venerdì 20 novembre 2015

La Casta Morta - originale omaggio a Kantor




In occasione del centenario della scomparsa di Tadeusz Kantor,  coraggioso quanto inquieto innovatore del teatro novecentesco, al Teatro Trastevere di Roma ha debuttato La Casta Morta, uno spettacolo inteso come originale omaggio all’opera certo più celebre dell’autore polacco, La Classe Morta.
Si tratta di un’opera inedita, completamente diversa dal riferimento dichiarato, ma che trae da esso spunti e struttura (il testo, già tradotto e messo in scena in polacco, è di Adriano Marenco).
La scena si configura immediatamente come metafora del Potere, un non-luogo primordiale eppure attraversato dalla stridente compresenza di miti classici e volgari marionette della decadenza contemporanea.

L’atmosfera, nell’angusto ma suggestivo teatro trasteverino, è quella che spesso abbiamo respirato nei teatri cosiddetti “off”: tutto è pervaso dall’entusiasmo, e dagli impacci, di una giovane compagnia teatrale dalle grandi ambizioni, la Patas Arriba Teatro.
Nel soggetto (dell’eminente polonista e collaboratore di Kantor Luigi Marinelli e di Michele Sganga, autore anche delle splendide musiche) emergono intuizioni brillanti, una ridda di puntuali riferimenti colti (dal monolite kubrickiano alle canzonette popolari, dal sottotesto omerico al Magnificat, dalla riproposizione di figure della mitologia greca a ineludibili omaggi allo stesso Kantor), sospesi tra satira e cruda deformazione grottesca.
Non tutto ci ha conquistato, onestamente, della rappresentazione: a dotti calembour (gustose le traduzioni sballate dei versi del Magnificat) si alternano ammiccamenti troppo espliciti al pubblico (certe gag sono divertenti, come l’elenco dei Doppi celebri, ma strappano la risata troppo facilmente); alcune scene appaiono riuscite (il fallimentare discorso populista dell’onorevole “Uno-di-noi”) altre risultano troppo prevedibili (il monologo della deputata cattolico-conservatrice, pur ben recitato, che difende la famiglia e poi si concede ai colleghi del marito); apprezziamo il pudore di non esplicitare le scene “oscene” (i diversi volti del Potere simulano di orinare a turno sul monolite , cogliendo in quel momento di pubblica intimità un’impossibile innocenza infantile), meno certo indugiare su metafore evidenti (il leccare i piedi, l’orgia del potere, la “poppata” collettiva); avvertiamo come limite la difficoltà di rendere nell’immediato dell’azione teatrale la potenza di concetti esposti con lucido rigore per iscritto.
Certo, lo spettacolo è al debutto, è logico che ritmi e tempi comici vadano rodati, soprattutto in un’opera tutta fondata sul contrasto dialettico, la parodia del linguaggio, il gioco tra corpi e concetti, tra istinto ferino e elucubrazione ingannevole.
Dichiariamo di essere degli incontentabili scocciatori: per chi a 16 anni s’estasiava davanti alla macchina attoriale di Carmelo Bene (il teatro è accanto a S.Francesco a Ripa, ove si può ammirare la Beata Ludovica Albertoni, per il genio salentino “la più grande meraviglia”) che annichiliva il Novecento nel “buio musicale”, è raro essere sedotti dal teatro contemporaneo.
Con forse intollerabile presunzione, confessiamo che, fosse stato per noi, avremmo concesso il centro della scena (non diciamo solo, ma molto di più) agli archetipi classici, che accolgono gli spettatori con straniante confidenza, per poi irrompere come terribile nemesi nello spettacolo: intelligente (pur nel vezzo di renderla en travesti) la versione di Cassandra che reca una tastiera (con le canne d’organo sulle spalle) ove il Potere può suonare a piacimento tutti i discorsi memorabili, divenuti slogan, del Novecento (da “Ich Bin Ein Berliner” di J.FKennedy a “Vincere e Vinceremo” di Mussolini, dai deliri infernali di Hitler a “I Have a Dream” di Martin Luther King, fino al famigerato “nuovo miracolo italiano” di Berlusconi); efficace quella di Circe, spietata nel soggiogare i politici-maiali alla sua vendicativa malìa; potente e ipnotica quella della Dea Atena: una resa perfetta, nella sua quasi statica fedeltà alla rappresentazione della Vergine Guerriera, Dea della Conoscenza il cui scudo è lo specchio con cui inchiodare il Potere (e il Popolo) alla propria miseria.
Assolutamente splendide, come detto, le scelte musicali di Michele Sganga.
In conclusione, uno spettacolo non perfetto ma pieno d’intelligenza, con alcuni difetti evidenti ma anche innegabili pregi e, soprattutto, sorretto da uno studio profondo e da un enorme impegno.
E per chi coniuga cultura e passione non possiamo che avere, comunque, una profonda empatia.
Lo spettacolo è in replica oggi al Teatro Trastevere, tornerà in scena all’Istituto Polacco per il centenario di Kantor, e poi a Gennaio al Teatro Studio Uno a  Tor Pignattara.
Ne riparleremo senza dubbio.
Vi consigliamo di andarlo a vedere e di sostenere l’impegno di giovani menti non allineate.
In questo agonizzante Kali Yuga, che Dio benedica chi porta avanti faticosamente cultura e riflessione.

