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martedì 24 settembre 2013

ULTIMO TANGO A PARIGI - Maria Schneider e la scena del burro






Ora che il clamore tardivo sulle recenti parole di Bernardo Bertolucci riguardo la genesi della più famosa scena di "Ultimo Tango a Parigi" si è sedimentato, credo di poter proporre una riflessione diversa, che ardirebbe spostare il discorso un pò oltre rispetto alle infiammate diatribe dei giorni scorsi.                                                                                 
Pietra dello scandalo è la recente intervista, ripresa in un articolo di IO DONNA (che trovate QUI ). Ivi Bertolucci confessa 40 anni dopo che la famosa scena del "burro" era stata girata a sorpresa, senza il consenso dell'attrice, per ottenere l'effetto realistico delle lacrime di una donna umiliata.  Da anni, del resto, l'attrice sosteneva di essere stata abusata psicologicamente sul set, e che quella scena le aveva condizionato la carriera (per non usare l'abusata espressione "rovinato la vita").

E, subito, su media e social network è divampato feroce il dibattito,.

Molti fra i commentatori, presi dalla concitazione dialettica, hanno peccato, secondo il mio umile giudizio, di discernimento.
Chi minimizzava l'episodio di fronte alla statura storica dell'opera, chi ridicolizzava l'episodio perché l'articolo era scritto male, chi al contrario diceva che il film allora era orrido perché una donna era stata violentata sul set.
Ma quella che è per me è la sostanza ardente della questione è sfuggita nel gioco delle facili contrapposizioni maschilista/femminista, cinico/sensibile,  nel rimpallo dialettico dettato dalla malafede ideologica.
Secondo me, il cinismo da uomini navigati ed esperti del settore è uguale e contrario al perbenismo ipocrita o ai luoghi comuni femministi (o maschilisti, o cattolici, o gianisti, etc...).
 Sono lenti deformanti, abiti intellettuali che si indossano come magliette della propria squadra, che inquinano la riflessione con il veleno inebriante del pregiudizio e dell'arroccamento sulle proprie posizioni.

Scusate se dico cose ovvie, forse, per molti ma evidentemente non per tutti: il fatto che il film sia un (presunto) capolavoro non giustificherebbe un (eventuale) stupro sul set, come la rivelazione dell'episodio (gravissimo, se si confermasse verificato) non inficerebbe la bellezza estetica del film; stesso discorso per l'articolo: il fatto che sia scritto con un insopportabile tono strappalacrime, utilizzando obsoleti argomenti femministoidi (tipo "l'uomo penetrabile analmente" etc.) non sminuisce la portata della notizia (in realtà vecchia di anni), viceversa la gravità dell'episodio (se reale) non  renderebbe automaticamente il pezzo un capolavoro del giornalismo.
Lo so,  2+2= 4 ma spesso bisogna ricordarlo.




Sintetizzando bruscamente: il fatto che l'articolo sia un coacervo di urticanti banalità non rende transitivamente sbagliata la (giustissima) indignazione per i toni volgarmente sprezzanti del regista.

Affrontiamo ora il "mostro sacro", l'opera cinematografica, per me da sempre un totem  posticcio che radica e affonda nel fango (a dispetto dei tabù che pretendeva di spezzare).

Iniziamo col dire che il film  è sopravvalutato e, per la mia sensibilità, irritante.
Per carità, la suggestione estetica della fotografia di Storaro con la struggente colonna sonora di Gato Barbieri è potentissima. L'impatto delle immagini di Bertolucci è innegabile.
Ma il film non ha fatto altro che sfruttare grossolanamente tematiche complesse e per nulla originali (l'incomunicabilità che rende il rapporto amoroso simile a una tortura o a un'operazione chirurgica, soprattutto nelle grandi metropoli, nella fattispecie proprio Parigi, è tema intuito un secolo prima da Baudelaire e poi esplorato definitivamente in tutte le arti del Novecento).  Sfruttate per ridurle a luogo comune, e divenirne lo "scandaloso" manifesto.
Stiamo davvero parlando di una seduzione superficiale per adolescenti imbevuti di letture maledette. 
Al di là del magnetismo endemico degli attori, e le atmosfere confezionate ad arte per evocare eros e thanatos in versione postmoderna e decadente, il film ha ben poco da offrire.
La tanto celebrata recitazione di Brando, come non a caso Pasolini intuì, è tutta sopra le righe, caricatissima e inutilmente retorica. La Schneider,  pur nel suo languido fascino iconico, è altrettanto caricaturale. Talmente caricate le recitazioni, da rendere esagerate perfino le imitazioni che ne fanno Woody Allen e Diane Keaton ne "Il Dormiglione".



Il film è un banale manuale di  nichilismo patinato. E non c'è nulla di più deprecabile della disperazione in posa. Si tratta di bieco voyeurismo truccato da inno alla rivoluzione sessuale. Un'eruzione di maldestro machismo col seducente maquillage parigino della rivoluzione sessantottina, e un velo esistenzialista a coprirne l'imbarazzante povertà filosofica.

Affrontiamo ora la scena sotto accusa.
Facendo una media delle varie dichiarazioni, e rivedendo la scena, non credo che si possa parlare di stupro, ma di manipolazione psicologica si. Penalmente meno grave, culturalmente altrettanto. 
Vorrei andare oltre lo sciocca valutazione moviolistica sull'effettivo abuso, o le considerazioni  sul limite tra finzione recitata e reale sofferenza.
Sono considerazioni in un caso pettegole, in altro delicate, che ci portano fuori strada.
 Per me il fatto che Maria Schneider fosse consapevole o meno della scena è quasi (un quasi enorme e determinante, mi si dirà) indifferente. 
Non reagite, mi spiego. Intendo, che per me la manipolazione del suo corpo, e dell'immagine femminile,  c'era stata già, comunque, a priori. 
Parlo a livello culturale. E' chiaro, a livello morale, umano, psicologico (e se si fosse verificata e non solo simulata la violenza ovviamente anche penale) c'è un abisso. Ma a livello culturale, di tragedia culturale, è praticamente lo stesso.
Ben prima delle tardive confessioni, il film è già di per sé ributtante. Bertolucci era già stato un furbo maschilista, Brando era già cinicamente  complice (se ne sarebbe in seguito comunque vergognato), la figura della donna già umiliata.  E non per la presenza di una scena di sodomia.
 Il mio non intende essere un discorso moralistico.
Ciò che non posso apprezzare è il compiacimento di voler raccontare una storia torbida, facendo leva sulle pulsioni più basse degli spettatori, imbastendo il tutto come un'opera d'arte "ribelle".





Ci sono state nella storia del cinema scene ben più violente e disturbanti. Non di torbida  complicità lussuriosa, ma di violenza vera e propria. Il punto però non è, solo, ciò che si mostra, ma l'intenzione dell'autore. Credo d'aver già scritto che in "Andrey Rublev" di Tarkovsky c' è una scena, per anni censurata, di stupro molto più esplicita di quella di "Arancia Meccanica". Ma nel capolavoro del regista russo c'è il vibrante sdegno per ciò che sta accadendo, la denuncia dell'ingiustizia umana, la violenza è mostrata in tutta la sua barbarie affinché non accada mai più. Il perverso genio di Kubrick pur mostrando pochissimi fotogrammi ti comunica tutto il disturbante compiacimento morboso, l'esaltazione crudele dello stupratore. 
Esempio più estremo: la visione di "Salò" di Pasolini è praticamente insostenibile, ma dietro quelle scene (ben più disturbanti della rapida sottomissione sessuale imposta di Brando) c'è una profonda, tragica denuncia della violenza del Potere. Nessun  compiacimento morboso, ma la volontà (per chi scrive macroscopicamente fuori fuoco) di esporre la nuda tortura a cui il popolo è sottoposto da sempre nella storia dai poteri forti, mediante la metafora cruda e immediata della violenza carnale.
Non a caso, Pasolini giunge alla decisione estrema di girare "Salò", dopo aver abiurato la Trilogia della Vita. Non volendo più nutrire le basse pulsioni borghesi del pubblico, che invece di cogliere il suo messaggio eversivo veniva al cinema per vedere le donne nude. Contemporaneo, eppure avanti anni luce per onestà, consapevolezza e profondità rispetto ai vigliacchi imburramenti a sorpresa di cui si discetta.
In Bertolucci, sotto l'eleganza fittizia dell'incomunicabilità d'accatto, c'è solo la poco nobile astuzia di destare prurigini da guardoni.






Uno squallido mènage tra un vecchio zozzone (per quanto affascinante) e una sciroccata (per quanto incantevole) spacciato per struggente melodramma romantico, una torbida storiella da romanzetto pornografico propinata come dolente riflessione esistenzialista.
Prima delle modalità (ora sappiamo ingannevoli e manipolatorie) della sua realizzazione, la scena era già concettualmente un bieco escamotage per entrare nella storia del cinema con pochi minuti di sexploitation, verniciata di esistenzialismo.
Il grande scandalo rivoluzionario in realtà si è nutrito, a tavolino, dell'ipocrisia borghese che formalmente voleva scardinare. E' un film che specula sul voyeurismo perbenista. 
E' un film, dunque, intimamente, borghese. E, proponendosi come grande manifesto antiborghese, è, dunque, disgustosamente  disonesto intellettualmente.
Queste cose le dico almeno del'97, grazie a Dio ho diversi testimoni.


