martedì 24 settembre 2013

ULTIMO TANGO A PARIGI - Maria Schneider e la scena del burro






Ora che il clamore tardivo sulle recenti parole di Bernardo Bertolucci riguardo la genesi della più famosa scena di "Ultimo Tango a Parigi" si è sedimentato, credo di poter proporre una riflessione diversa, che ardirebbe spostare il discorso un pò oltre rispetto alle infiammate diatribe dei giorni scorsi.                                                                                 
Pietra dello scandalo è la recente intervista, ripresa in un articolo di IO DONNA (che trovate QUI ). Ivi Bertolucci confessa 40 anni dopo che la famosa scena del "burro" era stata girata a sorpresa, senza il consenso dell'attrice, per ottenere l'effetto realistico delle lacrime di una donna umiliata.  Da anni, del resto, l'attrice sosteneva di essere stata abusata psicologicamente sul set, e che quella scena le aveva condizionato la carriera (per non usare l'abusata espressione "rovinato la vita").

E, subito, su media e social network è divampato feroce il dibattito,.

Molti fra i commentatori, presi dalla concitazione dialettica, hanno peccato, secondo il mio umile giudizio, di discernimento.
Chi minimizzava l'episodio di fronte alla statura storica dell'opera, chi ridicolizzava l'episodio perché l'articolo era scritto male, chi al contrario diceva che il film allora era orrido perché una donna era stata violentata sul set.
Ma quella che è per me è la sostanza ardente della questione è sfuggita nel gioco delle facili contrapposizioni maschilista/femminista, cinico/sensibile,  nel rimpallo dialettico dettato dalla malafede ideologica.
Secondo me, il cinismo da uomini navigati ed esperti del settore è uguale e contrario al perbenismo ipocrita o ai luoghi comuni femministi (o maschilisti, o cattolici, o gianisti, etc...).
 Sono lenti deformanti, abiti intellettuali che si indossano come magliette della propria squadra, che inquinano la riflessione con il veleno inebriante del pregiudizio e dell'arroccamento sulle proprie posizioni.

Scusate se dico cose ovvie, forse, per molti ma evidentemente non per tutti: il fatto che il film sia un (presunto) capolavoro non giustificherebbe un (eventuale) stupro sul set, come la rivelazione dell'episodio (gravissimo, se si confermasse verificato) non inficerebbe la bellezza estetica del film; stesso discorso per l'articolo: il fatto che sia scritto con un insopportabile tono strappalacrime, utilizzando obsoleti argomenti femministoidi (tipo "l'uomo penetrabile analmente" etc.) non sminuisce la portata della notizia (in realtà vecchia di anni), viceversa la gravità dell'episodio (se reale) non  renderebbe automaticamente il pezzo un capolavoro del giornalismo.
Lo so,  2+2= 4 ma spesso bisogna ricordarlo.




Sintetizzando bruscamente: il fatto che l'articolo sia un coacervo di urticanti banalità non rende transitivamente sbagliata la (giustissima) indignazione per i toni volgarmente sprezzanti del regista.

Affrontiamo ora il "mostro sacro", l'opera cinematografica, per me da sempre un totem  posticcio che radica e affonda nel fango (a dispetto dei tabù che pretendeva di spezzare).

Iniziamo col dire che il film  è sopravvalutato e, per la mia sensibilità, irritante.
Per carità, la suggestione estetica della fotografia di Storaro con la struggente colonna sonora di Gato Barbieri è potentissima. L'impatto delle immagini di Bertolucci è innegabile.
Ma il film non ha fatto altro che sfruttare grossolanamente tematiche complesse e per nulla originali (l'incomunicabilità che rende il rapporto amoroso simile a una tortura o a un'operazione chirurgica, soprattutto nelle grandi metropoli, nella fattispecie proprio Parigi, è tema intuito un secolo prima da Baudelaire e poi esplorato definitivamente in tutte le arti del Novecento).  Sfruttate per ridurle a luogo comune, e divenirne lo "scandaloso" manifesto.
Stiamo davvero parlando di una seduzione superficiale per adolescenti imbevuti di letture maledette. 
Al di là del magnetismo endemico degli attori, e le atmosfere confezionate ad arte per evocare eros e thanatos in versione postmoderna e decadente, il film ha ben poco da offrire.
La tanto celebrata recitazione di Brando, come non a caso Pasolini intuì, è tutta sopra le righe, caricatissima e inutilmente retorica. La Schneider,  pur nel suo languido fascino iconico, è altrettanto caricaturale. Talmente caricate le recitazioni, da rendere esagerate perfino le imitazioni che ne fanno Woody Allen e Diane Keaton ne "Il Dormiglione".



