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giovedì 13 giugno 2013

NIETZSCHE VS. Sasha Grey - del perché la porno-eversione è la dinamica meno eversiva possibile EP. II

Nietzsche ritratto da LRNZ, sintesi iconica del mio punto di vista


Come spiegato all'inizio del primo articolo, lo spunto per questa riflessione nasce anche da uno scambio di punti di vista con Roberto Recchioni sui concetti di Porno ed Eversione, in occasione della presentazione de "Gli Scarabocchi di Maicol & Mirco", lo scorso inverno a Roma. In poche battute, chiarimmo subito l'equivoco moralistico: nell'adolescenza, come molti, non solo ero un temibile satiro ma anche un'enciclopedia ambulante del trash, non mi scandalizzo certo della tematica. 
Sono le ripercussioni di determinate dinamiche concettuali su la consapevolezza umana ad inquietarmi.

Con Roberto, in quella interessante discussione al Forte Fanfulla, pur nella differente impostazione, ci ritrovammo d'accordo su molte cose (ad esempio che Sade,  sul quale mi sono espresso QUI proprio con Maicol, sia cattiva letteratura), ma più di tutto sull'analisi dei fenomeni: il porno influenza i nostri comportamenti sessuali, il regime mediatico è una membrana che tutto assorbe, siamo di fatto fregati dal Sistema.






In un articolo pubblicato qualche tempo fa sul suo blog, Recchioni analizzava il rapporto tra Porno ed Eversione (avvertenza per le signore e per chi non è avvezzo alla tematica: è molto esplicito! lo trovate QUI). Sintetizzando, dall'analisi dettagliata delle abitudini sessuali contemporanee, evidentemente influenzate dalla pornografia,  il concetto fondamentale è che: "... la diffusione massificata dell'iconografia pornografica ha riscritto il reale (...) il porno, che è il reale (non la sola rappresentazione del reale ma il reale stesso), lo riscrive sulla base delle sue necessità e questa sua riscrittura diventa, a sua volta, la realtà (...) Un capovolgimento, una eversione tangibile e concreta. E un divertente cortocircuito, non c'è che dire."

La cosa che mi colpì è che gli stessi concetti, ma con segno opposto, erano utilizzati da Pasolini, per mostrare l'apocalisse umana e culturale che aveva profeticamente intuito e analizzato.

Abbiamo già dedicato QUI diffusamente omaggio alle riflessioni pasoliniane sul rapporto tra sesso, mercificazione e potere (potete ascoltare dalla sua viva voce QUI e QUI). Citeremo ancora solo il passo clou della sua storica "Abiura della Trilogia della Vita": "la lotta progressista per la democratizzazione espressiva e per la liberazione sessuale è stata brutalmente superata e vanificata dalla decisione del potere consumistico di concedere una vasta (quanto falsa) tolleranza. Secondo: anche la “realtà” dei corpi innocenti è stata violata, manipolata, manomessa dal potere consumistico; anzi, tale violenza sui corpi è diventato il dato più macroscopico della nuova epoca umana".
Lo sdoganamento dell'erotismo e della pornografia, mascherata da tolleranza, per Pasolini rappresentavano la vittoria definitiva del Potere.

Non è un caso che l'articolo di Roberto si apriva con un'immagine di Lady Gaga, l'icona globale che maggiormente incarna il mainstream più molesto e ingannevole. La dimostrazione di potenza del sistema mediatico che ha ormai sbaragliato qualsiasi resistenza critica delle masse: l'ennesimo clone di Madonna venduto per pop-icon definitiva, una ragazzotta oggettivamente brutta (a regà, non me ne sono accorto solo io, sembra Wolowitz di Big Bang Theory!), imposta come sex-symbol





 un personaggio fintissimo fondato unicamente sull'apparenza esteriore,  in una grottesca rincorsa al look piu assurdo, barocco, eccentrico.
Ma che è? Una comparsa della Factory, scartata da Warhol per quanto cozza?!
No, la più grande popstar del mondo.