Ripeto, tutto ciò valeva per me anche prima di sapere che la Schneider era stata quasi costretta con l'inganno. 
Ora, il tono indegno della dichiarazione di Bertolucci (soprattutto qualora fosse una vera confessione e non, come sembra, una stanca trovata pubblicitaria) non fa che confermare, e certo aggravare, la mia istintiva repulsione.





P.S.
Ah, amici, rimanga fra di noi, vi rivelo un prezioso  segreto: qualora la Schneider fosse stata davvero, non dico violentata (appare improbabile su un set), ma, come si dichiara, costretta a girare la scena con l'inganno e la pressione psicologica, il femminismo non c'entrerebbe nulla. Come neanche la prassi cinematografica di piegare gli attori al "genio" del regista (non è che una cosa sbagliata se accade di prassi diventa automaticamente giusta, altrimenti non lamentiamoci più della corruzione, della guerra o dei mali del mondo in genere). Il segreto è l'uovo di Colombo, ma a quanto pare di questi tempi diventa arcano come la formula della pietra filosofale: 
Il rispetto della persona non è femminista o maschilista, come la giustizia e l'onestà non sono valori di destra o di sinistra.
Sono valori universali. Dunque sacri.




giovedì 13 giugno 2013

NIETZSCHE VS. Sasha Grey - del perché la porno-eversione è la dinamica meno eversiva possibile EP. II

Nietzsche ritratto da LRNZ, sintesi iconica del mio punto di vista


Come spiegato all'inizio del primo articolo, lo spunto per questa riflessione nasce anche da uno scambio di punti di vista con Roberto Recchioni sui concetti di Porno ed Eversione, in occasione della presentazione de "Gli Scarabocchi di Maicol & Mirco", lo scorso inverno a Roma. In poche battute, chiarimmo subito l'equivoco moralistico: nell'adolescenza, come molti, non solo ero un temibile satiro ma anche un'enciclopedia ambulante del trash, non mi scandalizzo certo della tematica. 
Sono le ripercussioni di determinate dinamiche concettuali su la consapevolezza umana ad inquietarmi.

Con Roberto, in quella interessante discussione al Forte Fanfulla, pur nella differente impostazione, ci ritrovammo d'accordo su molte cose (ad esempio che Sade,  sul quale mi sono espresso QUI proprio con Maicol, sia cattiva letteratura), ma più di tutto sull'analisi dei fenomeni: il porno influenza i nostri comportamenti sessuali, il regime mediatico è una membrana che tutto assorbe, siamo di fatto fregati dal Sistema.






In un articolo pubblicato qualche tempo fa sul suo blog, Recchioni analizzava il rapporto tra Porno ed Eversione (avvertenza per le signore e per chi non è avvezzo alla tematica: è molto esplicito! lo trovate QUI). Sintetizzando, dall'analisi dettagliata delle abitudini sessuali contemporanee, evidentemente influenzate dalla pornografia,  il concetto fondamentale è che: "... la diffusione massificata dell'iconografia pornografica ha riscritto il reale (...) il porno, che è il reale (non la sola rappresentazione del reale ma il reale stesso), lo riscrive sulla base delle sue necessità e questa sua riscrittura diventa, a sua volta, la realtà (...) Un capovolgimento, una eversione tangibile e concreta. E un divertente cortocircuito, non c'è che dire."

La cosa che mi colpì è che gli stessi concetti, ma con segno opposto, erano utilizzati da Pasolini, per mostrare l'apocalisse umana e culturale che aveva profeticamente intuito e analizzato.

Abbiamo già dedicato QUI diffusamente omaggio alle riflessioni pasoliniane sul rapporto tra sesso, mercificazione e potere (potete ascoltare dalla sua viva voce QUI e QUI). Citeremo ancora solo il passo clou della sua storica "Abiura della Trilogia della Vita": "la lotta progressista per la democratizzazione espressiva e per la liberazione sessuale è stata brutalmente superata e vanificata dalla decisione del potere consumistico di concedere una vasta (quanto falsa) tolleranza. Secondo: anche la “realtà” dei corpi innocenti è stata violata, manipolata, manomessa dal potere consumistico; anzi, tale violenza sui corpi è diventato il dato più macroscopico della nuova epoca umana".
Lo sdoganamento dell'erotismo e della pornografia, mascherata da tolleranza, per Pasolini rappresentavano la vittoria definitiva del Potere.

Non è un caso che l'articolo di Roberto si apriva con un'immagine di Lady Gaga, l'icona globale che maggiormente incarna il mainstream più molesto e ingannevole. La dimostrazione di potenza del sistema mediatico che ha ormai sbaragliato qualsiasi resistenza critica delle masse: l'ennesimo clone di Madonna venduto per pop-icon definitiva, una ragazzotta oggettivamente brutta (a regà, non me ne sono accorto solo io, sembra Wolowitz di Big Bang Theory!), imposta come sex-symbol





 un personaggio fintissimo fondato unicamente sull'apparenza esteriore,  in una grottesca rincorsa al look piu assurdo, barocco, eccentrico.
Ma che è? Una comparsa della Factory, scartata da Warhol per quanto cozza?!
No, la più grande popstar del mondo.


Il prodotto più artefatto e studiato a tavolino della storia della musica viene, questa è la finezza apocalittica, spacciato per "trasgressivo". Oltre a tutti i giochetti, subliminali o meno che siano, relativi alla massoneria e al potere occulto nei suoi video (non finiremmo davvero più...), in un  famoso video il prezzolatissimo fantoccio riveste tutte le icone pop a lei precedenti, tritandole e svuotandole, copia priva di significato alcuno,  nel vortice della rappresentazione mediatica.




La ribellione, da tempo, depotenziata a stereotipo. La rivoluzione, un brand, come un altro.
Lo stesso principio del business delle magliette di Che Guevara.
C'è chi si esalterà, di fonte al nichilismo trionfante, all'industrializzazione che si autodenuncia bla bla bla...a me fa schifo e tristezza, e basta.

Ma la sintesi (tornando all'articolo citato da Roberto)  è in questa immagine.





Terry Richardson, il fotografo  trasgressivo, censurato, accusato di manipolare sessualmente le giovani modelle,  al termine di una sessione fotografica stringe la mano al Presidente degli Stati Uniti. Scacco matto: la finta ribellione istituzionalizzata, letteralmente a braccetto col Potere.

Tornando, dunque, al rapporto tra porno e eversione, concettualmente, certo è un cortocircuito interessante. Ma le conseguenze per me, a livello culturale e umano, sono agghiaccianti.







Il secondo spunto era dato da alcune disegni di Roberto che raffiguravano l'ex porno-diva Sasha Grey in uno dei suoi passatempi apparentemente meno scandalosi: citare, per me, a sproposito Nietzsche (QUI trovate l'articolo dedicato).



Giocosamente, nell'articolo ho scritto che io non sono un moralista, ma il filosofo tedesco si.
Chiariamo: quando affermo che Nietzsche è moralista non intendo il termine nell'accezione più comune (d'intransigente bacchettone, spesso quasi sinonimo d'ipocrita) ma in senso strettamente filosofico, come osservatore e fustigatore dei costumi e dei comportamenti  umani. In primo luogo, egli era un grande estimatore e studioso dei cosiddetti moralisti francesi, del '600. Nel memorabile "il Viandante e la sua Ombra" li cita esplicitamente (La Rochefocauld,  La Bruyère, Montaigne, Fontenelle, Vauvenargues, Chamfort), chiosando : "essi contengono più pensieri reali di tutti i libri dei filosofi tedeschi messi insieme".
E' proprio nel richiamo alla concretezza filosofica, all'urgenza immediata dei  pensieri "reali", rispetto alle fumose astrazioni dell'idealismo a lui contemporaneo, possiamo individuare il legame "filiale" che lega l'inquieto martellatore ai suoi illustri precedenti.
 Nietzsche supera la tradizione dei filosofi moralisti. proprio perché ne è erede consapevole e riconoscente (come Baudelaire in poesia con le forme precedenti). Fin dalla sua scrittura aforistica, da "Umano, troppo umano" in poi, emblematicamente anti-sistematica, re-invenzione sconvolgente e benedetta dei canoni dell'espressione filosofica, egli è geniale allievo di La Rochefocauld, di La Bruyère, di Montaigne soprattutto. Addirittura, dedicherà a quest'ultimo, nel quasi giovanile peana al maestro poi furiosamente contrastato, "Schopenhauer come educatore", la seguente inequivocabile riflessione:  "Il solo fatto che un uomo simile abbia scritto, ha aumentato, in verità, la gioia di vivere su questa terra". 
Quella prosa ebbra, visionaria, estatica, quell'eruzione di furia e bellezza riversata da un cuore immenso e ribollente come l'oceano, abbracciato dal demone del duende (come dirà Lorca nella sua memorabile conferenza del 1933), è figlia splendida e ribelle delle compassate riflessioni del Seicento francese.
Splendida a riguardo la sintesi di Citati: "...chi non conosce Nietzsche come chi non ha letto Erodoto - il suo esatto contrario- non immaginerà mai a quali splendori potrà giungere l'arte della prosa".