martedì 17 novembre 2015

Presentazione di ASTROGAMMA a Bologna



Era, credo, il 1997.
Lorenzo Ceccotti e il sottoscritto ci avventuravamo in treno per andare a Bologna: c'era una splendida mostra di Andrea Pazienza a Piazza del Nettuno.
Nello stesso anno saltai scuola per andare a vedere lo storico concerto di Bob Dylan per il Papa (fui immortalato dalle telecamere mentre esprimevo a gesti il mio dissenso ideologico); mi ricordo che comprai un suo magnifico  poster nella storica libreria Feltrinelli  di Piazza Ravegnana, sotto quelle torri dove l'altro faro della mia adolescenza, Carmelo Bene, "apparve alla Madonna" declamando la sublime Lectura Danctis nel 1981 (li ho menzionati entrambi nella stessa frase, così chi dice che li cito sempre è contento).

Sono passati 18 anni, quel ricordo oramai è maggiorenne.
Domani ci ritroviamo, in treno verso Bologna, io e Lorenzo.
Sempre per un evento fumettistico.
Ma stavolta sediamo dall'altra parte dell'evento.
Avrò il piacere di presentare ASTROGAMMA (sua nuova creatura BAO Publishing, che praticamente sta andando già a ruba a pochi giorni dalla pubblicazione) proprio in quella amata Feltrinelli (ore 18).

Avrò modo su altre colonne di dissertare su questa nuova opera.
Rivelo solo un dettaglio, ignoto ai più, che vi potrà forse far comprendere quanto tenga a questo libro.

La prima versione di ASTROGAMMA risale a circa 10 anni fa.
L'idea iniziale era di fare un fumetto potente, veloce, rapido (caratteristiche tuttora rimaste), ma con una piega giocosa, goliardica, sbarazzina.
Scrissi dei dialoghi, francamente imbarazzanti: puntavo a una versione moderna di Ettore Petrolini, ottenni una versione povera di Maurizio Battista.
Ma, comunque, posso dire aver visto l'opera nascere.



LRNZ rivide poi completamente il progetto, ricostruendolo attorno a tematiche più profonde, tra il richiamo a Nietzsche e l'omaggio a Go Nagai.
Nelle varie versioni successive lo aiuterà nei testi il nostro comune, fraterno amico Alessandro Caroni, tra le menti più brillanti in circolazione.