Il prodotto più artefatto e studiato a tavolino della storia della musica viene, questa è la finezza apocalittica, spacciato per "trasgressivo". Oltre a tutti i giochetti, subliminali o meno che siano, relativi alla massoneria e al potere occulto nei suoi video (non finiremmo davvero più...), in un  famoso video il prezzolatissimo fantoccio riveste tutte le icone pop a lei precedenti, tritandole e svuotandole, copia priva di significato alcuno,  nel vortice della rappresentazione mediatica.




La ribellione, da tempo, depotenziata a stereotipo. La rivoluzione, un brand, come un altro.
Lo stesso principio del business delle magliette di Che Guevara.
C'è chi si esalterà, di fonte al nichilismo trionfante, all'industrializzazione che si autodenuncia bla bla bla...a me fa schifo e tristezza, e basta.

Ma la sintesi (tornando all'articolo citato da Roberto)  è in questa immagine.





Terry Richardson, il fotografo  trasgressivo, censurato, accusato di manipolare sessualmente le giovani modelle,  al termine di una sessione fotografica stringe la mano al Presidente degli Stati Uniti. Scacco matto: la finta ribellione istituzionalizzata, letteralmente a braccetto col Potere.

Tornando, dunque, al rapporto tra porno e eversione, concettualmente, certo è un cortocircuito interessante. Ma le conseguenze per me, a livello culturale e umano, sono agghiaccianti.







Il secondo spunto era dato da alcune disegni di Roberto che raffiguravano l'ex porno-diva Sasha Grey in uno dei suoi passatempi apparentemente meno scandalosi: citare, per me, a sproposito Nietzsche (QUI trovate l'articolo dedicato).



Giocosamente, nell'articolo ho scritto che io non sono un moralista, ma il filosofo tedesco si.
Chiariamo: quando affermo che Nietzsche è moralista non intendo il termine nell'accezione più comune (d'intransigente bacchettone, spesso quasi sinonimo d'ipocrita) ma in senso strettamente filosofico, come osservatore e fustigatore dei costumi e dei comportamenti  umani. In primo luogo, egli era un grande estimatore e studioso dei cosiddetti moralisti francesi, del '600. Nel memorabile "il Viandante e la sua Ombra" li cita esplicitamente (La Rochefocauld,  La Bruyère, Montaigne, Fontenelle, Vauvenargues, Chamfort), chiosando : "essi contengono più pensieri reali di tutti i libri dei filosofi tedeschi messi insieme".
E' proprio nel richiamo alla concretezza filosofica, all'urgenza immediata dei  pensieri "reali", rispetto alle fumose astrazioni dell'idealismo a lui contemporaneo, possiamo individuare il legame "filiale" che lega l'inquieto martellatore ai suoi illustri precedenti.
 Nietzsche supera la tradizione dei filosofi moralisti. proprio perché ne è erede consapevole e riconoscente (come Baudelaire in poesia con le forme precedenti). Fin dalla sua scrittura aforistica, da "Umano, troppo umano" in poi, emblematicamente anti-sistematica, re-invenzione sconvolgente e benedetta dei canoni dell'espressione filosofica, egli è geniale allievo di La Rochefocauld, di La Bruyère, di Montaigne soprattutto. Addirittura, dedicherà a quest'ultimo, nel quasi giovanile peana al maestro poi furiosamente contrastato, "Schopenhauer come educatore", la seguente inequivocabile riflessione:  "Il solo fatto che un uomo simile abbia scritto, ha aumentato, in verità, la gioia di vivere su questa terra". 
Quella prosa ebbra, visionaria, estatica, quell'eruzione di furia e bellezza riversata da un cuore immenso e ribollente come l'oceano, abbracciato dal demone del duende (come dirà Lorca nella sua memorabile conferenza del 1933), è figlia splendida e ribelle delle compassate riflessioni del Seicento francese.
Splendida a riguardo la sintesi di Citati: "...chi non conosce Nietzsche come chi non ha letto Erodoto - il suo esatto contrario- non immaginerà mai a quali splendori potrà giungere l'arte della prosa".



