venerdì 30 settembre 2016

Einstein lettore di Lucrezio


Salutiamo con interesse la scoperta della casa editrice La scuola di Pitagora, che fin dal nome ci appare amica, familiare, pregna di antiche risonanze sapienziali.
La collana Feuilles détachées raccoglie gemme sconosciute di grandi menti, spesso pochissime pagine, ma degne di attenta riflessione, magari appunti illuminanti ignoti ai più, articoli pubblicati su riviste del secolo scorso, interventi a conferenze storiche oppure introduzioni a edizioni particolari di classici dal sempiterno valore meditativo.
Ad un prezzo, chiaramente, molto contenuto.
Questo è il caso dell'esile ma interessantissimo libricino Leggendo Lucrezio di Albert Einstein, pubblicato tempo fa dalla casa editrice napoletana.


Un incontro folgorante: lo scienziato divenuto icona (suo malgrado, a torto o a ragione) delle conquiste della scienza moderna che medita sulle pagine del grande poeta apostolo dell'epicureismo, la fondamentale concezione meccanicistica dell'epoca classica.
In effetti, se leviamo il testo a fronte dell'originale tedesco (introduzione all'importante traduzione di Diels del capolavoro lucreziano in tedesco) e la breve postfazione di Gherardo Ugolini, stiamo parlando davvero di due paginette.
Ma sono due paginette scritte da un genio scientifico (il cui nome è divenuto sinonimo del concetto stesso!) sull'opera di un genio poetico.
C'è di che riflettere.
Definito da Foscolo "poeta e duca di color che sanno", citando il Virgilio dantesco (eppure il sommo poeta, mai cita il precedente latino, nemmeno fra gli epicurei, conoscendo il De Rerum Natura forse solo per frammenti, del resto la versione integrale fu ritrovata, semplificando, da Poggio Bracciolini in un monastero tedesco nel 1417), Lucrezio desta a tutt'oggi ammirazione per la sua saggezza distaccata e pacificante.


Solo la lettura di Spinoza e di certo Schopenhauer, più raramente quella di Montaigne, ci ispira affini esperienze di limpida contemplazione.
Una meditazione diversa da quella sublime e beatificante dei mistici indiani (anche nelle loro vertigini teologiche, quali le vette himalayane di Adi Shankaracharya), da quella armoniosa e imperturbabile dei sapienti cinesi (come il supremo Lao-Tze), da quella traboccante di splendore allegorico dei Sufi (come nel benedetto Rumi) oppure da quella furiosa e accecante dei più ispirati fra i cristiani (quali S.Juan de La Cruz).
Siamo a un livello diverso di illuminazione: ci spingiamo ai limiti dove la pura logica può condurci.
Per Dante alla salvezza, ma non alla beatitudine (rimanendo all'accostamento col suo Virgilio).

Veniamo, dunque, alle riflessioni di Einstein.
Il legame tra le intuizioni epicuree sulla luce esposte dal poeta amato da Cicerone (celebre la perfetta definizione sul poema in una lettera al fratello Quinto: "rivela uno splendido ingegno, ma anche notevole abilità artistica") e la teoria einsteiniana della Relatività è intuibile da chiunque sia edotto di entrambe (se ne parla QUI).
Einstein non solo esprime la sua ammirazione, ma porge anche al poeta filosofo una critica che Luciano Canfora ha definito "intelligentissima, rispettosa e severa al tempo stesso": rifiuta l'idea di Lucrezio come padre antico della fisica moderna (il materialismo atomistico antico non c'entra nulla con quello sviluppato nell'800 che pose le basi delle sue ricerche), evidenzia la contraddizione razionale di considerare il peso degli atomi dell'anima e dello spirito più leggeri
Eppure Jean Perrin quattro anni prima, nel suo trattato sull'origine degli atomi, aveva sancito: "Forse venticinque secoli fa, sulle rive del mare divino, dove il canto degli aedi si era appena spento, qualche filosofo insegnava già che la mutevole materia è fatta di granelli indistruttibili in continuo movimento, atomi che il caso e il fato avrebbero raggruppato nel corso dei secoli secondo le forme e i corpi che ci sono familiari" (come illustrato QUI).
Nonostante gli onesti rilievi, Einstein senza dubbio riconosce profonde affinità.
Esse sono rappresentate dall'individuazione dei "nessi casuali", ma soprattutto, sottolinea Ugolini, da "l'istanza etica di fondo, ovvero di liberare l'umanità da ogni forma di religione e superstizione e dalle paure che da lì scaturiscono".
Einstein scrive esattamente: "L'obiettivo principale che Lucrezio si propone col suo poema è di liberare l'uomo dalla paura che suscitano religione e superstizione e che ci rende schiavi; una paura alimentata e sfruttata dai sacerdoti per i propri interessi".
"L'oppio dei popoli" marxiano, innegabile costante dei fenomeni storici.
Un laicismo profondo che non contraddice, ma anzi rinsalda, la contemplazione dei "nessi casuali": "Dio non gioca a dadi", nella celebre battuta dello scienziato.