Senza allargare troppo la riflessione, è interessante notare analogie illuminanti anche con un campione della filosofia morale classica (apprezzato e riadattato alle proprie istanze teologiche invece proprio dal Cristianesimo) quale Seneca. Più che lecito, con tutti i dovuti distinguo, associare la proverbiale attitudine stoica a l' amor fati nietzscheano, all'accettazione dionisiaca dell'esistenza, in tutte le sue contraddizioni e imperfezioni, predicata dal filosofo tedesco come orizzonte interiore dell' Oltreuomo. Per quanto uno studioso come Cesare Segre inviti a non  forzare l'accostamento, alcune sentenze de "La fermezza del saggio", non possono non accendere immediate associazioni: "Non c'è ragione che tu dubiti che chi nasce uomo possa elevarsi al di sopra dell'umano, assistere tranquillo a dolori, danni, piaghe, ferite, grandi movimenti di cose rumoreggianti intorno a sé, e sopportare con serenità le avversità e accogliere con moderazione le circostanze favorevoli..."

Detto questo, bisogna avere davvero capacità di apertura  pari a un caveau in granito sorvegliato da 27 ninja immortali per non vedere le affinità del pensiero nietzscheano con la millenaria riflessione orientale. Non solo egli richiama esplicitamente la figura divina di Shiva (del cui archetipo Dioniso è una versione affascinante ma già distorta), ma contrappone il buddhismo "sola religione positivistica" al "trucco" verticale dell'ascesi cristiana. Senza parlare del mito de "l'eterno ritorno", di cristallina derivazione indiana prima che greca, del "divenire" etc...


La stessa figura dell' Oltreuomo può essere, sempre mutatis mutandi, nel suo superamento dei limiti e delle debolezze umane, accostata allo yogi, anche se con delle sfumature tendenti più alla disciplina del samurai. Una versione non centrata, tendente all'espansione, all'aggressione, ma con profonde affinità, dello sthita pragnya descritto nella "Bhagavad Gita". Del resto, è altrettanto chiaro che Nietzsche sia fondamentalmente un grandioso martellatore: eccelle ed è definitivo nella pars destruens


E' pacifico, il filosofo è sempre stato contrario a forme di ascesi nel senso cristiano, in quanto negatrici del corpo e quindi dell'istinto vitale (sarà uno dei motivi di contrapposizione con Schopenhauer).  Ma se, anche stavolta, riscopriamo il termine nel suo significato originale ("esercizio") sicuramente per giungere alla meta dell' Oltreuomo, egli delinea un particolarissimo percorso di ascesi interiore. Fondato sulla "trasvalutazione di tutti i valori", sul rovesciamento della morale, anti-metafisico, come volete...ma se ascesi vuol dire esercizio, pensate quale enorme esercizio filosofico sia liberarsi di sovrastrutture millenarie!



Quella della sifilide è una diceria, ma vabbè...

Molteplici le connessioni, innegabili per chiunque sia davvero in grado di spezzare condizionamenti e etichette, tra il pensiero di Nietzsche e la filosofia Zen (che il filosofo non poteva conoscere, i testi non erano stati tradotti): una comoda sintesi la trovate QUI (al netto di qualche forzatura ed alcune affermazioni discutibili).



Ma è interessante soprattutto il discorso sull'ultima e più controversa fase del suo pensiero, illuminato dal concetto di Volontà di Potenza.
Che la Volontà di Potenza nietzscheana non abbia nulla a che vedere con il nazismo o con la mera esaltazione  dell'ego (un vecchissimo luogo comune trito e fallace dovuto alle rinomate deformazioni della sorella Elizabeth), è ormai dato di pubblico dominio. Dobbiamo al nostro beneamato Giorgio Colli la ricostruzione filologica che ci ha restituito il corretto significato dell'ultima fase del pensiero di Nietzsche, paradossalmente, al culmine della polemica anti-metafisica, molto vicino alle conclusioni dei mistici, soprattutto orientali.
Nulla a che vedere con ego e "potere"; come sintetizza magnificamente QUI (7.20-7.48) Carmelo Bene la Volontà di Potenza è il "disfacimento del concetto di soggetto":





 Conclusioni simili (è sorprendente) a cui arriverà l'ultimo Baudelaire in una grandiosa intuizione, contenuta nei cosiddetti "Diari Intimi" (nome erroneo, si trattava in realtà di appunti di opere destinate alla pubblicazione, anzi all'Opera che egli considerava la summa del suo pensiero). Il primo appunto de "Mon couer mis à nude" (meraviglioso titolo rubato all'amato Poe) recita infatti: "Della vaporizzazione e della centralizzazione dell'Io. Tutto è là.". L'inizio di ogni meditazione. Non a caso, il grande mistico Ramana Maharshi intitolerà il suo testo più famoso : "Chi sono io?". Il superamento dell'ego, non la sua affermazione, è il destino de l'Oltreuomo.



Ramana Maharshi


Ora, tiriamo brevemente le conclusioni delle nostre riflessioni.
E' evidente come la "cultura" contemporanea sia impregnata, fondata, strutturata sull'ossessione per il sesso. 
Dal tragico sdoganamento pseudo-scientifico di natura freudiana di ogni perversione, alla sistematica imposizione, sostanziale onnipresenza di elementi sessuali in ogni manifestazione mediatica (dal cinema alla pubblicità, dai video musicali alle trasmissioni televisive, dalla moda alla letteratura). Pasolini ha mostrato come questa dinamica sia una precisa e consapevole strategia del potere per svuotare ogni tensione vitale e protestataria, e appropriarsi e incanalare perfino gli istinti naturali e la dimensione intima delle persone ai biechi fini di profitto e mantenimento del cosiddetto Sistema.





Abbiamo mostrato come Nietzsche, sintetizzando al massimo alcuni aspetti del suo pensiero,  abbia annunciato l'avvento dell' Oltreuomo,  libero da condizionamenti sociali, storici, per ergersi al di là delle debolezze "umane, troppo umane". 

La conclusione è logica, anche se per molti sarà spiazzante.

Se volete essere davvero seguaci di Nietzsche, come lui scandalosamente inattuali, anticonformisti,  ostili ai "filistei culturali", se volete combattere la cultura dominante (come allora lui quella tedesca) con "un disprezzo senza limite", beh...allora avete solo una via per incarnare la vostra ribellione culturale, la vostra radicale differenza interiore: la castità
Si, avete letto bene. Avvertenza! Se qualcuno si scandalizzasse di questa affermazione (paradossalmente) non farebbe che confermare la vera, grottesca eversione compiuta dal misero fallimento della rivoluzione sessuale: i dogmi freudiani, teoricamente nati per abbattere i totem e rompere i tabù millenari, sono diventati essi stessi totem intoccabili e tabù inviolabili.



Meravigliosa sintesi di maicol&mirco donata dagli autori al nostro blog come stendardo ufficiale

Chiarisco (prima che chiamate la neuro): quando parliamo di castità, non parliamo della innaturale follia del sacerdozio cattolico, che impone l'astinenza sessuale a vita. Sciocca assurdità. Parliamo di superamento del desiderio, di sguardo innocente sulle cose che diventa prassi comportamentale. Non in base a un comandamento o a una legge morale, ma a seguito di un affrancamento interiore dalla vanità di ciò che ci circonda. Uno stato di spontaneità che non contraddice affatto né nega una  vita sessuale autenticamente felice e gioiosa (anzi ne è unica dimensione).

Nietzsche stesso parla di castità, citeremo solo due esempi, per mostrare fasi diverse della sua riflessione.
Ne "L'Anticristo" (libro in realtà per nulla contro la figura del Cristo, ma contro Paolo come abbiamo trattato QUI), suo tempestoso testamento, tuoneggia: "La predicazione della castità è istigazione pubblica alla contronatura. Ogni disprezzo della vita sessuale, ogni contaminazione della medesima mediante il concetto di "impuro" è il vero e proprio peccato contro il sacro spirito della vita." E su questo siamo perfettamente d'accordo, identificando col termine l'insensata repressione paolina degli istinti sessuali. 

Ma, in precedenza, nel suo libro più famoso e "centrato", nonché il suo prediletto, ovviamente "Cosi parlò Zarathustra", aveva affrontato la questione nei termini in cui la stiamo ponendo: 

"Amo la foresta. Nelle città si vive male: ci sono troppi libidinosi. Non è meglio cadere nelle mani di un assassino che nei sogni di una femmina libidinosa? E guardate un po' questi uomini: il loro occhio lo dice - essi non conoscono niente di meglio sulla terra che giacere con una femmina. Hanno fango sul fondo della loro anima; e guai se il loro fango ha anche spirito! Foste almeno perfetti come gli animali! Ma all'animale si appartiene l'innocenza.