Senza allargare troppo la riflessione, è interessante notare analogie illuminanti anche con un campione della filosofia morale classica (apprezzato e riadattato alle proprie istanze teologiche invece proprio dal Cristianesimo) quale Seneca. Più che lecito, con tutti i dovuti distinguo, associare la proverbiale attitudine stoica a l' amor fati nietzscheano, all'accettazione dionisiaca dell'esistenza, in tutte le sue contraddizioni e imperfezioni, predicata dal filosofo tedesco come orizzonte interiore dell' Oltreuomo. Per quanto uno studioso come Cesare Segre inviti a non  forzare l'accostamento, alcune sentenze de "La fermezza del saggio", non possono non accendere immediate associazioni: "Non c'è ragione che tu dubiti che chi nasce uomo possa elevarsi al di sopra dell'umano, assistere tranquillo a dolori, danni, piaghe, ferite, grandi movimenti di cose rumoreggianti intorno a sé, e sopportare con serenità le avversità e accogliere con moderazione le circostanze favorevoli..."

Detto questo, bisogna avere davvero capacità di apertura  pari a un caveau in granito sorvegliato da 27 ninja immortali per non vedere le affinità del pensiero nietzscheano con la millenaria riflessione orientale. Non solo egli richiama esplicitamente la figura divina di Shiva (del cui archetipo Dioniso è una versione affascinante ma già distorta), ma contrappone il buddhismo "sola religione positivistica" al "trucco" verticale dell'ascesi cristiana. Senza parlare del mito de "l'eterno ritorno", di cristallina derivazione indiana prima che greca, del "divenire" etc...


La stessa figura dell' Oltreuomo può essere, sempre mutatis mutandi, nel suo superamento dei limiti e delle debolezze umane, accostata allo yogi, anche se con delle sfumature tendenti più alla disciplina del samurai. Una versione non centrata, tendente all'espansione, all'aggressione, ma con profonde affinità, dello sthita pragnya descritto nella "Bhagavad Gita". Del resto, è altrettanto chiaro che Nietzsche sia fondamentalmente un grandioso martellatore: eccelle ed è definitivo nella pars destruens


E' pacifico, il filosofo è sempre stato contrario a forme di ascesi nel senso cristiano, in quanto negatrici del corpo e quindi dell'istinto vitale (sarà uno dei motivi di contrapposizione con Schopenhauer).  Ma se, anche stavolta, riscopriamo il termine nel suo significato originale ("esercizio") sicuramente per giungere alla meta dell' Oltreuomo, egli delinea un particolarissimo percorso di ascesi interiore. Fondato sulla "trasvalutazione di tutti i valori", sul rovesciamento della morale, anti-metafisico, come volete...ma se ascesi vuol dire esercizio, pensate quale enorme esercizio filosofico sia liberarsi di sovrastrutture millenarie!



Quella della sifilide è una diceria, ma vabbè...

Molteplici le connessioni, innegabili per chiunque sia davvero in grado di spezzare condizionamenti e etichette, tra il pensiero di Nietzsche e la filosofia Zen (che il filosofo non poteva conoscere, i testi non erano stati tradotti): una comoda sintesi la trovate QUI (al netto di qualche forzatura ed alcune affermazioni discutibili).



Ma è interessante soprattutto il discorso sull'ultima e più controversa fase del suo pensiero, illuminato dal concetto di Volontà di Potenza.
Che la Volontà di Potenza nietzscheana non abbia nulla a che vedere con il nazismo o con la mera esaltazione  dell'ego (un vecchissimo luogo comune trito e fallace dovuto alle rinomate deformazioni della sorella Elizabeth), è ormai dato di pubblico dominio. Dobbiamo al nostro beneamato Giorgio Colli la ricostruzione filologica che ci ha restituito il corretto significato dell'ultima fase del pensiero di Nietzsche, paradossalmente, al culmine della polemica anti-metafisica, molto vicino alle conclusioni dei mistici, soprattutto orientali.
Nulla a che vedere con ego e "potere"; come sintetizza magnificamente QUI (7.20-7.48) Carmelo Bene la Volontà di Potenza è il "disfacimento del concetto di soggetto":