Concludiamo, ricordando il passo sovrano di Lucrezio a cui da sempre guardiamo come ad un faro che guida la rotta tra le intemperie imprevedibili dell'esistenza.
Saggezza e distacco, espresse magnificamente nel celebre proemio del Libro II del poema, e qui tradotte in prosa: "È dolce, quando sul vasto mare i venti turbano le acque, assistere da terra al gran travaglio altrui, non perché sia un dolce piacere che qualcuno soffra, ma perché è dolce vedere di quali mali tu stesso sia privo. È dolce anche vedere i grandi scontri di guerra schierati nella pianura senza che tu prenda parte al pericolo. Ma nulla è più dolce che tenere saldamente gli alti spazi sereni, fortificati dalla dottrina dei sapienti, da dove tu puoi stare a guardare dall'alto gli altri, e osservarli errare qua e là e cercare smarriti la via della vita, gareggiare in qualità intellettuali, contendere in nobiltà di sangue e sfarzosi di notte e giorno, con instancabile attività, per arrivare ad una grande ricchezza e impadronirsi del potere. O misere menti degli uomini, o ciechi animi! In quali tenebre di vita e in quanti pericoli si trascorre questo poco di vita, qualunque essa sia! E come non vedere che la natura null'altro pretende per sé, se non che in quanto al corpo il dolore sia lontano, e in quanto all'anima goda di piacevoli sensazioni, priva di affanni e di timori?".

Millenni di sapienza orientale, certo decapitati della rivelazione metafisica, riassunti in versi memorabili, sufficienti di per sé a delineare la via per una vita saggia.

Aldo Manuzio, l'Estetica della Conoscenza

Tra i numerosi motivi per dichiarar la fierezza d'essere italiani, nonostante l'inevitabile decadenza dell'holderliniano "tempo di povertà" in cui stiamo drammaticamente sopravvivendo, s'impone l'esser conterranei di Aldo Manuzio, il genio padre dell'editoria moderna.

Aprendo l'Hypnerotomachia Poliphili
In perfetta rispondenza al genius loci (il cui rovescio banalizzante sono gli stereotipi da barzelletta), se il tedesco Johannes Gutenberg da Magonza ha donato al mondo il meccanismo d'ingegneria che consentì quella che Carmelo Bene provocatoriamente definiva "la sciagura editoriale", fu l'italiano Aldo Manuzio da Bassiano (in provincia dell'attuale Latina) ad inventare il concetto di libro "bello".
Non parliamo solo delle magnifiche edizioni dantesche o del preziosissimo Hypnerotomachia Poliphili del 1499, brillante opera simbolica attribuita al domenicano Francesco Colonna, immortalata dalle magnifiche xilografie illustrative, considerato da secoli "il libro più bello del mondo" (godibile grazie alla impagabile Adelphi in formato economico).


