Salutiamo con interesse la scoperta della casa editrice La scuola di Pitagora, che fin dal nome ci appare amica, familiare, pregna di antiche risonanze sapienziali.
La collana Feuilles détachées raccoglie gemme sconosciute di grandi menti, spesso pochissime pagine, ma degne di attenta riflessione, magari appunti illuminanti ignoti ai più, articoli pubblicati su riviste del secolo scorso, interventi a conferenze storiche oppure introduzioni a edizioni particolari di classici dal sempiterno valore meditativo.
Ad un prezzo, chiaramente, molto contenuto.
Questo è il caso dell'esile ma interessantissimo libricino Leggendo Lucrezio di Albert Einstein, pubblicato tempo fa dalla casa editrice napoletana.
Un incontro folgorante: lo scienziato divenuto icona (suo malgrado, a torto o a ragione) delle conquiste della scienza moderna che medita sulle pagine del grande poeta apostolo dell'epicureismo, la fondamentale concezione meccanicistica dell'epoca classica.
In effetti, se leviamo il testo a fronte dell'originale tedesco (introduzione all'importante traduzione di Diels del capolavoro lucreziano in tedesco) e la breve postfazione di Gherardo Ugolini, stiamo parlando davvero di due paginette.
Ma sono due paginette scritte da un genio scientifico (il cui nome è divenuto sinonimo del concetto stesso!) sull'opera di un genio poetico.
C'è di che riflettere.
Definito da Foscolo "poeta e duca di color che sanno", citando il Virgilio dantesco (eppure il sommo poeta, mai cita il precedente latino, nemmeno fra gli epicurei, conoscendo il De Rerum Natura forse solo per frammenti, del resto la versione integrale fu ritrovata, semplificando, da Poggio Bracciolini in un monastero tedesco nel 1417), Lucrezio desta a tutt'oggi ammirazione per la sua saggezza distaccata e pacificante.
Solo la lettura di Spinoza e di certo Schopenhauer, più raramente quella di Montaigne, ci ispira affini esperienze di limpida contemplazione.
Una meditazione diversa da quella sublime e beatificante dei mistici indiani (anche nelle loro vertigini teologiche, quali le vette himalayane di Adi Shankaracharya), da quella armoniosa e imperturbabile dei sapienti cinesi (come il supremo Lao-Tze), da quella traboccante di splendore allegorico dei Sufi (come nel benedetto Rumi) oppure da quella furiosa e accecante dei più ispirati fra i cristiani (quali S.Juan de La Cruz).
Siamo a un livello diverso di illuminazione: ci spingiamo ai limiti dove la pura logica può condurci.
Per Dante alla salvezza, ma non alla beatitudine (rimanendo all'accostamento col suo Virgilio).
Veniamo, dunque, alle riflessioni di Einstein.
Il legame tra le intuizioni epicuree sulla luce esposte dal poeta amato da Cicerone (celebre la perfetta definizione sul poema in una lettera al fratello Quinto: "rivela uno splendido ingegno, ma anche notevole abilità artistica") e la teoria einsteiniana della Relatività è intuibile da chiunque sia edotto di entrambe (se ne parla QUI).
Einstein non solo esprime la sua ammirazione, ma porge anche al poeta filosofo una critica che Luciano Canfora ha definito "intelligentissima, rispettosa e severa al tempo stesso": rifiuta l'idea di Lucrezio come padre antico della fisica moderna (il materialismo atomistico antico non c'entra nulla con quello sviluppato nell'800 che pose le basi delle sue ricerche), evidenzia la contraddizione razionale di considerare il peso degli atomi dell'anima e dello spirito più leggeri
Eppure Jean Perrin quattro anni prima, nel suo trattato sull'origine degli atomi, aveva sancito: "Forse venticinque secoli fa, sulle rive del mare divino, dove il canto degli aedi si era appena spento, qualche filosofo insegnava già che la mutevole materia è fatta di granelli indistruttibili in continuo movimento, atomi che il caso e il fato avrebbero raggruppato nel corso dei secoli secondo le forme e i corpi che ci sono familiari" (come illustrato QUI).
Nonostante gli onesti rilievi, Einstein senza dubbio riconosce profonde affinità.
Esse sono rappresentate dall'individuazione dei "nessi casuali", ma soprattutto, sottolinea Ugolini, da "l'istanza etica di fondo, ovvero di liberare l'umanità da ogni forma di religione e superstizione e dalle paure che da lì scaturiscono".
Einstein scrive esattamente: "L'obiettivo principale che Lucrezio si propone col suo poema è di liberare l'uomo dalla paura che suscitano religione e superstizione e che ci rende schiavi; una paura alimentata e sfruttata dai sacerdoti per i propri interessi".
"L'oppio dei popoli" marxiano, innegabile costante dei fenomeni storici.
Un laicismo profondo che non contraddice, ma anzi rinsalda, la contemplazione dei "nessi casuali": "Dio non gioca a dadi", nella celebre battuta dello scienziato.
Concludiamo, ricordando il passo sovrano di Lucrezio a cui da sempre guardiamo come ad un faro che guida la rotta tra le intemperie imprevedibili dell'esistenza.
Saggezza e distacco, espresse magnificamente nel celebre proemio del Libro II del poema, e qui tradotte in prosa: "È dolce, quando sul vasto mare i venti turbano le acque, assistere da terra al gran travaglio altrui, non perché sia un dolce piacere che qualcuno soffra, ma perché è dolce vedere di quali mali tu stesso sia privo. È dolce anche vedere i grandi scontri di guerra schierati nella pianura senza che tu prenda parte al pericolo. Ma nulla è più dolce che tenere saldamente gli alti spazi sereni, fortificati dalla dottrina dei sapienti, da dove tu puoi stare a guardare dall'alto gli altri, e osservarli errare qua e là e cercare smarriti la via della vita, gareggiare in qualità intellettuali, contendere in nobiltà di sangue e sfarzosi di notte e giorno, con instancabile attività, per arrivare ad una grande ricchezza e impadronirsi del potere. O misere menti degli uomini, o ciechi animi! In quali tenebre di vita e in quanti pericoli si trascorre questo poco di vita, qualunque essa sia! E come non vedere che la natura null'altro pretende per sé, se non che in quanto al corpo il dolore sia lontano, e in quanto all'anima goda di piacevoli sensazioni, priva di affanni e di timori?".
Millenni di sapienza orientale, certo decapitati della rivelazione metafisica, riassunti in versi memorabili, sufficienti di per sé a delineare la via per una vita saggia.