mercoledì 21 novembre 2012

Maicol&Mirco - Jean Paul Sartre = 10-0

Il Male mi annoia.
La violenza la trovo stupida, sterile, monotona.
La volgarità gratuita non mi diverte. Le bestemmie mi hanno sempre dato fastidio. Bacchettone? Ma per carità…
E’una questione estetica,  prima che morale. O meglio, è una questione estetica, dunque morale.
Chiarisco, il Male non mi spaventa anzi.
Mi annoia.
Scippando una celebre espressione di Hannah Arendt (che parlava in realtà di tutt’altra cosa) mi annoia, esteticamente, la banalità del Male.
Cosa c’è di più facile che sfogare gli appetiti più bassi, le pulsioni più animali, gli impulsi immediati, soprattutto in un’epoca in cui tutto ciò che in passato era proibito, vietato (e quindi sommamente fascinoso), non solo è a portata di click, ma è culturalmente accettato e, come si suol dire, ormai irrimediabilmente mainstream?!
Una volta caduti i paletti di una morale fittizia e decomposta, abbattuti i due-tre scrupoli formali rimasti, è il giochetto più facile che ci sia.
Poteva avere senso l’occhio tagliato di Dalì e Bunuel nel ’29, le descrizioni oscene di Henry Miller nel ’34, financo i beat….ma parliamo di 60 anni fa…

Eppure, sono qui a lodare, con entusiasmo, un libro che trabocca (almeno superficialmente) di tutti questi elementi che ho appena dichiarato di disprezzare: volgarità, bestemmie, iperviolenza etc…
Signore e Signori, in piedi: entrano gli “Gli scarabocchi di maicol&mirco”.

Attenzione, non  sto dicendo che questo è un libro divertente, trasgressivo, provocatorio,…no, no (nel 2012 ancora parliamo di provocazioni, suvvia…).
CHIARIAMO: non è un maledettissimo cabaret punk.

E’un’opera di genio.

Questo libro è un talismano contro la stupidità contemporanea.
Non solo quella insopportabile, riconoscibile, evidente.
 Quella del buonismo, della finta morale, dell’ipocrisia perbenista da “maggioranza silenziosa”, che chiunque abbia un encefalogramma non del tutto piatto epidermicamente rigetta con un grido d’orrore, come una siringa infetta trovata nel piatto di minestrone al ristorante.
Ma anche contro la stupidità, più sottile, e dunque più insidiosa, del politicamente scorretto facile facile, del nichilismo da salotto, del grunge patinato da Mtv.
Se prima ho citato Hannah Arendt, ora applicherò la par condicio scippando un’espressione altrettanto famosa, probabilmente spesso usata da Eichmann, l’orribile protagonista del suo libro : RAUS!

La violenza verbale, lo sberleffo immorale che dominano in questi elaboratissimi scarabocchi, lungi dall'essere volgare teppismo concettuale, illuminano di squarci accecanti la realtà stordente di uno smarrimento esistenziale collettivo. Dietro l'apparente facilità dei rovesciamenti paradossali, volti costantemente nell'osceno, nel blasfemo e nel disturbante, a uno sguardo attento si rivela un giacimento d'intelligenza pura.
Il quid di questa creazione non è solo una devastante padronanza dei meccanismi comici classici, ma uno sguardo privo d'alcun decoro e pietà nei confronti del nudo dolore d'esserci senza conoscersi.

Sono i Peanuts scritti a quattro mani da Beckett e GG Allin.

Intendiamoci, alcune tavole sono oggettivamente disturbanti, aggredendo temi tabù come l’incesto, la pedofilia, l’handicap etc…

Ma siamo davanti ad un uso sapiente e mai banale del politicamente scorretto.
In un'epoca in cui ormai MTV e Mediaset hanno sdoganato praticamente tutto è difficile ottenere un impatto comico e disturbante rimanendo originali
Credo che sia pertinente citare una delle più sottili  dichiarazioni di Frank Zappa, non solo artista geniale ma sempre lucidissimo critico della sua opera:
“ La maggior parte di quello che facciamo è progettata per infastidire le persone fino al punto che, anche per un secondo,  possano mettere in discussione l’ambiente a loro circostante, per poter fare qualcosa. 
Finchè non diventeranno consapevoli del loro ambiente, non se ne preoccuperanno - non faranno nulla per cambiarlo.” (trad. mia)


Alla luce di queste considerazioni, appare chiaro dunque che “Gli scarabocchi di maicol&mirco” sembrano battutacce,  ma sono acrobazie intellettuali notevoli.