Non parliamo solo dell'esterno o dell'aspetto meramente grafico del libro.
Manuzio, da grande umanista erede dell'equilibrio formale dell'età classica, portò ordine ed armonia anche nella stesura dei testi, stabilendo le regole d'interpunzione che tuttora correntemente (e più o meno correttamente) usiamo.
Con "l'invenzione", o meglio la riforma, della punteggiatura, Manuzio portò logica e ritmo nella scrittura e, dunque, nella fluidità stessa del ragionamento umano.
Tutto questo, senza citare quella che è oggettivamente l'invenzione editoriale più ingegnosa e duratura del Nostro: il libro "tascabile".
Manuzio fu il primo ad ideare libri in formato piccolo, che potessero essere dunque facilmente trasportabili in viaggio o durante la giornata in vari luoghi.
Perfetta coincidenza tra teoria e pratica: in un oggetto, a cui nessuno prima di allora aveva pensato, l'applicazione dell'ideale umanistico della diffusione della conoscenza.
Ogni volta che state leggendo un romanzo avvincente sulla metropolitana, o un saggio interessante mentre aspettate la fila alla posta, o che state preparando un esame studiando su un treno, ora sapete chi ringraziare.
Una mente, quindi, non solo dotatissima tecnicamente, ma dall'enorme impatto visionario, degna di figurare accanto ai grandi geni dell'Umanesimo neoplatonico che hanno reso il nostro paese un convivio di anime celesti, dall'immenso Leonardo Da Vinci al mai troppo lodato Marsilio Ficino, fino al modello d'ogni ricercatore moderno di conoscenza, Pico della Mirandola.

In occasione dell'anno manuziano, a cinquecento anni dalla scomparsa del pioniere dell'editoria moderna avvenuta il 6 Febbraio 1515 (celebrata alcuni mesi dopo da una splendida mostra alle Gallerie dell'Accademia di Venezia), Tunué ha pubblicato per l'appunto Aldo Manuzio, un fumetto che racconta per sommi capi la vita e le invenzioni del figlio più celebre di Bassiano.
Gli autori, lo sceneggiatore e disegnatore Andrea Aprile (Marthè, le mie ombre) e il camerunense Gaspard Njock (docente universitario a La Sapienza in qualità di collaboratore a corsi sul Fumetto),  hanno dato vita ad un omaggio sincero, documentato, gradevole.
Dobbiamo confessare che abbiamo giudicato alcune scelte un po' didascaliche e che, a nostro modesto giudizio, probabilmente l'intento celebrativo abbia un po' condizionato l'ispirazione, considerato che la statura culturale del personaggio e l'epoca straordinaria che visse (pensiamo solo che tra i membri dell'Accademia Aldina che Manuzio fondò compare Erasmo da Rotterdam!) avrebbero potuto forse consentire un piglio diverso, più avventuroso, quanto meno dal punto di vista della vertigine intellettuale.

Pico della Mirandola ritratto da Botticelli in un dettaglio de L'Adorazione dei Magi
D'altro canto, non capita tutti i giorni di leggere un fumetto in cui appare uno dei nostri modelli irraggiungibili di ricerca, vale a dire il già citato Giovanni Pico della Mirandola, amico di gioventù e grande sostenitore di tutta la carriera di Manuzio.
Apprezzabile, per il rigore ben sposato alle esigenze stringenti della volgarizzazione, il profilo biografico posto in appendice, a cura di Antonio Polselli.
Al di là dei limiti strettamente fumettistici dell'opera, ben vengano queste iniziative editoriali che consentono di accostare con maggior confidenza figure cruciali come quelle di Manuzio, spesso ostaggio della ieraticità scostante della cultura "alta".
Una figura la cui inestimabile importanza e urgente attualità sono ben riassunte nella celebre citazione posta in quarta di copertina: "Se si maneggiassero di più i libri che le armi, non si vedrebbero tante stragi, tanti misfatti e tante brutture".