Un'ultima considerazione, spero, me la consentirete.
Circa un anno fa scrissi una postfazione a GOLEM (il libro che ha segnato l'imponente debutto di LRNZ), in cui accennavo, nel breve spazio a disposizione, alla grande stratificazione simbolica del libro e concludevo definendola, più o meno, "l'opera importante di un grande autore".
Un'affermazione forte, trattandosi dell'opera d'esordio di un autore alla prima, ambiziosissima prova.
Molti pensarono che tale enfasi era dettata dall'antica, dichiarata amicizia con l'autore e che, forse, la complessa struttura allegorica che indicavo a fondamento dell'opera fosse tutto sommato una mia forzatura critica.

Bene.


Ci sono molti parametri per giudicare il successo di un'opera o di un autore: la popolarità, la fortuna critica, i premi delle giurie specializzate, l'impatto culturale, i bruti dati commerciali.
Dopo un anno posso affermare che GOLEM e, a quanto pare, anche ASTROGAMMA, rendono LRNZ uno dei pochissimi autori italiani in grado di soddisfare tutti questi parametri, brillantemente.



GOLEM è stato per un anno in classifica tra i libri d'arte più venduti in Italia su Amazon.
La critica in genere  non è stata solo positiva, ma elogiativa  (soprattutto, all'inizio, poi ci sono stati i soliti bastian contrari e anche qualche puntuale e intelligente rilievo sulla sceneggiatura): più testate hanno  inserito il libro tra le migliori uscite del 2014, ancor prima che uscisse.
Il Direttore Scientifico dell'Istituto di Tecnologia di Genova, Roberto Cingolani, ha pubblicamente lodato l'opera per il suo contributo alla diffusione dell'amore per la scienza (QUI)
Durante il Treviso Comic Book Festival LRNZ ha vinto il Premio Boscarato come miglior disegnatore italiano.
Durante il recente Lucca Comics & Games, in cui è stato presentato ASTROGAMMA, LRNZ è stato il secondo autore più venduto, in assoluto, per BAO (casa editrice che pubblica anche grandi autori stranieri), secondo solo dietro a Zerocalcare, il più grande fenomeno commerciale degli ultimi anni.
In tutto ciò, ha illustrato per Einaudi la più importante uscita del catalogo di quest'anno: La strana biblioteca di Murakami Haruki.
Ah, è stato protagonista, con vari ruoli del primo progetto cinematografico inteinternazionale della Bonelli, MONOLITH, di cui sarà anche disegnatore nella versione a fumetti (ne parlano gli autori QUI)
Tutto questo in un anno solare.

Faccio pubblica ammenda: effettivamente, esageravo.

P.S.
Per tutti coloro che hanno dubbi sull'effettiva esistenza di diversi livelli di lettura in GOLEM, presto con LRNZ apriremo un blog (dedicato alla grande mente dell'ispiratore Emanuele Sabetta) in cui sveleremo tutto l'impianto simbolico, nei dettagli, dell'opera.
Ci spiace per i molti lettori che già avevano colto tutto, speriamo possano comunque trovare l'approfondimento interessante.

P.P.S.
Ho appena scoperto ORA che Bob Dylan suona STASERA a Bologna.
...poi prendetemi in giro che medito...

venerdì 6 novembre 2015

MARIA GRAZIA CAPULLI - in ricordo di una giornalista libera



C'è una nota barzelletta resa nota dal magistrale racconto di Gino Bramieri, in cui un uomo si ritrova in un cimitero e leggendo i vari epitaffi, tutti altamente elogiativi ("Padre e marito esemplare", "Figlio devoto e grande lavoratore", "Amato da tutti" etc.) si chiede improvvisamente: "Ma i balordi dove li seppeliscono?.
Bramieri usava chiaramente un'espressione ben più pregnante, ma non vogliamo appesantire col turpiloquio il ricordo di una persona straordinaria.
Non è ipocrisia da prefiche di convenienza, né il buonismo d'accatto tanto in voga che ci spinge a ricordare con accenti di stima e gratitudine una persona recentemente scomparsa.
Come disse Eduardo De Filippo commentando commosso a caldo la morte di Pier Paolo Pasolini (con la lucidità dei giganti, ben distante dall'inopportunità dei nani 40 anni dopo) "sappiamo distinguere i morti dai morti e i vivi dai vivi".


