giovedì 16 ottobre 2014

La Trattativa di Sabina Guzzanti - un film importante



Ho visto "La Trattativa".
Lasciate perdere visioni politiche, antipatie o simpatie per l'autrice.
È un film serio, coraggioso, importante.
Realizzato con durezza e inaspettata asciuttezza.


Strano e affascinante il destino dei fratelli Guzzanti, menti brillanti, comici di innegabile talento, lucidissimi osservatori della contemporaneità, nel cui DNA è inscritto il segno della grande riflessione intellettuale, clamorosamente virata dalla figura paterna (comunque notevole intelligenza dialettica) sul fronte opposto. 
Non è esagerazione dire che le analisi politiche più lucide e centrate sul fallimento sleale e il progressivo smarrimento d'identità della Sinistra italiana sono state da loro dispensate in tempi non sospetti.

Amaro privilegio che dividono in Italia con altri intellettuali di ambito artistico e non strettamente politico, come Nanni Moretti e Giorgio Gaber (per non scomodare Pasolini, ma lì si entra nell'ambito del dono profetico). 


Col potere liberatorio della risata, secondo l'assunto ruzantiano del giullare medievale, hanno rivelato, e spesso puntualmente anticipato, le derive grottesche della politica italiana degli ultimi vent'anni.



Tra i due fratelli maggiori, Corrado e Sabina. l'autrice è sicuramente quella più esplicitamente impegnata civilmente, più diretta e "politica" nel senso alto del termine. A questo riguardo, un rilievo che spesso si può muovere al suo approccio satirico è di mancare di quella leggerezza, propria del genio, che è tratto peculiare delle riflessioni di Corrado. Usiamo il termine nella ormai comune accezione profonda, conferitagli da Italo Calvino nelle sue celebri Lezioni Americane: "leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore".
Un eccesso di sarcasmo acido, di livore dialettico, di pesantezza mentale inquinava le sue ultime (pur sempre interessanti) prove satirico-documentaristiche.
Se da un lato tale implacabile rancore poteva essere giustificato dalla gravità delle accuse rivolte al Potere, dall'altro innegabilmente indeboliva la potenza delle sue argomentazioni.



Quando raggiunge l'equilibrio, come tutte le donne coraggiose, la regista riflette incosciamente la potenza dell'archetipo di Shri Mahakali: il purissimo potere femminile che, nella tradizione indù, sfida e massacra i demoni dell'ingiustizia.
Quando lo smarrisce, spunta da sola le proprie armi con l'eccesso di arrovellamento fegatoso.



Nulla di tutto ciò nel suo ultimo film, La Trattativa.

Un film importante.
Un esempio, serio e rigoroso, di cinema civile.
Ciò che colpisce non è il grande dettaglio documentale, o la potenza espressiva. Sono qualità a cui la Guzzanti ci ha abituato. Ciò che colpisce è proprio l'asciuttezza della progressione argomentativa.
Ed appunto, ciò che mancava in passato: un solido equilibrio formale, una grazia interiore (non a caso tema circolare del film)  che ispira il racconto, anche nei momenti di più intollerabile cupezza.
La fotografia di Ciprì garantisce una qualità visiva di livello internazionale.
Un plauso agli attori, tutti notevoli, nel bilanciare realismo e caratterizzazione di personaggi a volte stra-famosi, altre volte oscure comparse o cruciali marionette del sordido disegno criminale che di fatto ci governa da decenni.



Lo straniamento brechtiano è utilizzato con saggezza, senza appesantire. La cornice del racconto conferisce al teatro il suo antico ruolo di luogo della crisi, dell'analisi sociale, dell'introspezione collettiva: nello svelare il trucco della finzione recitativa dall'inizio  (gli attori che si truccano all'interno del teatro prima di interpretare i protagonisti reali), ancor più appare deflagrante il messaggio della finzione manipolatoria delle versioni ufficiali.
Possiamo dire che si tratta di una compiuta evoluzione della teoria e pratica del teatro di Dario Fo.
Detto da un ammiratore di Carmelo Bene, è indubbiamente un complimento.

Non voglio rivelare nulla delle rivelazioni (scusate il bisticcio), perché desidero intimamente che tutti vediate il film. Quello che ne Il Divo di Paolo Sorrentino veniva suggerito con la sottile ambiguità ontologica del protagonista, qui viene esposto con preciso rigore logico-argomentativo e una convincente asciuttezza formale.



Bellissima l'intuizione dell'esame di teologia del pentito Spatuzza, che non riesce inizialmente a rispondere alla definizione del concetto di Grazia.
La Guzzanti ha l'intelligenza e la sensibilità di non esplicitare come la risposta giusta non sia nelle elucubrazioni filosofiche di millenni di dibattiti, ma nell'esempio luminoso e commovente di Don Puglisi, che in punto di morte sorride ai suoi sicari . 



Abbiamo già omaggiato simili accecanti momenti di luce nella storia italiana (QUI).
Dopo quasi due ore di indignazione e di rovesciamento dei ruoli (ci si ritrova ad ammirare il coraggio di un pentito e a disprezzare l'ignavia delle istituzioni, questo spiega anche la controversa battuta dell'autrice sulla "solidarietà" a Riina e Bagarella degli ultimi giorni), si avverte la sensazione fisica di oppressione che i latini chiamavano angustia.



Ma il finale del film, centratissimo, scioglie ed eleva il cuore in una commozione spirituale, in un profondo anelito ideale. Un imperativo morale spontaneo, imposto dal rispetto delle poche figure che hanno combattuto a testa alta nel pantano immondo della trattativa: su tutti, Falcone, Borsellino, Don Puglisi.
Ha ragione il  caro collega Giorgio Brusco, del blog dedicato alla meditazione benvenutinparadiso: questo film, affermando QUI che se questo film venisse visto da tutti, potrebbe rappresentare la catarsi collettiva della storia recente italiana.
Vedetelo.
E parlatene.



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