 Conclusioni simili (è sorprendente) a cui arriverà l'ultimo Baudelaire in una grandiosa intuizione, contenuta nei cosiddetti "Diari Intimi" (nome erroneo, si trattava in realtà di appunti di opere destinate alla pubblicazione, anzi all'Opera che egli considerava la summa del suo pensiero). Il primo appunto de "Mon couer mis à nude" (meraviglioso titolo rubato all'amato Poe) recita infatti: "Della vaporizzazione e della centralizzazione dell'Io. Tutto è là.". L'inizio di ogni meditazione. Non a caso, il grande mistico Ramana Maharshi intitolerà il suo testo più famoso : "Chi sono io?". Il superamento dell'ego, non la sua affermazione, è il destino de l'Oltreuomo.



Ramana Maharshi


Ora, tiriamo brevemente le conclusioni delle nostre riflessioni.
E' evidente come la "cultura" contemporanea sia impregnata, fondata, strutturata sull'ossessione per il sesso. 
Dal tragico sdoganamento pseudo-scientifico di natura freudiana di ogni perversione, alla sistematica imposizione, sostanziale onnipresenza di elementi sessuali in ogni manifestazione mediatica (dal cinema alla pubblicità, dai video musicali alle trasmissioni televisive, dalla moda alla letteratura). Pasolini ha mostrato come questa dinamica sia una precisa e consapevole strategia del potere per svuotare ogni tensione vitale e protestataria, e appropriarsi e incanalare perfino gli istinti naturali e la dimensione intima delle persone ai biechi fini di profitto e mantenimento del cosiddetto Sistema.





Abbiamo mostrato come Nietzsche, sintetizzando al massimo alcuni aspetti del suo pensiero,  abbia annunciato l'avvento dell' Oltreuomo,  libero da condizionamenti sociali, storici, per ergersi al di là delle debolezze "umane, troppo umane". 

La conclusione è logica, anche se per molti sarà spiazzante.

Se volete essere davvero seguaci di Nietzsche, come lui scandalosamente inattuali, anticonformisti,  ostili ai "filistei culturali", se volete combattere la cultura dominante (come allora lui quella tedesca) con "un disprezzo senza limite", beh...allora avete solo una via per incarnare la vostra ribellione culturale, la vostra radicale differenza interiore: la castità
Si, avete letto bene. Avvertenza! Se qualcuno si scandalizzasse di questa affermazione (paradossalmente) non farebbe che confermare la vera, grottesca eversione compiuta dal misero fallimento della rivoluzione sessuale: i dogmi freudiani, teoricamente nati per abbattere i totem e rompere i tabù millenari, sono diventati essi stessi totem intoccabili e tabù inviolabili.



Meravigliosa sintesi di maicol&mirco donata dagli autori al nostro blog come stendardo ufficiale

Chiarisco (prima che chiamate la neuro): quando parliamo di castità, non parliamo della innaturale follia del sacerdozio cattolico, che impone l'astinenza sessuale a vita. Sciocca assurdità. Parliamo di superamento del desiderio, di sguardo innocente sulle cose che diventa prassi comportamentale. Non in base a un comandamento o a una legge morale, ma a seguito di un affrancamento interiore dalla vanità di ciò che ci circonda. Uno stato di spontaneità che non contraddice affatto né nega una  vita sessuale autenticamente felice e gioiosa (anzi ne è unica dimensione).