Maria Grazia Capulli era una persona splendida.
E, soprattutto, una giornalista libera.


L'Italia, lo sappiamo, è scesa al 73° posto nella classifica mondiale della libertà di stampa, tra la Moldavia e il Nicaragua.
Il controllo dell'informazione (da sempre prerogativa del Potere ad ogni latitudine) durante il ventennio berlusconiano ha assunto connotati grotteschi.
Non si tratta più di deformare le notizie o darle parzialmente.
Siamo arrivati al punto di inventarle (quelle comode al Governo) o seppellirle nell'oblìo (quelle scomode).
Un'altra giornalista, collega in Rai di Maria Grazia, Maria Luisa Busi, ha avuto il coraggio in diretta di contraddire il ridicolo servilismo dell'allora direttore del TG1 Minzolini, denunciando la drammatica situazione successiva al terremoto de L'Aquila (raccontata spietatamente nel documentario Draquila di Sabina Guzzanti che potete vedere QUI), ben lungi dai proclami trionfalistici dei trombettieri prezzolati di Berlusconi e Bertolaso.


La Busi, che con grande coerenza toglierà il suo volto dal tg per non rappresentare più una linea editoriale che non condivideva, racconterà in seguito nel libro Brutte Notizie (edito da Rizzoli) lo sconcertante sistema di selezione delle notizie del telegiornale più seguito d'Italia: invece di raccontare abusi di potere, gravi tensioni sociali o scandali in Parlamento, si sostituivano tali notizie con lunghi servizi sul gossip, sagre di paese o animali esotici.
L'applicazione scientifica di uno dei punti chiave del Piano di Rinascita 2 di Licio Gelli: usare sistematicamente la (dis)informazione per inebetire le masse e disarmare qualsiasi movimento critico potenziale.
40 anni dopo la sua morte, non possiamo non sottolineare che Pasolini aveva predetto tutto.


In questo contesto penoso, in questo mondo dell'informazione gestito da vili e mediocri, è doveroso ricordare una giornalista come Maria Grazia Capulli, perennemente controcorrente.
In un mondo che voleva parlare di fatti di sangue per instillare la paura degli immigrati, Maria Grazia parlava di integrazione e rispetto della diversità.
In un regime che incollava le masse agli schermi con donne nude e giochi a premi, Maria Grazia parlava di ricerca spirituale, volontariato, impegno nel sociale.
In un Sistema che bombarda gli elettori di notizie cruente e negative per deprimere ogni impulso al cambiamento, Maria Grazia aveva deciso di dare solo buone notizie.
Da circa un anno aveva ideato la rubrica Tutto il bello che c'è, in cui si continua a mostrare il lato meno conosciuto dell'Italia, meno appetibile per chi ragiona solo in base all'audience: l'Italia del volontariato, dei mille progetti per l'integrazione, dei miracoli culturali che vengono dal basso.
Uno spazio televisivo dove dare visibilità alle forze che provano a cambiare sul campo la situazione del Paese.

Non è da tutti.

Maria Grazia ci ha lasciato dopo una lunga dolorosa lotta contro un male incurabile.
Avevo avuto il piacere di incontrarla, mi aveva colpito la sua gentilezza, la sua viva intelligenza, il suo essere sinceramente interessata e partecipe alle attività di volontariato che svolgevamo.
Non a caso il suo direttore Marcello Masi ha ricordato nell'omaggio funebre come all'inizio non comprendesse alcuni suoi atteggiamenti, realizzando solo in seguito la sua autentica bellezza d'animo.

