mercoledì 5 dicembre 2018

Il "Faust" di Pessoa - l'abisso della ricerca




Il Faust di Fernando Pessoa è un compendio poetico pressoché definitivo della sua weltanschaaung, un tributo all'inquietudine come condizione ontologica, di cui le celebri ultime parole dello scrittore (dette in inglese, sua lingua d'adozione, "I know not what tomorrow will bring...") appaiono come l'epitaffio definitivo.
Opera incompiuta, pubblicata post mortem, questa versione del Faust appare come una summa vertiginosa di temi eminentemente novecenteschi: l'inquietudine, l'incomunicabilità, lo smarrimento delle coordinate etiche e morali, il fallimento della religione, le tenebre della morte di Dio. Questo a conferma della sensibilità profetica di Pessoa, dacché la prima versione del testo risale al 1908 (anche se poi sarà ossessivamente riscritto per tutta la vita).
Un'opera in cui accenti leopardiani e elevazioni baudelairiane si alternano nella visione di un ricercatore scisso, un iniziato che ha perso la fede negli stessi Misteri a lui rivelati.

Significativi questi versi risuonanti all'inizio:

" Ah, tutto è simbolo e analogia!
Ti vento che passa, la notte che rinfresca
sono tutt'altro che la notte e il vento:
ombre di vita e di pensiero.

Tutto ciò che vediamo è qualcos'altro.
L'ampia marea, la marea ansiosa,
è l'eco di un'altra marea che sta
laddove è reale il mondo che esiste.

Tutto ciò che abbiamo è dimenticanza.
La notte fredda, il passare del vento
sono ombre di mani i cui gesti sono
l'illusione madre di questa illusione.


Tutto trascende tutto
ed è più e meno reale di quello che è"

Così medita Faust nel suo studio.
In una rivisitazione post-nietzscheana del poema di Goethe (omaggiato nel testo, come d'uopo) e del mito medievale.
Un testo che vi invitiamo a leggere e rileggere.

Arriviamo alla messa in scena (proposta il 4 Dicembre al Teatro di Villa Torlonia e riproposta domani 6 Dicembre a quello di Tor Bella Monaca).


Innanzitutto, perdonatemi, due note tecniche: il teatro (terminato nel 1874) è un gioiello di fusione di stili, dal neoclassico al gotico, dal moresco al rinascimentale.
Però, per godere appieno dell'atmosfera e dell'acustica, sono necessarie due misure urgenti: il taglio della mano destra (sinistra, in caso di mancini) al proprietario di un cellulare acceso alla seconda notifica squillante durante lo spettacolo; delle due, l'una: o si cambia il pavimento in legno, o si consente al gentile personale in sala di non indossare i tacchi durante il servizio di lavoro.

Ora possiamo parlare dello spettacolo.
Partiamo dall'idea: Maria Inversi ha un curriculum di straordinario interesse, avendo portato in scena le più alte voci, spesso femminili, del Novecento, da Simone Weil (raccontata da Ingeborg Bachmann) a Maria Zambrano, da Etty Hillesum a Sylvia Plath, addirittura ha affrontato un tema a noi preziosissimo come la riscrittura dell'archetipo in Medea (certo, ha portato in scena anche un testo di Ludovica Ripa di Meana, ma nonostante questo la media rimane alta).

Dunque, complimenti per le letture, l'impegno, lo sforzo di divulgazione.

Sullo spettacolo in sé, comincian le dolenti note.
L'idea è corretta: leggere in scena l'opera, ritmata dalla musica più vicina a Pessoa (la fisarmonica venata di suggestioni orientali del compositore Marcello Fiorini, le sperimentazioni al contrabbasso di Mauro Tedesco, l'incanto improvviso della voce di Oona Rea).
Il problema è uno solo: COME leggere.

Non si può leggere un testo abissale come il Faust di Pessoa con un tono da comizio, con una scansione didascalica e quasi da prete di periferia.
Ci vorrebbe davvero il Carmelo Bene dei Canti Orfici.
Ma basterebbe anche il meno sublime ma impeccabile Vittorio Sermonti de La Divina Commedia.

Non amo stroncare i giovani artisti, credo che vadano sempre incoraggiati, ma anche consigliati: la sfida è difficilissima, avrebbero fallito anche attori di maggior prestigio.
Proprio per questo bisogna affrontare con misura e discernimento la scalata a certe altezze.
Se si cade dall'alto, logicamente, ci si fa più male.

Maria Inversi

Delle voci recitanti in scena, solo la stessa regista Maria Inversi e Rita Pasqualoni affrontano i versi col giusto pudore e rispetto.
Vorremmo risentire lo spettacolo letto solo da loro.

In conclusione, un plauso per la scelta, il coraggio e l'ottimo lavoro di divulgazione, ma ci rimane l'amara sensazione che la Forza della Parola (se recitata) viene indebolita e non aumentata se la voce che la diffonde ne viene travolta.



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