Il film è un banale manuale di  nichilismo patinato. E non c'è nulla di più deprecabile della disperazione in posa. Si tratta di bieco voyeurismo truccato da inno alla rivoluzione sessuale. Un'eruzione di maldestro machismo col seducente maquillage parigino della rivoluzione sessantottina, e un velo esistenzialista a coprirne l'imbarazzante povertà filosofica.

Affrontiamo ora la scena sotto accusa.
Facendo una media delle varie dichiarazioni, e rivedendo la scena, non credo che si possa parlare di stupro, ma di manipolazione psicologica si. Penalmente meno grave, culturalmente altrettanto. 
Vorrei andare oltre lo sciocca valutazione moviolistica sull'effettivo abuso, o le considerazioni  sul limite tra finzione recitata e reale sofferenza.
Sono considerazioni in un caso pettegole, in altro delicate, che ci portano fuori strada.
 Per me il fatto che Maria Schneider fosse consapevole o meno della scena è quasi (un quasi enorme e determinante, mi si dirà) indifferente. 
Non reagite, mi spiego. Intendo, che per me la manipolazione del suo corpo, e dell'immagine femminile,  c'era stata già, comunque, a priori. 
Parlo a livello culturale. E' chiaro, a livello morale, umano, psicologico (e se si fosse verificata e non solo simulata la violenza ovviamente anche penale) c'è un abisso. Ma a livello culturale, di tragedia culturale, è praticamente lo stesso.
Ben prima delle tardive confessioni, il film è già di per sé ributtante. Bertolucci era già stato un furbo maschilista, Brando era già cinicamente  complice (se ne sarebbe in seguito comunque vergognato), la figura della donna già umiliata.  E non per la presenza di una scena di sodomia.
 Il mio non intende essere un discorso moralistico.
Ciò che non posso apprezzare è il compiacimento di voler raccontare una storia torbida, facendo leva sulle pulsioni più basse degli spettatori, imbastendo il tutto come un'opera d'arte "ribelle".





Ci sono state nella storia del cinema scene ben più violente e disturbanti. Non di torbida  complicità lussuriosa, ma di violenza vera e propria. Il punto però non è, solo, ciò che si mostra, ma l'intenzione dell'autore. Credo d'aver già scritto che in "Andrey Rublev" di Tarkovsky c' è una scena, per anni censurata, di stupro molto più esplicita di quella di "Arancia Meccanica". Ma nel capolavoro del regista russo c'è il vibrante sdegno per ciò che sta accadendo, la denuncia dell'ingiustizia umana, la violenza è mostrata in tutta la sua barbarie affinché non accada mai più. Il perverso genio di Kubrick pur mostrando pochissimi fotogrammi ti comunica tutto il disturbante compiacimento morboso, l'esaltazione crudele dello stupratore. 
Esempio più estremo: la visione di "Salò" di Pasolini è praticamente insostenibile, ma dietro quelle scene (ben più disturbanti della rapida sottomissione sessuale imposta di Brando) c'è una profonda, tragica denuncia della violenza del Potere. Nessun  compiacimento morboso, ma la volontà (per chi scrive macroscopicamente fuori fuoco) di esporre la nuda tortura a cui il popolo è sottoposto da sempre nella storia dai poteri forti, mediante la metafora cruda e immediata della violenza carnale.
Non a caso, Pasolini giunge alla decisione estrema di girare "Salò", dopo aver abiurato la Trilogia della Vita. Non volendo più nutrire le basse pulsioni borghesi del pubblico, che invece di cogliere il suo messaggio eversivo veniva al cinema per vedere le donne nude. Contemporaneo, eppure avanti anni luce per onestà, consapevolezza e profondità rispetto ai vigliacchi imburramenti a sorpresa di cui si discetta.
In Bertolucci, sotto l'eleganza fittizia dell'incomunicabilità d'accatto, c'è solo la poco nobile astuzia di destare prurigini da guardoni.