Vi consiglio forse di uccidere i vostri sensi? Io vi consiglio l'innocenza dei sensi. Vi consiglio forse la castità? La castità è per alcuni una virtù ma per molti quasi un vizio. Questi certo si astengono: ma la cagna sensualità guarda con invidia tutto ciò che fanno. Finanche sulle vette della loro virtù e fin nella fredda interiorità dello spirito li segue questa bestia e la sua insoddisfazione. E con che garbo la cagna sensualità sa mendicare un brandello di spirito, quando le vien rifiutato un brandello di carne!

Amate la tragedia e tutto ciò che spezza il cuore? Ma io diffido dalla vostra cagna.
Vi vedo occhi troppo crudeli e gettate sguardi libidinosi verso i sofferenti. Non si è la vostra voluttà travestita e non si chiama ora essa pietà? E anche questa similitudine vi do: non pochi che volevano scacciare il loro demonio, finirono in mezzo ai porci. A chi la castità riesce difficile, a costui essa è da sconsigliare: perché non diventi la via che porta all'inferno - ossia al fango e alla fregola dell'anima.

Sto parlando di cose sporche? Per me non è questo il peggio. Non quando la verità è sporca, ma quando è superficiale, scende malvolentieri nella sua acqua l'uomo della conoscenza.
In verità, ci sono persone profondamente caste: esse sono più miti di cuore, ridono di più e più facilmente di voi. Ridono anche della castità e domandano: "Che cos'è la castità? Non è la castità una follia? Ma questa follia venne a noi e noi ad essa. Noi abbiamo offerto a questa ospite albergo e cuore: ora essa dimora in noi - e ci resti finché vuole!".


Chi è davvero innocente ("colui che non nuoce", spontaneamente), non si pone nemmeno il problema della castità. Non desidera la donna d'altri non perché sia intimorito da un comandamento, o represso da una convenzione sociale, ma perché comunque gioisce, al di là del desiderio stesso.
E' davvero al di là del Bene e del Male.
 Conosce se stesso, primo passo per "diventare ciò che si è".




Non si diventa "ciò che si è", men che mai Oltreuomini, se non si è in grado di andare "oltre" i più bassi e grossolani istinti, le più immediate e facili seduzioni. Chi si professasse seguace di Nietzsche e fosse ancora, per citare Dante, "nel diletto della carne involto" apparirebbe ridicolo come colui che dichiarasse di voler ascendere sulla cima dell'Everest, e  inciampasse sulla ghiaia dei giardinetti sotto casa, bagnata dalla pipì del proprio cagnolino.

Quindi, se volete, continuate pure a smentire empiricamente il pregiudizio popolare su una delle cause più comuni di cecità...ma non scomodate invano un filosofo che ha dedicato la sua vita all'emancipazione dell'umanità!!!


Detto questo, sono aperto alla discussione, fedele più che mai al filosofo che ha ispirato la riflessione: 

 "Fino a che punto il pensatore deve amare il suo nemico. Mai trattenere o tacere a te stesso qualcosa che può esser pensato contro il tuo pensiero! Promettilo solennemente a te stesso! Ciò appartiene alla prima onestà del pensare. Ogni giorno devi condurre anche contro te stesso la tua campagna di guerra. Una vittoria e una trincea conquistata non sono più faccende tue, ma della verità, ma anche la tua sconfitta non è affar tuo!".*





* Aurora, 370

lunedì 3 giugno 2013

NIETZSCHE vs Sasha Grey - del perché il Superuomo disprezzerebbe le donne oggetto EPISODE I

Ritratto di Nietzsche realizzato da LRNZ che riassume efficacemente il mio punto di vista



Questo articolo prende spunto da un disegno di Roberto Recchioni che raffigura Sasha Grey con la maglietta delle BR mentre proferisce una citazione, peraltro splendida, di Friedrich Nietzsche.



 Ora credo che i miei manzoniani venticinque lettori (tra cui sia annoverano ricercatori filosofici, irriducibili goliardi ed enciclopedie viventi di cultura pop) conoscano benissimo almeno due su tre dei personaggi citati.*

Il disegno di Roberto è chiaramente un gioco provocatorio, in cui vengono accostati il grande filosofo, il movimento brigatista e la giovane ex-pornodiva come tre icone pop.
Recchioni aveva già utilizzato Nietzsche in questo senso nella tavola, per me, più divertente del suo "Asso", in cui il protagonista evocava l'ispirazione dei suoi maestri (il filosofo per intenderci figurava accanto, tra gli altri, a Darth Vader).
Roberto, che, come anche il suo peggior nemico deve ammettere, è persona colta e intelligente, è stato il primo a svelare il giochetto, dichiarando esplicitamente la stoltezza di chi avesse potuto prendere sul serio una cosa del genere.
  


Dunque, sgombriamo subito il campo da sciocchi equivoci: non è assolutamente una polemica con Roberto, figuriamoci. Non ho tempo (e lui sicuramente meno di me) per simili vani passatempi. Ne abbiamo parlato di persona della nostra differente visione sul porno, anche pubblicamente (in occasione della presentazione degli "Scarabocchi" di maicol&mirco al Forte Fanfulla alcuni mesi fa), e ho ritenuto opportuno scriverci un articolo perché si tratta di un argomento, credo, che può ispirare una discussione stimolante e originale, non solo per noi due.


Roberto Recchioni visto da LRNZ

Si tratta di un invito all'approfondimento su un tema di pubblico interesse, che investe in maniera cruciale, al di là dei punti di vista, la cultura contemporanea.
Un confronto sereno e maturo fondato sul rispetto reciproco.
Dico questo non solo pensando a Roberto, ma in generale per qualsiasi discussione che ho intrapreso o intraprenderò. Fedele in questo ai sublimi detti dell'Imperatore buddhista Ashoka, che stabilivano le regole delle dispute dialettiche, per prima cosa "onorando debitamente e in ogni occasione" gli avversari (come dice Roberto Calasso "nel lungo corteo di potenti, occidentali e orientali, che scandiscono la storia, nessuno è stato capace di parole simili").
Vorrei prendere come modello (ripeto modello, esempio, ispirazione: non sono cosi egoico da pormi a quei livelli) questo confronto tra Indro Montanelli e Giorgio Bocca. Due intellettuali, com'è notorio, dalla visione diametralmente opposta, eppure guardate QUI con quanto garbo, quanto rispetto, quanta eleganza discutono, addirittura infastiditi dai tentativi di Arbasino di incensarli enfaticamente e vivacizzare polemicamente il dibattito per creare l'evento mediatico.

Iniziamo, dunque.
La mia visione della  pornografia credo sia antitetica a quella di Roberto, che manifesta da sempre un interesse quasi ossessivo per la materia, non certo dettato da pulsioni onanistiche, ma, verrebbe da dire, da una fascinazione concettuale.

Per me la pornografia uccide il desiderio, la spontaneità, l'incanto che sono la bellezza e la magia di Eros. 
 La vitalità esuberante della passione erotica è depressa nella ripetizione meccanica di atti prevedibili, l'oceano dell'immaginazione sensuale ridotto ad un morto catalogo di etichette delle più varie perversioni.
 La maestà dei corpi, soprattutto femminili, è umiliata a farsi macchina di carne animale per il piacere bruto: esseri umani, spesso di rara bellezza, tramutati in stampelle grottesche per impotenti.
Non a caso Kafka, profeta assoluto del Nulla contemporaneo, ne era affascinato.
Fu lui a porre l'epitaffio definitivo sull'era moderna, in cui "non esiste più il mistero, solo istruzioni per l'uso".

Chiarisco, il mio non è un discorso moralistico. 
Parafrasando ciò che scrissi nell'articolo d'esordio di questo blog (lo trovate QUI) : è una questione estetica, prima che morale. O meglio, una questione estetica, dunque morale. La pornografia non mi scandalizza. Mi annoia. Come riassunse il grande Flaiano, in una frase che sembra rispondere all'aforisma kafkiano: "la pornografia è noiosa, perché fa pettegolezzi su un mistero".

 E fin qui, uno potrebbe semplicemente dire: non ti piace?! Ignorala, chi vuole la consuma come un pacchetto di patatine, problemi suoi.
E, infatti, non mi sarei mai sognato di scrivere qualcosa a riguardo.

Arriviamo però al punto: su "XL" di Maggio compariva un'intervista proprio di Recchioni, con Mauro Uzzeo, alla signorina Grey. La particolarità che rendeva l'intervista interessante è che i due l'hanno resa protagonista di un albo del loro fumetto John Doe. Inoltre, va senza dubbio riconosciuto a Roberto il fiuto del talent-scout: sono anni che sul suo blog preconizzava il successo, o meglio l'unicità dirompente della pornoattrice,  ben prima che diventasse un simbolo popolare di trasgressione.
A livello umano sono  contento per Roberto e Mauro: deve essere una ficata assurda incontrare dal vivo un personaggio (al di là del giudizio su di esso) che hai rappresentato in un fumetto; mi ha fatto pensare per la circostanza, mutatis mutandi, all'incontro dei due miti Liberatore e Franxerox Zappa, uno che probabilmente avrebbe trovato interessanti le performance della Grey....

