martedì 22 marzo 2016

Michelangelo. Vita - per noi "Umano, troppo umano" #LEgidadiAtena




Le Rime michelangiolesche sono un patrimonio di bellezza poetica e dolente sapienza interiore, non ancora degnamente esplorato dal grande pubblico, oscurato dal mastodontico splendore dell'opera figurativa del genio toscano.
Un precipitato di abissale introspezione, riversato (pur con sapide concessioni al parlar domestico) nell'armoniosa cornice della convenzione petrarchista (koiné letteraria a cui aderì anche l'altro immortale genio Shakespeare, nato poche settimane dopo la scomparsa di Michelangelo in un ideale passaggio di testimone fra affrescatori dello Spirito eterno),
Versi stentorei e tremendi, dall'afflato a tratti  apocalittico, che non raramente anticipano (in forma e contenuto) la cristallina riflessione pessimistica di Leopardi, come  in QUESTI versi recitati da Vittorio Gassman o nell'eclatante, memorabile esempio che qui riportiamo:

  O notte, o dolce tempo, benché nero,
con pace ogn’ opra sempr’ al fin assalta;
ben vede e ben intende chi t’esalta,
e chi t’onor’ ha l’intelletto intero.
  Tu mozzi e tronchi ogni stanco pensiero;
ché l’umid’ ombra ogni quiet’ appalta,
e dall’infima parte alla più alta
in sogno spesso porti, ov’ire spero.
  O ombra del morir, per cui si ferma
ogni miseria a l’alma, al cor nemica,
ultimo delli afflitti e buon rimedio;
  tu rendi sana nostra carn’ inferma,
rasciughi i pianti e posi ogni fatica,
e furi a chi ben vive ogn’ira e tedio.

Sappiamo bene come  Michelangelo abbia affidato proprio alle rime la più compiuta definizione della sua poetica del non-finito:

Non ha l’ottimo artista alcun concetto
c’un marmo solo in sé non circonscriva

Lo Schiavo Barbuto di Michelangelo
Tutta la poetica michelangiolesca è attraversata dalla tensione dell'anima verso il Divino, soffrente perché imprigionata nella prigione della materia (come poi magnificamente espresso in scultura nel ciclo dei Prigioni).
Si tratta di tematiche cruciali nella riflessione neoplatonica, intuizioni di antica derivazione orfico-pitagorica, meditate a lungo nelle differenti, contrastanti forme della rivelazione gnostica.

Antonio Piovanelli
Poco, o quasi, di questo ritroverete nello spettacolo Michelangelo. Vita, adattamento delle Rime e delle Lettere di Antonio Piovanelli per la regia di Giacomo Andrico.
Un progetto che ha ossessivamente accompagnato Piovanelli, attore dall'esperienza straordinaria, vissuta in teatro e al cinema accanto a nomi quali Visconti, Strehler, Bellocchio, Montaldo, Ronconi e i due fratelli Bertolucci, definito da Franco Quadri un attore "grotowskiano".

Uno spettacolo la cui idea nacque sul set di Novecento, debuttando più di 40 anni fa, tramite Giuseppe  Bertolucci, nella cantina romana "l'Alberichino", la stessa sera che Benigni esordì col suo spettacolo sul personaggio di Mario Cioni.
Michelangelo. Vita è uno spettacolo generoso, suggestivo, filologicamente fedele, ma di cui non condividiamo l'interpretazione umana e filosofica del grande genio michelangiolesco.
La dialettica tra Tormento ed Estasi, come cristallizzata nel celebre romanzo di Irving Stone, è tutta sblianciata sulla bilancia della sofferenza,
C'è molto più Savonarola che Marsilio Ficino nel Michelangelo di Andrico  e Piovanelli.
Fin dall'inizio della messa in scena, essenziale eppure capace di grande suggestione, il protagonista appare in una muta contrizione su un inginocchiatoio, avvolto dai fumi delle candele e dal disordine dei suoi furiosi appunti, Solo sullo sfondo, come memorie ideali o proiezioni creative, i capolavori: la Cupola di S.Pietro e il più celebre Prigione, evidente specchio dell'artista in scena,
La prova attoriale di Antonio Piovanelli è intensa e ragguardevole per impegno, potente ad esempio quando arcua il corpo per dare carne ai versi in una vivente torsione, appunto, "michelangiolesca", ma enfatizza, a nostro modesto giudizio, solo l'aspetto "umano, troppo umano" del genio.
Comprendiamo, certo, come questo sia l'intento: mostrare non l'artista glorioso, l'illuminato artefice, ma l'uomo, l'uomo nudo nel suo dolore, nella sua miseria inconsolabile, anche negli aspetti meno nobili e seducenti del suo carattere, senza cedere nulla alla retorica agiografica.
Comprendiamo.
Ma, per l'immenso rispetto che tributiamo a uno dei più grandi artisti d'ogni tempo, la rappresentazione ci appare un ritratto limitato, benché onesto.
Come Forman enfatizzò arbitrariamente (per fini spettacolari) il volto goliardico e folle di Mozart, in questo caso è il temperamento furioso e incontentabile, rivolto spesso in pozze di nera disperazione, ad esser presentato come profilo psicologico dell'artista.
Francamente, più che Michelangelo a Firenze ci sembra di vedere Louis-Ferdinand Céline a Meudon.
Apprezziamo la volontà di essere fedeli al dato reale, l'impeccabile cura filologica (ogni parola proferita è scritta dalla penna di Michelangelo, nei versi o nelle lettere), ma mostrare colui che ha eternato la Bellezza in una luce spirituale immortale solo (quello è il punto, solo) mentre si lamenta col nipote di questioni ereditarie, si lava i piedi, si affligge perché è stato truffato, si dispera per la morte del fido servo Urbino, si strazia tra la necessaria sottomissione formale all'autorità vaticane e la fierezza umiliata dell'artista, ecco mostrare solo questo (lasciando per scontato la nobiltà, la tensione sublime, la visione pura e immortale) fa apparire il protagonista come un umarell fuori di testa.
L'effetto ricercato era quello, probabilmente, e quindi lo spettacolo è pienamente riuscito.
Michelangelo come Van Gogh e non come S.Francesco.
Certo, fedele al reale.
Ma, forse, non al vero.
Crediamo, che la grandezza michelangiolesca sia proprio (pur nella negazione del corpo come prigione dell'anima) nell'aver incarnato artisticamente la più alta dignità umana, il superamento catartico del dissidio interiore nella più alta armonia rinascimentale, anticipando le intuizioni del suo futuro gemello intellettuale William Blake.
Ci riferiamo a una poesia dal titolo certo non casuale, parlando di Michelangelo, ovvero La Divina Immagine:

La Grazia ha cuore umano;
Volto umano, Pietà;
Umana forma divina, l'Amore,
E veste umana, Pace

Lo spettacolo è in scena al Teatro India fino al 24 Marzo.
Nonostante la diversa visione della grandezza di Michelangelo Buonarroti, invitiamo comunque a non perdere l'occasione di approfondire pagine e aspetti meno noti del grande artista, resi in una tremante e umanissima interpretazione.

Ascoltare dal vivo tali versi è comunque un'imperdibile emozione.

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