Soprattutto, è un libro importante perché ci dà l’occasione di affrontare temi cruciali della nostra cultura contemporanea.

Le tematiche che ora accenneremo meriterebbero approfondimenti di centinaia di pagine, per cui ci limiteremo a enunciare alcuni concetti fondamentali, per meri motivi di spazio e non per pretesa dogmatica.

Facciamo un brevissimo accenno all’evoluzione (o involuzione?) del concetto di censura negli ultimi 50 anni.

Negli anni ’60 non si potevano indossare delle calze trasparenti in tv, causa l’effetto del bianco e nero. Poteva sembrare che le ballerine fossero a gambe scoperte, e ciò sarebbe stato fonte di scandalo.

Oggi, abbiamo trasmissioni seguitissime (non dagli adolescenti brufolosi in tempesta ormonale, ma dalle famiglie a tavola) in cui si parla solo e unicamente di sesso, in tutte le salse, in tutti i modi, in tutti gli orari.
  
Una volta le parolacce in tv erano un evento. Erano concesse solo a mostri sacri, in rare occasioni, controllatissime, di cadenza annuale o una tantum : Fo che recitava Ruzante,  Benigni a San Remo, Grillo (poteva dire quello che gli pare tranne fare battute sui socialisti), Carmelo Bene da Costanzo etc…
Ora ci ritroviamo non solo le famiglie che portano i bambini il giorno di Natale (!) a vedere i film di Vanzina (vero rituale satanico di massa: ce l’hanno fatta!), ma supposti intellettuali o politici (da Sgarbi a Ferrara, a quasi tutti i politici del Pdl) che utilizzano disinvoltamente il turpiloquio come in un bar di periferia.

Quando hai un Ministro che dice che col tricolore ci si pulisce il culo, un altro che indossa magliette offensive contro la religione islamica, un Presidente del Consiglio che organizza orge con minorenni, e racconta barzellette con bestemmie (ricevendo difesa dai Cardinali!)…dimmi tu che deve fare un povero artista per  sentirsi trasgressivo!

Pasolini aveva profetizzato, con la lucidità apocalittica che gli marchiava l’anima, questa perversa dinamica del potere: “Nulla è più anarchico del potere. Il potere fa praticamente ciò che vuole, e ciò che il potere vuole è completamente arbitrario, o dettatogli da sue necessità di carattere economico che sfuggono alla logica comune…  quella omologazione che il fascismo non è riuscito assolutamente ad ottenere, il potere di oggi, cioè il potere della civiltà dei consumi, invece riesce ad ottenere perfettamente, distruggendo le varie realtà particolari. E questa cosa è avvenuta talmente rapidamente che noi non ce ne siamo resi conto. E’ avvenuto tutto in questi ultimi anni. E stato una specie di incubo, in cui abbiamo visto attorno a noi l’Italia distruggersi e sparire. Adesso risvegliandoci, forse, da questo incubo, e guardandoci intorno, ci accorgiamo che non c’è più niente da fare.”


(chiedo scusa  non sono riuscito a trovare il video senza questa incomprensibile musica in sottofondo)

A parte la loro inquietante attualità, che sfiora la veggenza,  queste riflessioni ci interessano da vicino quando affrontiamo un libro come “Gli scarabocchi di maicol&mirco”.

Perché il Potere non solo ha liberato il linguaggio della protesta, abbattendo negli anni i paletti della censura, ma se n’è addirittura
appropriato,  fagocitandone i caratteri e i toni, spuntando così le armi di qualsiasi rivolta artistica e concettuale.
Si è impadronita del corpo stesso della rivolta: il linguaggio.

Ha preso il linguaggio che fino a poco prima censurava, e lo ha reso istituzionale, abbassandolo al livello del pettegolezzo da bar, della battutaccia scollacciata, depauperandolo così di qualsiasi potenzialità eversiva.

Se noi vediamo le interviste a Frank Zappa (prendo lui come esempio perché già citato),  nel periodo del suo processo per censura, assistiamo a una netta contrapposizione formale: il linguaggio castigato, ipocrita dei censori da un lato, lo sberleffo sconcio e anarchico di Zappa dall’altro.


Ora, è il contrario. I giornalisti “d’opposizione” s’esprimono garbatamente in un linguaggio rispettoso, i politici spesso rispondono con rutti e oscenità.