Sulla copertina l'intervista è lanciata cosi: "La pornorivoluzionaria e la rockstar del fumetto". Ok, Roberto ama definirsi cosi, è ormai il suo biglietto da visita. Ciò che ha provocato un terremoto nel mio sistema nervoso simpatico, specificamente quello di destra, è stata la definizione di "rivoluzionaria" applicata alla Grey. Per carità, slogan efficacissimo, non è certo la prima volta che li si appella così, del resto, oppure "pornodiva esistenzialista"...ma c'è di peggio. C'è di che simpatizzare con le sette che evocano l'Apocalisse.
La sed non satiata vorax fellatrix cita Nietzsche. Si, avete capito bene: Friedrich Wilhelm Nietzsche, nato il 15 ottobre 1844 a Rocken. Non un omonimo, lui.

Molto bene. 

Quando per la.prima volta lessi il nome della accanto alle parole "esistenzialista" e "femminista", soltanto la.mia irriducibile certezza (non fede) junghiana in una forma di Intelligenza e Giustizia superiore mi ha impedito di comporre subito un madrigale di bestemmie per coro sardo e violoncello.




Concordo con Roberto nel dire che il problema non è tanto che la Grey citi Nietzsche e Dostoevskij (con, aggiungo io, l'aberrante superficialità culturale americana), come fanno tutte le sue coetanee americane finte hipster o aspiranti tali. I social network traboccano di adolescenti che riempiono le loro bacheche di citazioni, senza alcuna soluzione di continuità, di Saffo, Kafavis e Fabio Volo.
Questo discorso ci porterebbe troppo lontano e aprirebbe una serie di considerazioni ulteriori, quali la rivalutazione, in determinati casi, della pena di morte come opzione educativa.
Concordo con Roberto, dicevo, nel dire che il problema  vero è che quando Sasha Grey cita Nietzsche c'è chi la prende sul serio.

La cosa per me è gravissima.

Sarebbe troppo facile, da cultore della sapienza yogica, far cadere la mannaia moralista su quel vorace aspiratutto frangettato che e' la testolina hipster della Grey: per me il corpo umano e' un Tempio, sede di energie sacre, e lei ha trasformato fieramente il proprio in una pubblica latrina. Ma non sono un moralista. Per me è in primo luogo sacra la libertà dell'individuo. Per cui nel rispetto del libero arbitrio d'ognuno, chioserei in lingua d'oc: machemenefregaame de quello che fa Sasha Grey. L'espansiva signorina per me avrebbe potuto continuare a dare spettacolo globale dei propri indiscussi talenti (mentre ha smesso all'apice, con furbissimo tempismo commerciale) : tramutarsi in una spremitrice umana multiuso, certificare la provenienza D.O.P. di creme facciali biologiche, imporsi come infaticabile sommellier d'umori altrui, stracciare record su record in particolarissime sfide di apnea. Come si suol dire, contenta lei (e legioni innumeri di onanisti)...

Però se si menziona a sproposito una delle anime più vertiginose della storia umana per giustificare la propria prostituzione asservita al business, beh, non posso che evocare a mani giunte Cthulhu. Qualora quest'ultimo fosse già impegnato nel portare dolore altrove, lancerei io senza alcun rimorso la maledizione Avada Kedavra contro chi appellasse la Grey come esistenzialista, per poi gettarlo prima della incombente morte a calci nel Pozzo di Sarlacc. Cosi, tanto per invitarlo alla riflessione.

Perché, attenzione, io non sono un moralista. Ma Nietzsche si.
Ebbene si, per i meno informati, rivelo questo sconvolgente arcano. Nietzsche è il supremo moralista. 
Un pensatore che vuole rifondare la morale, che profetizza una nuova umanità,  proponendo una "trasvalutazione di tutti i valori", non l'abolizione di essi, si pone logicamente sul podio più alto della filosofia morale (vi ritorneremo approfonditamente nella seconda parte di quest'articolo).
Liberarsi dalla morale, come la intendiamo, richiede il più alto rigore morale, nel senso più puro, che si possa immaginare. E quindi sfuggire alle facilissime, e artificiali, contrapposizioni "buono/cattivo", "morale/immorale". Nietzsche era un filosofo davvero capace, per citare una delle sue più celebri affermazioni, di contemplare l'abisso. Non è mica quel cialtrone di Crowley, che ci ha lasciato in eredità il falsissimo mantra "Fà ciò che vuoi", epitaffio del fallimento della rivoluzione sessuale. Da questa falsa libertà è scaturita una generazione di erotomani tristi, smarriti nel labirinto di una promiscuità insensata e destinata ad esaurirsi nella nevrosi.
 Essere, come Nietzsche auspicava "Al di là del Bene e del Male", non vuol dire solo aver superato il perbenismo, il buonismo,  il politicamente corretto, il moralismo etc...significa, letteralmente, porsi anche al di là del conformismo, uguale e contrario (quindi logicamente equivalente), che domina la cosiddetta "controcultura", i luoghi comuni fittizi di tutto ciò che è ribelle, "alternativo". Quindi, significa non cedere alle seducenti sirene "rivoluzionarie" il cui canto mi era personalmente venuto a noia già in Quarto Ginnasio: il fascino del "cattivo", la seduzione del Male, dunque la giustificazione intellettuale della pornografia, del satanismo d'accatto, della blasfemia facile facile, del politicamente scorretto a tutti i costi. E' evidente da almeno vent'anni che il mainstream più banale e redditizio si nutre sistematicamente di questi elementi.
Ma davvero vi sentite ribelli a postare foto oscene, a scrivere bestemmie, a dire le parolacce? Credete davvero di scandalizzare qualcuno? Sono manifestazioni di ribellione degne di chierichetti frustrati.

E poi, tornando alla Grey, perdonate la mia semplicità, la mia mancanza di sofisticazione intellettuale, la mia brutale incapacità di leggere significati ulteriori ...mi spiegate cosa c'è di rivoluzionario nel farsi oggetto delle peggiori umiliazioni sessuali? Mi spiegate cosa c'è di femminista nell'inscenare il proprio stupro, sottoponendosi alle più violente perversioni? Mi spiegate cosa c'è di super-omistico  nell'usare pubblicamente la propria lingua come un WC Net?

In un'epoca in cui il sesso è usato ovunque, ossessivamente, quasi esclusivamente dai media (dalla pubblicità ai video musicali, dal cinema alla politica) come "arma di distrazione di massa", in cui tutto è sdoganato, uncensored, a portata di clic, culturalmente accettato...un mondo in cui Rocco Siffredi e Cicciolina parlano dal pulpito in Chiesa per celebrare le virtù di Riccardo Schicchi!!!! 
Ebbene, in quest'epoca non c'è nulla di più banale, conformista, allineato, mainstream, servo del regime che lo "scandalo" sessuale.

Posso capire che il "porno" come concetto, come confine concettuale, possa essere fonte di interesse intellettuale. Il vertice, in questo come in molti altri casi, lo ha raggiunto il genio (per anni misconosciuto, ora anch'egli divenuto una sorta di santino per finti decadenti) di Carmelo Bene. 
Ben note, per chi lo studia da più di vent'anni, le sue dissertazioni sulla distinzione fra Eros e Porno, QUI e QUI : sintetizzando, per Bene l'Eros è un plagio reciproco fra soggetto che desidera e oggetto contemplato, dunque siamo sempre nel teatrino dell'io; il Porno, invece, si instaura alla morte del desiderio, in un regno di assoluto abbandono e fusione inorganica immemore di sé. Bene accosta questo stato all'estasi dei mistici, quali Teresa d'Avila o S.Juan de la Cruz, da lui schopenhauerianamente agognata come momento supremo per liberarsi del pensiero.
Qui, a mio modesto giudizio, il Sommo è caduto in una trappola che, al di là della vertigine intellettuale che profila, aveva già imbrigliato menti eccelse, quali Elèmire Zolla o Guido Ceronetti: il maledetto equivoco tantrico. E' la reazione elastica, di matrice freudiana, alla innaturale repressione sessuale di marca paolina (ne abbiamo trattato diffusamente QUI) : ma è un errore altrettanto grave e fuorviante.
Il porno è il contrario dell'estasi mistica:  un conto è l'abbassamento nell'incoscienza animale, nell'indifferenziato inorganico, un conto è l'elevazione al di là dei limiti della mente, il dissolvimento dell'ego nel silenzio estatico. Vicoli ciechi, per quanto meravigliosamente decorati, del pensiero.