L'ultimo servizio che da giornalista ha realizzato, poche ore prima di lasciarci, è stato quello su MediTiAmoRoma, la manifestazione dedicata alla meditazione e al volontariato a cui ho avuto l'onore di partecipare dietro le quinte.
L'ultimo suo post su Facebook era un invito a diffondere la notizia dell'evento.
L'ultimo suo desiderio è stato dare visibilità a un evento gratuito, realizzato senza sponsor, che tramite l'impegno di pochi volontari (e la generosità di partner come il Coni che ci ha concesso la Tribuna Monte Mario, il Comune di Roma che ci ha dato il patrocinio, i giocatori Totti della Roma e Keìta della Lazio che hanno gratuitamente promosso l'evento) ha portato alle 11 di mattina di sabato, sotto la pioggia battente, circa 3000 persone allo stadio, a meditare per la pace nel mondo.
Sgombriamo il campo da equivoci: la persona che stiamo ricordando non faceva parte dell'associazione, non aveva interessi né economici, né ideologici a riguardo, addirittura seguiva un percorso meditativo completamente differente da quello proposto nell'evento, pur avendo un grande rispetto per Shri Mataji Nirmala Devi, l'ispiratrice della manifestazione.


Ha semplicemente visto il nostro impegno, ha compreso il nostro desiderio, ha riconosciuto i nostri ideali e, quasi sul letto di morte, ha inviato la troupe televisiva per documentare il nostro evento.
Non potremmo mai dimenticarlo e ti saremo per sempre grati.

Ciao, Maria Grazia.
Come direbbe il personaggio di una nota serie tv: "ci vediamo in un'altra vita, sorella".

P.S.
Il servizio su MediTiamo Roma, quello che Maria Grazia voleva che tutti vedessero, lo trovate QUI
Ringraziamo di cuore Silvia Vaccarezza, Loretta Cavaricci e tutta la redazione del TG2 per la splendida dedica e la realizzazione del servizio.
Buona visione.



martedì 3 novembre 2015

ARF! - Il FILM


È finalmente uscito il film dell’ARF!, il racconto punk in 10 minuti della prima edizione del festival romano di fumetto che ha riportato al centro del festival...il fumetto.
Non è una tautologia: sono stati giorni importanti, in cui la logica natura delle cose è stata ripristinata.
Troppo spesso, nelle manifestazioni ufficialmente ispirate alla nona arte, quest’ultima viene fagocitata da eventi su videogiochi e serie tv, seppellita dai costumi dei cosplayer, paradossalmente ignorata negli spazi nati per essere ad essa dedicati.
Il video coglie bene lo spirito dinamico e la ricchezza di contenuti dell’ARF!: accanto agli autori importanti e ai volti noti collegati al fumetto italiano, si vedono i tanti ragazzi accorsi, gli incontri su vari temi, l’alto livello dei relatori e degli ospiti, si respira l’atmosfera palpitante e informale di un evento organizzato spontaneamente col puro desiderio di approfondire un’arte spesso negletta in Italia.
Un evento in cui si poteva assistere a un incontro con Zerocalcare e il Danno, prendere un caffè con Gipi e conversare con Matteo Garrone.

Il video, diretto da Giovanni Bufalini, è stato prodotto dalla Dauphine Factory, un progetto nato dalla società di produzione Dauphine Film Company (quella de “Una famiglia in giallo”, “Il Commissario Manara”, “In nome del figlio”, "L'ultimo papa re").
Il progetto nasce come piattaforma che ha come scopo portare le produzioni meno visibili al grande pubblico, facilitandone l’accessibilità.

Uno spirito affine a quello dell’ARF!.
Non vediamo l’ora che arrivi la seconda edizione, è stato un piacere e motivo di fierezza collaborare da pioniere con gli organizzatori: Mauro Uzzeo, Stefano Piccoli, Fabrizio Verrocchi, Paolo Campana, Daniele Bonomo e Luca Raffaelli.

Nel breve film mi trovate: all'inizio (accanto all'autore del video Giovanni Bufalini) nel primo fotogramma, alla fine (nei ringraziamenti) e in mezzo, mentre converso con Matteo Garrone (e in una posa conturbante con Demetra Hampton).