Questo capovolgimento spaesante è avvenuto su tutti i livelli della comunicazione di massa.

Sui siti di “Libero” o de “Il Giornale” (testate che dovrebbero rappresentare i “moderati”, quelli di “Dio, Patria e Famiglia”)
non è raro trovare, con la scusa del gossip e dell’attualità, link a video porno.
  
Dobbiamo tornare a Pasolini, e alle motivazioni, dolorose eppure illuminanti, che lo condussero alla sua famosa abiura della “Trilogia della Vita”. Lui che aveva inteso mostrare il sesso come momento di gioia popolare, per sottrarlo alle incipienti dinamiche di mercificazione e oggettificazione consumistica; lui che voleva restituirlo alla sua dimensione di liberazione spontanea, come “ultimo baluardo della realtà”, unica forma d’opposizione sociale (secondo il sottoscritto un abbaglio di derivazione freudiana), prendendo a testimonianza i classici della letteratura di tutto il mondo … si ritrovò le sale piene di ebeti che volevano vedere tette e culi ("Mi pento, ripeteva, di aver nutrito “l’ansia conformistica di essere sessualmente liberi che trasforma i giovani in miseri erotomani nevrotici, eternamente insoddisfatti (..) e perciò infelici.").
 Questo cocente disincanto fu l’anticamera straziante di “Salò-le centoventi giornate di Sodoma”, primo capitolo della tragicamente incompiuta “Trilogia della Morte”.
Un crudele viatico, quasi un’oscura evocazione maligna della sua stessa morte.

L’intero ventennio berlusconiano (cioè l’applicazione clownesca e insieme scientifica del piano eversivo della P2), in tutti i suoi più grotteschi aspetti (i fascisti, travestiti, al potere, l’addormentamento delle coscienze, le orge a Palazzo Grazioli, l’inebetimento consumistico delle masse direttamente proporzionale al progressivo impoverimento etc…) appare proprio la materializzazione (e)scatologica degli incubi pasoliniani, divenuti da profezia allucinata a cronaca quotidiana, ormai incapace di destare alcun scandalo.

Non possiamo non citare le parole scolpite nella pietra con cui il grande autore friulano analizza le cause della sua abiura: 


“Primo: la lotta progressista per la democratizzazione espressiva e per la liberalizzazione sessuale è stata brutalmente superata e vanificata dalla decisione del potere consumistico di concedere una vasta (quanto falsa) tolleranza.
Secondo: anche la "realtà" dei corpi innocenti è stata violata, manipolata, manomessa dal potere consumistico: anzi, tale violenza sui corpi è diventato il dato più macroscopico della nuova epoca umana.
Terzo: le vite sessuali private (come la mia) hanno subito il trauma sia della falsa tolleranza che della degradazione corporea, e ciò che nelle fantasie sessuali era dolore e gioia, è divenuto suicida delusione, informe accidia.”
(dall' "Abiura dalla Trilogia della vita", Corriere della Sera, 9 novembre 1975)

Queste non sono solo speculazioni intellettuali.
Sono profezie ardenti.
Basta accendere la tv e verificare.

Cito le prime cose che mi vengono in mente, in ordine sparso: Ozzy Osbourne, idolo del metal satanico degli anni’70, protagonista di un reality show sulla sua famiglia su MTV; Aldo Busi, scrittore- icona della trasgressione omosessuale, protagonista de “L’Isola dei Famosi” e di “Amici” (en passant non resisto a confidarvi una delle mie più antiche e ferme convinzioni: Maria De Filippi è il Demonio); servizi dei Tg sui dei calendari sexy, con ampi estratti dai backstage; sex-tape con ex- amanti ormai divenuti tappa obbligatoria nella carriera di una starlette per venir accolti nel club delle celebrità etc (una volta si frequentavano le scuole di dizione)…

Quando tutto è concesso, non c’è più nulla da trasgredire.

maicol&mirco riesce a mettere in tilt questo collaudatissimo assioma  del Sistema, tramite tre armi fondamentali:
una grande sapienza narrativa, un uso magistrale dei tempi comici e, soprattutto, una irriducibile sincerità.