Nietzsche stesso parla di castità, citeremo solo due esempi, per mostrare fasi diverse della sua riflessione.
Ne "L'Anticristo" (libro in realtà per nulla contro la figura del Cristo, ma contro Paolo come abbiamo trattato QUI), suo tempestoso testamento, tuoneggia: "La predicazione della castità è istigazione pubblica alla contronatura. Ogni disprezzo della vita sessuale, ogni contaminazione della medesima mediante il concetto di "impuro" è il vero e proprio peccato contro il sacro spirito della vita." E su questo siamo perfettamente d'accordo, identificando col termine l'insensata repressione paolina degli istinti sessuali. 

Ma, in precedenza, nel suo libro più famoso e "centrato", nonché il suo prediletto, ovviamente "Cosi parlò Zarathustra", aveva affrontato la questione nei termini in cui la stiamo ponendo: 

"Amo la foresta. Nelle città si vive male: ci sono troppi libidinosi. Non è meglio cadere nelle mani di un assassino che nei sogni di una femmina libidinosa? E guardate un po' questi uomini: il loro occhio lo dice - essi non conoscono niente di meglio sulla terra che giacere con una femmina. Hanno fango sul fondo della loro anima; e guai se il loro fango ha anche spirito! Foste almeno perfetti come gli animali! Ma all'animale si appartiene l'innocenza.

Vi consiglio forse di uccidere i vostri sensi? Io vi consiglio l'innocenza dei sensi. Vi consiglio forse la castità? La castità è per alcuni una virtù ma per molti quasi un vizio. Questi certo si astengono: ma la cagna sensualità guarda con invidia tutto ciò che fanno. Finanche sulle vette della loro virtù e fin nella fredda interiorità dello spirito li segue questa bestia e la sua insoddisfazione. E con che garbo la cagna sensualità sa mendicare un brandello di spirito, quando le vien rifiutato un brandello di carne!

Amate la tragedia e tutto ciò che spezza il cuore? Ma io diffido dalla vostra cagna.
Vi vedo occhi troppo crudeli e gettate sguardi libidinosi verso i sofferenti. Non si è la vostra voluttà travestita e non si chiama ora essa pietà? E anche questa similitudine vi do: non pochi che volevano scacciare il loro demonio, finirono in mezzo ai porci. A chi la castità riesce difficile, a costui essa è da sconsigliare: perché non diventi la via che porta all'inferno - ossia al fango e alla fregola dell'anima.

Sto parlando di cose sporche? Per me non è questo il peggio. Non quando la verità è sporca, ma quando è superficiale, scende malvolentieri nella sua acqua l'uomo della conoscenza.
In verità, ci sono persone profondamente caste: esse sono più miti di cuore, ridono di più e più facilmente di voi. Ridono anche della castità e domandano: "Che cos'è la castità? Non è la castità una follia? Ma questa follia venne a noi e noi ad essa. Noi abbiamo offerto a questa ospite albergo e cuore: ora essa dimora in noi - e ci resti finché vuole!".


Chi è davvero innocente ("colui che non nuoce", spontaneamente), non si pone nemmeno il problema della castità. Non desidera la donna d'altri non perché sia intimorito da un comandamento, o represso da una convenzione sociale, ma perché comunque gioisce, al di là del desiderio stesso.
E' davvero al di là del Bene e del Male.
 Conosce se stesso, primo passo per "diventare ciò che si è".




Non si diventa "ciò che si è", men che mai Oltreuomini, se non si è in grado di andare "oltre" i più bassi e grossolani istinti, le più immediate e facili seduzioni. Chi si professasse seguace di Nietzsche e fosse ancora, per citare Dante, "nel diletto della carne involto" apparirebbe ridicolo come colui che dichiarasse di voler ascendere sulla cima dell'Everest, e  inciampasse sulla ghiaia dei giardinetti sotto casa, bagnata dalla pipì del proprio cagnolino.

Quindi, se volete, continuate pure a smentire empiricamente il pregiudizio popolare su una delle cause più comuni di cecità...ma non scomodate invano un filosofo che ha dedicato la sua vita all'emancipazione dell'umanità!!!