Tutto il porno, nella sua vorace vanità, è stato liquidato da Kubrick in una celeberrima scena di "Arancia Meccanica"

film davvero sadiano (ma con una forma estetica e una profondità di riflessione che il Marchese non si sarebbe sognato nemmeno sotto LSD) non solo nel mostrare il crudele compiacimento psicologico, l'inebriante esaltazione estetica della violenza, ma ancor di più nella gelida esposizione del rapporto Potere/individuo. La dinamica pasoliniana del Potere che violenta e fagocita qualsiasi elemento sociale, anche la ribellione, è qui resa magistralmente in una sorta di versione satanica della dialettica hegeliana. L'immoralità assoluta (Alex non solo è stupratore ma traditore e torturatore di chi si fidava e voleva fargli del bene, Dante lo avrebbe conficcato nelle fauci di Lucifero) è schiacciata e umiliata dalla violenza più grande, ipocrita, verniciata di "bene", del Sistema, che poi la riassorbe e assume come propria cellula, come proprio "agente" nel finale. Assolutamente geniale l'immagine di Alex che viene imboccato meccanicamente dal subdolo Ministro degli Interni, da sempre perfettamente consapevole delle sue malefatte. 
Millenni luce prima di Haneke e i suoi ignominiosi giochetti psicologici.

Ma, ovviamente, il riferimento ineludibile è "Salò- le 10 giornate di Sodoma", il testamento letteralmente infernale di Pier Paolo Pasolini. Anche di questo, ne abbiamo parlato in precedenza, sempre trattando degli "Scarabocchi di maicol&mirco", QUI e QUI.


Ora, Sasha Grey si sottopone a tutte le forme di violenza e sottomissione sessuale mostrate nell'ultimo film di Pasolini. C'è solo una differenza tra lei e le innocenti vittime del sadismo fascista (metafora del popolo tutto): lei è consenziente e contenta. Lucra sulla propria umiliazione. Quindi, nell'apparente scandalo, nella superficiale rottura delle regole, incarna la più totale sconfitta della rivoluzione, l'assoluta resa al sistema.  La materializzazione di tutti gli incubi profetici Pasolini: accettare la mercificazione del proprio corpo, farne osceno spettacolo, farlo per profitto, illudendosi pure di essere libera e "rivoluzionaria". La Grey, che si dichiara, e magari si crede pure, libera, e fa di questa sua supposta libertà il proprio punto filosofico (insiste nelle interviste che lei lo ha fatto in pieno controllo, per lei era mero profitto), in realtà abdica all'unica vera forma di libero arbitrio e di dignità, che nessuna tortura o umiliazione ci può levare: dire di no dentro di noi al Male, sia esso inteso moralmente o politicamente.
La dignità delle vittime pasoliniane che, prima di morire, fanno il pugno chiuso dichiarando il loro amore di fronte ai loro aguzzini, o di Justine, QUI resa magnificamente da quell'oscuro genio di Bunuel nel suo capolavoro "La Via Lattea".
La libertà ultima, irriducibile, celebrata, in una pagina degna di Camus, da Gregory David Roberts nell'incipit del suo imperdibile, straordinario romanzo autobiografico "Shantaram": "Ho impiegato molto tempo e ho girato quasi tutto il mondo per imparare quello che so dell’amore, del destino, e delle scelte che si fanno nella vita. Per capire l’essenziale però, mi è bastato un istante, mentre mi torturavano legato a un muro. Tra le urla silenziose che mi squarciavano la mente riuscì a comprendere che nonostante i ceppi e la devastazione del mio corpo ero ancora libero: libero di odiare gli uomini che mi stavano torturando oppure di perdonarli. Non sembra granché, me ne rendo conto.
Ma quando non hai altro (…) una libertà del genere rappresenta un universo sconfinato di possibilità. E la scelta che fai, odio o perdono, può diventare la storia della tua vita".

Nella seconda parte di questo articolo, affronteremo il rapporto tra Porno ed Eversione, prendendo sempre spunto da un articolo di Roberto a riguardo, alla luce delle riflessioni pasoliniane, analoghe nelle analisi ma non nelle conclusioni, e di alcuni aspetti del pensiero nietzscheano.





* Per scrupolo, una brevissima sintesi (comunque, c'è Google):

-  Friedrich NietzscheTra i massimi e più controversi filosofi di ogni tempo. Impossibile sintetizzare la complessità del suo pensiero, indichiamo tra i suoi temi celebri: la "morte di Dio", la "trasvalutazione di tutti i valori", l'avvento del "Superuomo", libero dai condizionamenti morali dei millenni precedenti, il mito de "l'eterno ritorno" dell'uguale.

- Sasha Grey: è un attrice ed ex-attrice porno atatunitense.Nei suoi film si è specializzata in ruoli fortemente sottomessi e umilianti. Circa la sua attività come attrice pornografica disse: 
« Non sono una vittima solo perché ho scelto la strada del porno. Nessuno ha mai abusato di me e non ho mai preso droghe.... Sono sempre stata consenziente su tutto quello che ho fatto. Sono una donna che crede fortemente nelle sue scelte. Non penso affatto che tutte le donne debbano fare porno e fottere come conigli. Per me è un affare. Punto. »
 (da Wikipedia)

- Roberto Recchioni: fumettista, disegnatore, sceneggiatore di punta della Bonelli, attuale curatore di "Dylan Dog", autoproclamatosi "rockstar del fumetto", è uno dei blogger più seguiti a livello nazionale, anche al di là del mondo fumettistico.







mercoledì 21 novembre 2012

Maicol&Mirco - Jean Paul Sartre = 10-0

Il Male mi annoia.
La violenza la trovo stupida, sterile, monotona.
La volgarità gratuita non mi diverte. Le bestemmie mi hanno sempre dato fastidio. Bacchettone? Ma per carità…
E’una questione estetica,  prima che morale. O meglio, è una questione estetica, dunque morale.
Chiarisco, il Male non mi spaventa anzi.
Mi annoia.
Scippando una celebre espressione di Hannah Arendt (che parlava in realtà di tutt’altra cosa) mi annoia, esteticamente, la banalità del Male.
Cosa c’è di più facile che sfogare gli appetiti più bassi, le pulsioni più animali, gli impulsi immediati, soprattutto in un’epoca in cui tutto ciò che in passato era proibito, vietato (e quindi sommamente fascinoso), non solo è a portata di click, ma è culturalmente accettato e, come si suol dire, ormai irrimediabilmente mainstream?!
Una volta caduti i paletti di una morale fittizia e decomposta, abbattuti i due-tre scrupoli formali rimasti, è il giochetto più facile che ci sia.
Poteva avere senso l’occhio tagliato di Dalì e Bunuel nel ’29, le descrizioni oscene di Henry Miller nel ’34, financo i beat….ma parliamo di 60 anni fa…

Eppure, sono qui a lodare, con entusiasmo, un libro che trabocca (almeno superficialmente) di tutti questi elementi che ho appena dichiarato di disprezzare: volgarità, bestemmie, iperviolenza etc…
Signore e Signori, in piedi: entrano gli “Gli scarabocchi di maicol&mirco”.

Attenzione, non  sto dicendo che questo è un libro divertente, trasgressivo, provocatorio,…no, no (nel 2012 ancora parliamo di provocazioni, suvvia…).
CHIARIAMO: non è un maledettissimo cabaret punk.

E’un’opera di genio.

Questo libro è un talismano contro la stupidità contemporanea.
Non solo quella insopportabile, riconoscibile, evidente.
 Quella del buonismo, della finta morale, dell’ipocrisia perbenista da “maggioranza silenziosa”, che chiunque abbia un encefalogramma non del tutto piatto epidermicamente rigetta con un grido d’orrore, come una siringa infetta trovata nel piatto di minestrone al ristorante.
Ma anche contro la stupidità, più sottile, e dunque più insidiosa, del politicamente scorretto facile facile, del nichilismo da salotto, del grunge patinato da Mtv.
Se prima ho citato Hannah Arendt, ora applicherò la par condicio scippando un’espressione altrettanto famosa, probabilmente spesso usata da Eichmann, l’orribile protagonista del suo libro : RAUS!

La violenza verbale, lo sberleffo immorale che dominano in questi elaboratissimi scarabocchi, lungi dall'essere volgare teppismo concettuale, illuminano di squarci accecanti la realtà stordente di uno smarrimento esistenziale collettivo. Dietro l'apparente facilità dei rovesciamenti paradossali, volti costantemente nell'osceno, nel blasfemo e nel disturbante, a uno sguardo attento si rivela un giacimento d'intelligenza pura.
Il quid di questa creazione non è solo una devastante padronanza dei meccanismi comici classici, ma uno sguardo privo d'alcun decoro e pietà nei confronti del nudo dolore d'esserci senza conoscersi.

Sono i Peanuts scritti a quattro mani da Beckett e GG Allin.