Ah, dimenticavo...
Eccolo QUI
Buona Visione

THE MUSICAL BOX- Selling England by the Pound live!



Abbiamo già affrontato QUI le motivazioni per cui ogni concerto dei The Musical Box è per noi un evento imperdibile e non una sterile replica di un passato irripetibile.
Non potevamo, dunque, perdere l'occasione di testimoniare ancora una volta il prodigio, stavolta applicato ad una delle nostre opere predilette, Selling England by the Pound. Potremmo scrivere centinaia di pagine sul valore straordinario di quel disco, sulla ricchezza dei suoi temi sociali, sulla complessità (confusa ma generosa) dei simboli evocati dal fermento spirituale del giovane Peter Gabriel, sullo splendore compositivo dei brani.
Ci limiteremo qui a riportare una onesta cronaca dello spettacolo romano della cover band canadese.



La protocollare apertura con Watcher of the Skies sgombra immediatamente ogni consueto dubbio.
È letteralmente impressionante la cura con cui viene ricreato ogni singolo particolare di quelle leggendarie esibizioni: non solo le note (innumerevoli e velocissime) sono restituite fedelmente, a volte, meglio che nelle versioni originali (il gruppo canadese ha avuto anni per studiarle con precisione maniacale, pensiamo a quante volte Banks sbagliò dal vivo la sua migliore composizione, l'intro di Firth of Fifth), ma i costumi, le mosse, gli effetti speciali artigianali, le gag introduttive, i monologhi surreali, tutto è la ricostruzione perfetta degli spettacoli dei primi Genesis.
L'effetto è straniante, forte è la tentazione di cedere alla metafora della macchina del tempo.
Si sa che ciò a cui si assiste è una recita, eppure tra la bravura degli attori e il transfert dello spettatore, si crea un equilibrio paradossale tra (consentitemi ogni tanto espressioni comuni e anglofone, le regole esistono per essere infrante al momento giusto) wishful thinking e sospensione dell'incredulità: in quel consapevole desiderio d'illusione si manifesta l'epifania di una sfuggente, poetica emozione.
Anche perché, certo, i ruoli sono simulati, ma la musica è vera, suonata dal vivo, si sprigiona arcana e trascinante dagli strumenti a pochi passi da noi, risuonando eterna come la melodia di un'opera lirica alla Scala.

Teoricamente, tale spettacolo dovrebbe essere interessante solo per chi come me, essendo nato alcuni dopo lo scioglimento della formazione originale, non ha mai avuto, e certo non avrà più, la possibilità di vedere quei Genesis dal vivo (con quei suoni, quei costumi, quella vivida esplosione di giovane genio). Per chi, invece, ebbe la fortuna di testimoniare l'autentico miracolo, la grazia d'assistere alle contorsioni da fauno filiforme dell'Arcangelo di nero vestito Gabriel, l'onore di esser membro dell'accolita nostrana di iniziati che per primi in Europa riconobbero la grandezza del gruppo, tale riproposizione in copia carbone dovrebbe apparire triste e insensata.
E, invece, la sala è stracolma di sessantenni, appassionati di progressive. Ma non c'è nostalgia nei loro volti, non c'è rimpianto idealizzante o triste rimembranza.
C'è la serena certezza dell'appassionato, consapevole di stare per assistere ad una impeccabile riproduzione dal vivo della sua musica prediletta.
Come nella sala accanto fanno gli ascoltatori di musica classica o jazz.
È questo il quid dei The Musical Box.
Certo, non si limitano ad essere degli esecutori impeccabili.
Il vero incanto è riuscire a ricreare quell'atmosfera irripetibile, complici i costumi, le luci, le movenze, gli strumenti, tutto rigorosamente d'antan.


Quando i primi versi di Dancing with the Moonlit Knight risuonano in nuda voce nel silenzio religioso dell'Auditorium, il tempo sembra davvero fermarsi.
La progressione melodica, l'assolo di chitarra seminale del tapping, l'esplosione sinfonica del refrain, tutto custodisce preziosamente l'impatto sonoro del brano.


