fiorucci.
Ovviamente, le versioni cantate sono nell'originale inglese: Sganga ha sottolineato più volte come i testi di Vuong non abbiano bisogno di una versione musicale perché già posseggono un'intima musicalità poetica (come è apparso nella lettura di Massimo Palma, e di altri fini dicitori, precedente alle esecuzioni musicali).



                                       
Ci permettiamo di riferire un esempio, la poesia Treshold, che ben riassume alcune delle tematiche dominanti nella poesia di Vuong:

In the body, where everything has a price,
I was a beggar. On my knees,

I watched, through the keyhole, not
the man showering, but the rain

falling through him: guitar strings snapping
over his globed shoulders.

He was singing, which is why
I remember it. His voice --

it filled me to the core
like a skeleton. Even my name

knelt down inside me, asking
to be spared.

He was singing. It is all I remember.
For in the body, where everything has a price,

I was alive. I didn't know
there was a better reason.

That one morning, my father would stop
--a dark colt paused in downpour--
& listen for my clutched breath
behind the door. I didn't know the cost

of entering a song--was to lose
your way back.

So I entered. So I lost.
I lost it all with my eyes

wide open.

Come sempre, Sganga ci incanta e ci tortura: ci incanta la sua superiore sensibilità, il rispetto e la grazia che informano ogni nota, l'immensa cultura musicale che trabocca da ogni sua composizione, il lavorìo filologico che trapela da ogni singola scelta (nell'introduzione, il compositore ha spiegato come, pur avendo scelto solo undici poesie dell'amplissima raccolta di Vuong, egli abbia tentato di trasferire l'intero mondo poetico dell'autore, creando una stratificazione di possibilità interpretative in ciascun brano); ci tortura (ma è un forse un nostro limite da ascoltatori profani) la sua ossessione stilistica di frammentare la melodia (che ogni volta si annuncia splendida) in infinite variazioni distorte, dissonanti, affascinanti dal punto di vista concettuale, pregevoli dal punto di vista della raffinatezza compositiva ma che virano potenziali gemme musicali sempre nell'ambito della perenne sperimentazione.

                                          

Da ascoltatori (ripetiamo, profani) di Schönberg quanto di Prince, sentiamo ogni volta il canto strozzato in gola, dissolto in vertigini cerebrali: con la voce del baritono Fiorucci (capace di plasmarla abilmente dallo stridore al bel canto in poche note) e con la sua straordinaria abilità compositiva, Sganga potrebbe (dovrebbe) incantare le masse.


                                 
Sganga è un adorabile adoratore dei calembour, dei paradossi, un rapito contemplatore del Mysterium coniunctionis, è un colto e consapevole studioso degli archetipi (musicali e non).
È benedetto dalla grazia, dal senso del gioco (Capoferro ha giustamente insistito sul carattere parodistico, sull'amore per il pastiche nelle sue versioni musicali dei versi di Vuong), da una innata consapevolezza filocalica.
Auspichiamo (da ammiratori e sodali) che liberi finalmente il suo dono melodico in un'aurea felicitas, esiliando (o quanto meno confinando) la lezione di Stockhausen, per donarci il tesoro immenso della beatitudine mozartiana che, lo sappiamo!, dimora nel suo spirito.

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