Intendiamoci, alcune tavole sono oggettivamente disturbanti, aggredendo temi tabù come l’incesto, la pedofilia, l’handicap etc…

Ma siamo davanti ad un uso sapiente e mai banale del politicamente scorretto.
In un'epoca in cui ormai MTV e Mediaset hanno sdoganato praticamente tutto è difficile ottenere un impatto comico e disturbante rimanendo originali
Credo che sia pertinente citare una delle più sottili  dichiarazioni di Frank Zappa, non solo artista geniale ma sempre lucidissimo critico della sua opera:
“ La maggior parte di quello che facciamo è progettata per infastidire le persone fino al punto che, anche per un secondo,  possano mettere in discussione l’ambiente a loro circostante, per poter fare qualcosa. 
Finchè non diventeranno consapevoli del loro ambiente, non se ne preoccuperanno - non faranno nulla per cambiarlo.” (trad. mia)


Alla luce di queste considerazioni, appare chiaro dunque che “Gli scarabocchi di maicol&mirco” sembrano battutacce,  ma sono acrobazie intellettuali notevoli.

Soprattutto, è un libro importante perché ci dà l’occasione di affrontare temi cruciali della nostra cultura contemporanea.

Le tematiche che ora accenneremo meriterebbero approfondimenti di centinaia di pagine, per cui ci limiteremo a enunciare alcuni concetti fondamentali, per meri motivi di spazio e non per pretesa dogmatica.

Facciamo un brevissimo accenno all’evoluzione (o involuzione?) del concetto di censura negli ultimi 50 anni.

Negli anni ’60 non si potevano indossare delle calze trasparenti in tv, causa l’effetto del bianco e nero. Poteva sembrare che le ballerine fossero a gambe scoperte, e ciò sarebbe stato fonte di scandalo.

Oggi, abbiamo trasmissioni seguitissime (non dagli adolescenti brufolosi in tempesta ormonale, ma dalle famiglie a tavola) in cui si parla solo e unicamente di sesso, in tutte le salse, in tutti i modi, in tutti gli orari.
  
Una volta le parolacce in tv erano un evento. Erano concesse solo a mostri sacri, in rare occasioni, controllatissime, di cadenza annuale o una tantum : Fo che recitava Ruzante,  Benigni a San Remo, Grillo (poteva dire quello che gli pare tranne fare battute sui socialisti), Carmelo Bene da Costanzo etc…
Ora ci ritroviamo non solo le famiglie che portano i bambini il giorno di Natale (!) a vedere i film di Vanzina (vero rituale satanico di massa: ce l’hanno fatta!), ma supposti intellettuali o politici (da Sgarbi a Ferrara, a quasi tutti i politici del Pdl) che utilizzano disinvoltamente il turpiloquio come in un bar di periferia.

Quando hai un Ministro che dice che col tricolore ci si pulisce il culo, un altro che indossa magliette offensive contro la religione islamica, un Presidente del Consiglio che organizza orge con minorenni, e racconta barzellette con bestemmie (ricevendo difesa dai Cardinali!)…dimmi tu che deve fare un povero artista per  sentirsi trasgressivo!

Pasolini aveva profetizzato, con la lucidità apocalittica che gli marchiava l’anima, questa perversa dinamica del potere: “Nulla è più anarchico del potere. Il potere fa praticamente ciò che vuole, e ciò che il potere vuole è completamente arbitrario, o dettatogli da sue necessità di carattere economico che sfuggono alla logica comune…  quella omologazione che il fascismo non è riuscito assolutamente ad ottenere, il potere di oggi, cioè il potere della civiltà dei consumi, invece riesce ad ottenere perfettamente, distruggendo le varie realtà particolari. E questa cosa è avvenuta talmente rapidamente che noi non ce ne siamo resi conto. E’ avvenuto tutto in questi ultimi anni. E stato una specie di incubo, in cui abbiamo visto attorno a noi l’Italia distruggersi e sparire. Adesso risvegliandoci, forse, da questo incubo, e guardandoci intorno, ci accorgiamo che non c’è più niente da fare.”


(chiedo scusa  non sono riuscito a trovare il video senza questa incomprensibile musica in sottofondo)

A parte la loro inquietante attualità, che sfiora la veggenza,  queste riflessioni ci interessano da vicino quando affrontiamo un libro come “Gli scarabocchi di maicol&mirco”.

Perché il Potere non solo ha liberato il linguaggio della protesta, abbattendo negli anni i paletti della censura, ma se n’è addirittura
appropriato,  fagocitandone i caratteri e i toni, spuntando così le armi di qualsiasi rivolta artistica e concettuale.
Si è impadronita del corpo stesso della rivolta: il linguaggio.

Ha preso il linguaggio che fino a poco prima censurava, e lo ha reso istituzionale, abbassandolo al livello del pettegolezzo da bar, della battutaccia scollacciata, depauperandolo così di qualsiasi potenzialità eversiva.

Se noi vediamo le interviste a Frank Zappa (prendo lui come esempio perché già citato),  nel periodo del suo processo per censura, assistiamo a una netta contrapposizione formale: il linguaggio castigato, ipocrita dei censori da un lato, lo sberleffo sconcio e anarchico di Zappa dall’altro.


Ora, è il contrario. I giornalisti “d’opposizione” s’esprimono garbatamente in un linguaggio rispettoso, i politici spesso rispondono con rutti e oscenità.

Questo capovolgimento spaesante è avvenuto su tutti i livelli della comunicazione di massa.

Sui siti di “Libero” o de “Il Giornale” (testate che dovrebbero rappresentare i “moderati”, quelli di “Dio, Patria e Famiglia”)
non è raro trovare, con la scusa del gossip e dell’attualità, link a video porno.
  
Dobbiamo tornare a Pasolini, e alle motivazioni, dolorose eppure illuminanti, che lo condussero alla sua famosa abiura della “Trilogia della Vita”. Lui che aveva inteso mostrare il sesso come momento di gioia popolare, per sottrarlo alle incipienti dinamiche di mercificazione e oggettificazione consumistica; lui che voleva restituirlo alla sua dimensione di liberazione spontanea, come “ultimo baluardo della realtà”, unica forma d’opposizione sociale (secondo il sottoscritto un abbaglio di derivazione freudiana), prendendo a testimonianza i classici della letteratura di tutto il mondo … si ritrovò le sale piene di ebeti che volevano vedere tette e culi ("Mi pento, ripeteva, di aver nutrito “l’ansia conformistica di essere sessualmente liberi che trasforma i giovani in miseri erotomani nevrotici, eternamente insoddisfatti (..) e perciò infelici.").
 Questo cocente disincanto fu l’anticamera straziante di “Salò-le centoventi giornate di Sodoma”, primo capitolo della tragicamente incompiuta “Trilogia della Morte”.
Un crudele viatico, quasi un’oscura evocazione maligna della sua stessa morte.

L’intero ventennio berlusconiano (cioè l’applicazione clownesca e insieme scientifica del piano eversivo della P2), in tutti i suoi più grotteschi aspetti (i fascisti, travestiti, al potere, l’addormentamento delle coscienze, le orge a Palazzo Grazioli, l’inebetimento consumistico delle masse direttamente proporzionale al progressivo impoverimento etc…) appare proprio la materializzazione (e)scatologica degli incubi pasoliniani, divenuti da profezia allucinata a cronaca quotidiana, ormai incapace di destare alcun scandalo.

Non possiamo non citare le parole scolpite nella pietra con cui il grande autore friulano analizza le cause della sua abiura: 


“Primo: la lotta progressista per la democratizzazione espressiva e per la liberalizzazione sessuale è stata brutalmente superata e vanificata dalla decisione del potere consumistico di concedere una vasta (quanto falsa) tolleranza.
Secondo: anche la "realtà" dei corpi innocenti è stata violata, manipolata, manomessa dal potere consumistico: anzi, tale violenza sui corpi è diventato il dato più macroscopico della nuova epoca umana.
Terzo: le vite sessuali private (come la mia) hanno subito il trauma sia della falsa tolleranza che della degradazione corporea, e ciò che nelle fantasie sessuali era dolore e gioia, è divenuto suicida delusione, informe accidia.”
(dall' "Abiura dalla Trilogia della vita", Corriere della Sera, 9 novembre 1975)

Queste non sono solo speculazioni intellettuali.
Sono profezie ardenti.
Basta accendere la tv e verificare.

Cito le prime cose che mi vengono in mente, in ordine sparso: Ozzy Osbourne, idolo del metal satanico degli anni’70, protagonista di un reality show sulla sua famiglia su MTV; Aldo Busi, scrittore- icona della trasgressione omosessuale, protagonista de “L’Isola dei Famosi” e di “Amici” (en passant non resisto a confidarvi una delle mie più antiche e ferme convinzioni: Maria De Filippi è il Demonio); servizi dei Tg sui dei calendari sexy, con ampi estratti dai backstage; sex-tape con ex- amanti ormai divenuti tappa obbligatoria nella carriera di una starlette per venir accolti nel club delle celebrità etc (una volta si frequentavano le scuole di dizione)…

Quando tutto è concesso, non c’è più nulla da trasgredire.

maicol&mirco riesce a mettere in tilt questo collaudatissimo assioma  del Sistema, tramite tre armi fondamentali:
una grande sapienza narrativa, un uso magistrale dei tempi comici e, soprattutto, una irriducibile sincerità.