Si prosegue non seguendo la scaletta dell'album, ma dell'omonimo tour. Ecco, quindi, The Cinema Show, il brano ispirato alla parte più malinconica de The Waste Land, in cui T.S.Eliot distilla la lezione di Laforgue per illustrare lo squallore dei rapporti umani nel Kali-Yuga.



I know what I like (In Your Wardrobe) scorre via con la sua piacevolezza pop, che nasconde divertiti doppi sensi antiborghesi. Anche qui, fedelissima la riproposizione della mimica di Gabriel nell'introdurre la figura del Giardiniere Cosmico (simbolico falciatore di vite quotidiane, non solo dell'erba alta del giardini all'inglese),


Non appena nella sala risuona l'intro pianistica di Firth of Fifth l'applauso sorge spontaneo, infrangendo la solennità da musica da camera che finora imperava nell'evento.

 

Singolare che il gruppo considerasse il testo poco riuscito, quando nel brano compaiono alcuni dei versi più memorabili delle canzoni del gruppo (terminato da Banks e Rutheford su idea di Gabriel), una splendida riflessione sul divenire: "il cammino è chiaro, sebbene nessun occhio possa vedere".


Il brano immortale che dà il nome al gruppo, cavallo di battaglia principe di ogni riproposizione (che meritò anche la partecipazione di Phil Collins) è reso col consueto crescendo teatrale, travolgente e sinfonico.
Il concerto potrebbe finire qui (come altre volte), col climax orgasmico e mortale del bimbo invecchiato nel limbo, torturato da desideri inappagati dopo la morte grottescamente violenta, come nella tradizione ebraica del Dybbuk.


E, invece, fortunatamente continua.
Intatta è la magìa di Horizons, un brano musicale in cui la composizione per chitarra acustica di Steve Hackett emette le stesse vibrazioni armoniose di un raga di Hari Prasad Chaurasia o di un quartetto d'archi di Vivaldi: la sala di S.Cecilia è immersa nella silente grazia di una improvvisa meditazione.
La devozione filologica è tale che la band non si risparmia nemmeno The Battle of Epping Forest: un'articolatissima narrazione epico-parodistica di uno scontro fra gang, in cui momenti di intelligenza purissima si mescolano ad eccessivi compiacimenti; gli stessi membri della band la considerarono troppo verbosa, oltre che complicata da suonare dal vivo, a cui va aggiunta la pericolosità della performance di Gabriel, che volava rischiosamente appeso a un filo sul palco (evidentemente, non apprese bene la lezione all'epoca visto il noto incidente a Sanremo nel 1983).



E arriva finalmente il brano-suite, il capolavoro Supper's Ready, forse lo sforzo poetico-musicale più ambizioso di Gabriel & Co.
Un percorso poetico-musicale senza raffronti nella Storia del Rock, ispirato al nostro santo protettore William Blake, che attraversa la visione mistica, la denuncia sociale, il cabaret jazzistico, i deliri tantrici per arrivare a una palingenesi epocale, profetica, definitiva.
Un giorno ci scriveremo un libro, sulla grandiosa complessità simbolica di questo brano.


Il concerto si conclude, come da scaletta originale, con The Knife, brano dalle sapienti tinte hard rock, in cui il parossismo accostabile ai migliori The Queen, accompagna uno dei testi più intelligenti di Gabriel sulle dinamiche orwelliane del Potere, quando si ammanta dell'ideale nobile della Rivoluzione.

Al termine, rimaniamo sospesi nell'incanto.

Nonostante non siano gli originali, nonostante tutto sia studiato a tavolino, nonostante sia una replica del passato, ebbene, possiamo annoverare alcuni momenti del concerto (Horizons e il finale di Supper's Ready su tutto) tra le più alte esperienze estetiche che abbiamo mai vissuto, in una vita dedicata all'Arte.