La sapienza narrativa è tale da sintetizzare potenti microstorie nell’arco violento e svanente di un dialogo
Gli autori fanno un’operazione raffinatissima, un impiego magnificamente distruttivo della dialettica.
Non per nominare invano un sublime sapiente, potremmo dire che negli “scarabocchi” agisce una sorta di maieutica classica all’incontrario.
Se il filosofo ateniese attraverso la tecnica dialogica e l’uso dell’ironia estraeva dai suoi interlocutori scintille della Verità,  maicol&mirco , nello scambio di poche battute,  estrae dai suoi personaggi esplosioni di merda, abissi di veleno, incendi di rabbia cieca.

Per ciò che concerne il possesso de tempi comici, beh, siamo ai livelli di Totò.
Totò che si prende un caffè con Ciorian nella Loggia Nera di “Twin Peaks”.

Sulla copertina andrebbe posta un'etichetta come su sigarette e medicinali: "può provocare diuresi acute e improvvise. Avvertenze: non leggetelo mai sui mezzi pubblici, o in un ascensore affollato...men che mai provate anche solo a sfogliarlo durante un appuntamento galante.
Oppure premunitevi.

Qualcuno potrebbe a questo punto dire: “vabbè, abbiamo capito: non è un’opera di goliardia, non è mera provocazione, c’è un pensiero dietro, una riflessione etc.”…ma siccome l’essere umano ha bisogno, per evitare di smarrirsi nel labirinto idiota della propria mente, di creare delle etichette delle definizioni, come delle stampelle per  i propri pensieri paralitici, la stessa persona potrebbe aggiungere:” però, vedi, dice le parolacce, bestemmia..dunque…è punk, no?!”…

NO!
  
L’autore sfugge ai gangli banalizzanti della parolaccia e della bestemmia,(pur utilizzandole con copiosa indulgenza), al clichè divenuti mainstream di cui sopra,  per un semplice motivo.
Perché è autentico.
Non è in posa.
Veramente ammazzerebbe tutti.
La furia cieca, davvero (una volta tanto!) iconoclasta degli "scarabocchi" non è la trasgressioncina formale del fumettista che gioca “a chi è più matto”.
Nasce, evidentemente, da un dolore di vivere vero, reale, percepito nelle carni, distillato poi da un’intelligenza spietata, e rivomitato, con la calma del serial killer, sullo sfondo rosso sangue  teatro d’ogni scarabocchio.

E’ grazie a questa rabbia ferina, unita a un magistero comico da far invidia ad Achille Campanile, che maicol&mirco riesce a scardinare, insieme con destrezza e violenza deflagrante, le manette che il sistema ha imposto al linguaggio protestatario ( imposte come detto paradossalmente nel liberarlo, e quindi svuotandolo di ogni significato e potere).

I personaggi vengono calati in un eterno presente infernale, in cui la materia stessa dello spazio è fatta del sangue dei morti ammazzati, è il tempo è paralizzato nel momento della tremenda agnizione che la vita non ha senso. La morte non è liberazione ma il beffardo compimento di un’esistenza inutile e dolorosa.

In questo, “Gli scarabocchi” sono delle meditazioni diaboliche, quasi una  forma, straniante e blasfema, di koan Zen, degli Haiku dalla Gehenna.
Il non-sense della comicità nerissima che pervade “Gli scarabocchi” è in realtà il non-senso della vita. O meglio, l’analisi spietatamente logica dell’incapacità di trovarvi un senso.
Lo sputo dell'intelligenza incattivita sul volto ipocrita d'un'esistenza incomprensibile.
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Il BLAM che campeggia in copertina non è il fragore della pistola che scandisce letale l'esito dei dialoghi, ma è l'effetto improvviso e devastante della battuta deflagrante e definitiva che chiude non solo ogni vignetta, ma anche ogni dialogo, ogni speranza, ogni discorso possibile.
  
Un semplice esempio:
la tavola in cui il personaggio dice: “mettere al mondo un bambino vuol dire condannarlo a morte certa” è la più bella e felice sintesi dell’esistenzialismo che esista.

Ora, chi scrive, non ha alcuna stima del nichilismo d’accatto, dell’esistenzialismo snob, degli intellettualismi compiaciuti, delle disperazioni artificiali.
“L’inferno sono gli altri”, l’ho sempre trovata una frase d’una superficialità aberrante, della profondità filosofica pari al filo di bava colante dalla bocca di un cretino.
Il fallimento della mente, la morte della bellezza.
Insomma, non sopporto Jean-Paul Sartre.
Non voglio nemmeno perdere tempo a spiegarvi perché, preferisco delegare a più convincenti argomentazioni.
Vorrei infatti arricchire il corredo d’omaggi a numi tutelari, linkando direttamente alle parole di Louis-Ferdinand Cèline, uno dei più grandi scrittori degli ultimi trecento anni, che definisce magnificamente il soggetto in questione:


Ma torniamo ai nostri Superamici.