La sapienza narrativa è tale da sintetizzare potenti microstorie nell’arco violento e svanente di un dialogo
Gli autori fanno un’operazione raffinatissima, un impiego magnificamente distruttivo della dialettica.
Non per nominare invano un sublime sapiente, potremmo dire che negli “scarabocchi” agisce una sorta di maieutica classica all’incontrario.
Se il filosofo ateniese attraverso la tecnica dialogica e l’uso dell’ironia estraeva dai suoi interlocutori scintille della Verità,  maicol&mirco , nello scambio di poche battute,  estrae dai suoi personaggi esplosioni di merda, abissi di veleno, incendi di rabbia cieca.

Per ciò che concerne il possesso de tempi comici, beh, siamo ai livelli di Totò.
Totò che si prende un caffè con Ciorian nella Loggia Nera di “Twin Peaks”.

Sulla copertina andrebbe posta un'etichetta come su sigarette e medicinali: "può provocare diuresi acute e improvvise. Avvertenze: non leggetelo mai sui mezzi pubblici, o in un ascensore affollato...men che mai provate anche solo a sfogliarlo durante un appuntamento galante.
Oppure premunitevi.

Qualcuno potrebbe a questo punto dire: “vabbè, abbiamo capito: non è un’opera di goliardia, non è mera provocazione, c’è un pensiero dietro, una riflessione etc.”…ma siccome l’essere umano ha bisogno, per evitare di smarrirsi nel labirinto idiota della propria mente, di creare delle etichette delle definizioni, come delle stampelle per  i propri pensieri paralitici, la stessa persona potrebbe aggiungere:” però, vedi, dice le parolacce, bestemmia..dunque…è punk, no?!”…

NO!
  
L’autore sfugge ai gangli banalizzanti della parolaccia e della bestemmia,(pur utilizzandole con copiosa indulgenza), al clichè divenuti mainstream di cui sopra,  per un semplice motivo.
Perché è autentico.
Non è in posa.
Veramente ammazzerebbe tutti.
La furia cieca, davvero (una volta tanto!) iconoclasta degli "scarabocchi" non è la trasgressioncina formale del fumettista che gioca “a chi è più matto”.
Nasce, evidentemente, da un dolore di vivere vero, reale, percepito nelle carni, distillato poi da un’intelligenza spietata, e rivomitato, con la calma del serial killer, sullo sfondo rosso sangue  teatro d’ogni scarabocchio.

E’ grazie a questa rabbia ferina, unita a un magistero comico da far invidia ad Achille Campanile, che maicol&mirco riesce a scardinare, insieme con destrezza e violenza deflagrante, le manette che il sistema ha imposto al linguaggio protestatario ( imposte come detto paradossalmente nel liberarlo, e quindi svuotandolo di ogni significato e potere).

I personaggi vengono calati in un eterno presente infernale, in cui la materia stessa dello spazio è fatta del sangue dei morti ammazzati, è il tempo è paralizzato nel momento della tremenda agnizione che la vita non ha senso. La morte non è liberazione ma il beffardo compimento di un’esistenza inutile e dolorosa.

In questo, “Gli scarabocchi” sono delle meditazioni diaboliche, quasi una  forma, straniante e blasfema, di koan Zen, degli Haiku dalla Gehenna.
Il non-sense della comicità nerissima che pervade “Gli scarabocchi” è in realtà il non-senso della vita. O meglio, l’analisi spietatamente logica dell’incapacità di trovarvi un senso.
Lo sputo dell'intelligenza incattivita sul volto ipocrita d'un'esistenza incomprensibile.
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Il BLAM che campeggia in copertina non è il fragore della pistola che scandisce letale l'esito dei dialoghi, ma è l'effetto improvviso e devastante della battuta deflagrante e definitiva che chiude non solo ogni vignetta, ma anche ogni dialogo, ogni speranza, ogni discorso possibile.
  
Un semplice esempio:
la tavola in cui il personaggio dice: “mettere al mondo un bambino vuol dire condannarlo a morte certa” è la più bella e felice sintesi dell’esistenzialismo che esista.

Ora, chi scrive, non ha alcuna stima del nichilismo d’accatto, dell’esistenzialismo snob, degli intellettualismi compiaciuti, delle disperazioni artificiali.
“L’inferno sono gli altri”, l’ho sempre trovata una frase d’una superficialità aberrante, della profondità filosofica pari al filo di bava colante dalla bocca di un cretino.
Il fallimento della mente, la morte della bellezza.
Insomma, non sopporto Jean-Paul Sartre.
Non voglio nemmeno perdere tempo a spiegarvi perché, preferisco delegare a più convincenti argomentazioni.
Vorrei infatti arricchire il corredo d’omaggi a numi tutelari, linkando direttamente alle parole di Louis-Ferdinand Cèline, uno dei più grandi scrittori degli ultimi trecento anni, che definisce magnificamente il soggetto in questione:


Ma torniamo ai nostri Superamici.

Se , come diceva Aristotele, il comico nasce dall’assurdo, ebbene, maicol&mirco coglie questo assurdo (o meglio, ne è colto, catturato e torturato), lo denuda, lo viviseziona, lo analizza, e lo espone  macellato sul tavolo rosso sangue delle sue pagine mortali.
L’irruzione dell’Assurdo, nell’illusoria calma piatta dell’esistenza, è il tema del “Caligola” di Albert Camus (lui sì un esistenzialista onesto e coraggioso, non uno sterile intellettuale in posa come “Tartre”);
“Caligola” che non a caso fu opera prima di quel genio irripetibile di Carmelo Bene (la cui lectio i lettori più attenti e consapevoli avranno già percepito affiorare qua e là come un basso continuo della riflessione).
Aprire a questo punto un discorso su Bene mi obbligherebbe a scrivere un trattato di pagine 724.
Mi limiterò a ricordare quando Bene disse che l’unica cosa che avrebbe salvato dell’Italia erano Ciprì e Maresco.
Forse gli unici antecedenti possibili degli “scarabocchi”.

Ed a l’unico antecedente possibile di Bene, nel teatro come nella riflessione filosofica su di esso,  mi hanno fatto pensare maicol&mirco: a Antonin Artaud.

Leggiamo le sue riflessioni sul “Teatro della Crudeltà”:

“La crudeltà è prima di tutto lucida, è una sorta di rigido controllo, di sottomissione alla necessità. Non si ha crudeltà senza coscienza, senza una sorta di coscienza applicata. È la coscienza a conferire all'esercizio di qualsiasi atto della vita un colore di sangue, una nota crudele, perchè è chiaro che la vita è sempre la morte di qualcuno.” (Parigi 13 settembre 1932, Antonin Artaud)
Sembra quasi la descrizione del libricino in oggetto.
Mi dareste davvero del folle se  affermassi: “Gli scarabocchi” sono il Teatro della Crudeltà che Artaud intuì, ma non seppe mai mettere in scena?
Al netto delle esagerazioni, degli entusiasmi, delle cosiddette provocazioni, rimane un dato.
Guardandoci attorno, nel limbo oppiaceo deserto d’alcuna originalità che ci avvolge, pare proprio che la risata violenta, incontenibile, travolgente che scatena la lettura de “Gli scarabocchi di maicol&mirco” sia rimasta l’unica catarsi possibile.

Ma non preoccupatevi, io amo i lieto fine.
  
Vorrei, infatti, concludere spingendo la mia enfasi oltre i limiti del pudore.
La protesta furiosa contro il maicol&mirco mi ricorda uno dei più grandi poeti nostrani. Ebbene si, lo dico: Giacomo Leopardi.
Prima di chiamare la neuro, aspettate. Ragioniamo insieme:
Se è vero che:

“Nobil natura è quella
Che a sollevar s'ardisce
Gli occhi mortali incontra
Al comun fato, e che con franca lingua,
Nulla al ver detraendo,
Confessa il mal che ci fu dato in sorte”
(“La Ginestra”, 111-116)

beh, credo che maicol&mirco possa essere considerato un campione dell’aristocrazia morale.
Del resto, è vero che Leopardi non ha mai disegnato scarabocchi che bestemmiano…ma provate a leggere “L’inno ad Arimane”, con consapevole riflessione.
Tutti i “cattivi” che conoscete, da Charles BukowskiBret Easton Ellis , da quel patetico clown  di Marylin Manson a qualsiasi imbecille proto, pre o post punk, vi appariranno (oltre che infinitamente inferiori a livello artistico e morale, come pidocchi davanti a una statua della Dea Iside) per quello che sono: innocui come dei chierichetti impacciati.
E, soprattutto, per “Gli scarabocchi di maicol&mirco” vale il celebre paradosso di De Sanctis su Leopardi: “produce l'effetto contrario a quello che si propone”.
Nel momento in cui ti mostra che la vita è un’insensata, crudele fregatura, te la fa amare con tutta la potenza di una risata squassante e fiera, la colonna sonora del trionfo dell’intelligenza.