Uno squallido mènage tra un vecchio zozzone (per quanto affascinante) e una sciroccata (per quanto incantevole) spacciato per struggente melodramma romantico, una torbida storiella da romanzetto pornografico propinata come dolente riflessione esistenzialista.
Prima delle modalità (ora sappiamo ingannevoli e manipolatorie) della sua realizzazione, la scena era già concettualmente un bieco escamotage per entrare nella storia del cinema con pochi minuti di sexploitation, verniciata di esistenzialismo.
Il grande scandalo rivoluzionario in realtà si è nutrito, a tavolino, dell'ipocrisia borghese che formalmente voleva scardinare. E' un film che specula sul voyeurismo perbenista. 
E' un film, dunque, intimamente, borghese. E, proponendosi come grande manifesto antiborghese, è, dunque, disgustosamente  disonesto intellettualmente.
Queste cose le dico almeno del'97, grazie a Dio ho diversi testimoni.


Ripeto, tutto ciò valeva per me anche prima di sapere che la Schneider era stata quasi costretta con l'inganno. 
Ora, il tono indegno della dichiarazione di Bertolucci (soprattutto qualora fosse una vera confessione e non, come sembra, una stanca trovata pubblicitaria) non fa che confermare, e certo aggravare, la mia istintiva repulsione.





P.S.
Ah, amici, rimanga fra di noi, vi rivelo un prezioso  segreto: qualora la Schneider fosse stata davvero, non dico violentata (appare improbabile su un set), ma, come si dichiara, costretta a girare la scena con l'inganno e la pressione psicologica, il femminismo non c'entrerebbe nulla. Come neanche la prassi cinematografica di piegare gli attori al "genio" del regista (non è che una cosa sbagliata se accade di prassi diventa automaticamente giusta, altrimenti non lamentiamoci più della corruzione, della guerra o dei mali del mondo in genere). Il segreto è l'uovo di Colombo, ma a quanto pare di questi tempi diventa arcano come la formula della pietra filosofale: 
Il rispetto della persona non è femminista o maschilista, come la giustizia e l'onestà non sono valori di destra o di sinistra.
Sono valori universali. Dunque sacri.




7 commenti:

  1. Grazie una volta di più. Grazie anche per i passaggi in cui sottolinei come, in una cultura impostata sul primato del significante audiovisivo, lo status di classico possa essere attribuito a un film anche a prescindere dalla lettura dell'intenzione di soggetto e sceneggiatura. Per questo sarebbe impossibile dire che Ultimo Tango è "una cagata pazzesca". E tu non lo fai, infatti, e dopo averci detto che 2+2=4, ricordandoci anche che 4-2=2, scomponi il culto in parti e riveli che, togliendo una consonante, quello che resta è voyeurismo pretestuoso e borghesissimo.
    Ovviamente il borghese piccolo piccolo qui presente si sente talmente infervorato dalla tua trattazione che, nonostante tutti i freni che con cura
    gli voglia subito di fare 2+2=5, di urlare che alla fin fine tutto il Sessantotto era un grosso filmone borghese girato con piglio furbescamente rivoluzionario. Non è così, e sarebbe fare di tutta l'erba un fascio (pun intented). Le barricate in piazza le fai per conto di Bertolucci.
    (La direzione del film mi infastidì così tanto, nel '94 o giù di lì, che ribattezzai la povera Schneider "Bernarda Bertuccia")

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  2. Grazie a te!
    Condivido anche l'addizione impossibile...
    ma misteriosissimo intelligentissimo commentatore, chi sei? B. quello famoso non credo, avrebbe apprezzato ciò che critico...ho un sospetto
    Ti chiamerò AB, corretto?

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  3. Chiamami AB, sì! Mai mi anonimerei. Salvo quando lascio le frasi con i buchi in mezzo, tipo qui sopra. Diciamo che era cut-up, via.

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  4. io continuo ad apprezzare Bertolucci come regista, non credo che film come Io ballo da sola o The Dreamers vogliano solo "eccitare i guardoni" ma non informare un attore di quello che prevede la scena o informarlo all'ultimo minuto è qualcosa che neanche un regista "manipolatore" fa. Sul set si può pure improvvisare entro certi limiti ma sempre sulla base perlomeno di un "canovaccio" noto a tutti gli attori coinvolti

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  5. Ciao Paolo, grazie del commento.
    Tecnicamente, lo apprezzo anche io, non si può negare la bellezza delle immagini. Sul voyeurismo mi sono espresso, è ovvio che non sia Tinto Brass, ma per me è meno onesto.
    Concordiamo comunque sulla grave non correttezza dell'episodio.
    a presto

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    1. aggiungo anche che se alcuni andavano a vedere il Decameron di Pasolini solo per vedere le nudità non era colpa del film ma di quegli spettatori

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    2. Assolutamente si.
      È quella triste consapevolezza che ha portato PPP alla sofferta abiura e al tragico epilogo dell'incompiuta "Trilogia della Morte".

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