Se , come diceva Aristotele, il comico nasce dall’assurdo, ebbene, maicol&mirco coglie questo assurdo (o meglio, ne è colto, catturato e torturato), lo denuda, lo viviseziona, lo analizza, e lo espone  macellato sul tavolo rosso sangue delle sue pagine mortali.
L’irruzione dell’Assurdo, nell’illusoria calma piatta dell’esistenza, è il tema del “Caligola” di Albert Camus (lui sì un esistenzialista onesto e coraggioso, non uno sterile intellettuale in posa come “Tartre”);
“Caligola” che non a caso fu opera prima di quel genio irripetibile di Carmelo Bene (la cui lectio i lettori più attenti e consapevoli avranno già percepito affiorare qua e là come un basso continuo della riflessione).
Aprire a questo punto un discorso su Bene mi obbligherebbe a scrivere un trattato di pagine 724.
Mi limiterò a ricordare quando Bene disse che l’unica cosa che avrebbe salvato dell’Italia erano Ciprì e Maresco.
Forse gli unici antecedenti possibili degli “scarabocchi”.

Ed a l’unico antecedente possibile di Bene, nel teatro come nella riflessione filosofica su di esso,  mi hanno fatto pensare maicol&mirco: a Antonin Artaud.

Leggiamo le sue riflessioni sul “Teatro della Crudeltà”:

“La crudeltà è prima di tutto lucida, è una sorta di rigido controllo, di sottomissione alla necessità. Non si ha crudeltà senza coscienza, senza una sorta di coscienza applicata. È la coscienza a conferire all'esercizio di qualsiasi atto della vita un colore di sangue, una nota crudele, perchè è chiaro che la vita è sempre la morte di qualcuno.” (Parigi 13 settembre 1932, Antonin Artaud)
Sembra quasi la descrizione del libricino in oggetto.
Mi dareste davvero del folle se  affermassi: “Gli scarabocchi” sono il Teatro della Crudeltà che Artaud intuì, ma non seppe mai mettere in scena?
Al netto delle esagerazioni, degli entusiasmi, delle cosiddette provocazioni, rimane un dato.
Guardandoci attorno, nel limbo oppiaceo deserto d’alcuna originalità che ci avvolge, pare proprio che la risata violenta, incontenibile, travolgente che scatena la lettura de “Gli scarabocchi di maicol&mirco” sia rimasta l’unica catarsi possibile.

Ma non preoccupatevi, io amo i lieto fine.
  
Vorrei, infatti, concludere spingendo la mia enfasi oltre i limiti del pudore.
La protesta furiosa contro il maicol&mirco mi ricorda uno dei più grandi poeti nostrani. Ebbene si, lo dico: Giacomo Leopardi.
Prima di chiamare la neuro, aspettate. Ragioniamo insieme:
Se è vero che:

“Nobil natura è quella
Che a sollevar s'ardisce
Gli occhi mortali incontra
Al comun fato, e che con franca lingua,
Nulla al ver detraendo,
Confessa il mal che ci fu dato in sorte”
(“La Ginestra”, 111-116)

beh, credo che maicol&mirco possa essere considerato un campione dell’aristocrazia morale.
Del resto, è vero che Leopardi non ha mai disegnato scarabocchi che bestemmiano…ma provate a leggere “L’inno ad Arimane”, con consapevole riflessione.
Tutti i “cattivi” che conoscete, da Charles BukowskiBret Easton Ellis , da quel patetico clown  di Marylin Manson a qualsiasi imbecille proto, pre o post punk, vi appariranno (oltre che infinitamente inferiori a livello artistico e morale, come pidocchi davanti a una statua della Dea Iside) per quello che sono: innocui come dei chierichetti impacciati.
E, soprattutto, per “Gli scarabocchi di maicol&mirco” vale il celebre paradosso di De Sanctis su Leopardi: “produce l'effetto contrario a quello che si propone”.
Nel momento in cui ti mostra che la vita è un’insensata, crudele fregatura, te la fa amare con tutta la potenza di una risata squassante e fiera, la colonna sonora del trionfo dell’intelligenza.

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