Detto questo, sono aperto alla discussione, fedele più che mai al filosofo che ha ispirato la riflessione: 

 "Fino a che punto il pensatore deve amare il suo nemico. Mai trattenere o tacere a te stesso qualcosa che può esser pensato contro il tuo pensiero! Promettilo solennemente a te stesso! Ciò appartiene alla prima onestà del pensare. Ogni giorno devi condurre anche contro te stesso la tua campagna di guerra. Una vittoria e una trincea conquistata non sono più faccende tue, ma della verità, ma anche la tua sconfitta non è affar tuo!".*





* Aurora, 370

lunedì 3 giugno 2013

NIETZSCHE vs Sasha Grey - del perché il Superuomo disprezzerebbe le donne oggetto EPISODE I

Ritratto di Nietzsche realizzato da LRNZ che riassume efficacemente il mio punto di vista



Questo articolo prende spunto da un disegno di Roberto Recchioni che raffigura Sasha Grey con la maglietta delle BR mentre proferisce una citazione, peraltro splendida, di Friedrich Nietzsche.



 Ora credo che i miei manzoniani venticinque lettori (tra cui sia annoverano ricercatori filosofici, irriducibili goliardi ed enciclopedie viventi di cultura pop) conoscano benissimo almeno due su tre dei personaggi citati.*

Il disegno di Roberto è chiaramente un gioco provocatorio, in cui vengono accostati il grande filosofo, il movimento brigatista e la giovane ex-pornodiva come tre icone pop.
Recchioni aveva già utilizzato Nietzsche in questo senso nella tavola, per me, più divertente del suo "Asso", in cui il protagonista evocava l'ispirazione dei suoi maestri (il filosofo per intenderci figurava accanto, tra gli altri, a Darth Vader).
Roberto, che, come anche il suo peggior nemico deve ammettere, è persona colta e intelligente, è stato il primo a svelare il giochetto, dichiarando esplicitamente la stoltezza di chi avesse potuto prendere sul serio una cosa del genere.
  


Dunque, sgombriamo subito il campo da sciocchi equivoci: non è assolutamente una polemica con Roberto, figuriamoci. Non ho tempo (e lui sicuramente meno di me) per simili vani passatempi. Ne abbiamo parlato di persona della nostra differente visione sul porno, anche pubblicamente (in occasione della presentazione degli "Scarabocchi" di maicol&mirco al Forte Fanfulla alcuni mesi fa), e ho ritenuto opportuno scriverci un articolo perché si tratta di un argomento, credo, che può ispirare una discussione stimolante e originale, non solo per noi due.


Roberto Recchioni visto da LRNZ

Si tratta di un invito all'approfondimento su un tema di pubblico interesse, che investe in maniera cruciale, al di là dei punti di vista, la cultura contemporanea.
Un confronto sereno e maturo fondato sul rispetto reciproco.
Dico questo non solo pensando a Roberto, ma in generale per qualsiasi discussione che ho intrapreso o intraprenderò. Fedele in questo ai sublimi detti dell'Imperatore buddhista Ashoka, che stabilivano le regole delle dispute dialettiche, per prima cosa "onorando debitamente e in ogni occasione" gli avversari (come dice Roberto Calasso "nel lungo corteo di potenti, occidentali e orientali, che scandiscono la storia, nessuno è stato capace di parole simili").
Vorrei prendere come modello (ripeto modello, esempio, ispirazione: non sono cosi egoico da pormi a quei livelli) questo confronto tra Indro Montanelli e Giorgio Bocca. Due intellettuali, com'è notorio, dalla visione diametralmente opposta, eppure guardate QUI con quanto garbo, quanto rispetto, quanta eleganza discutono, addirittura infastiditi dai tentativi di Arbasino di incensarli enfaticamente e vivacizzare polemicamente il dibattito per creare l'evento mediatico.

Iniziamo, dunque.
La mia visione della  pornografia credo sia antitetica a quella di Roberto, che manifesta da sempre un interesse quasi ossessivo per la materia, non certo dettato da pulsioni onanistiche, ma, verrebbe da dire, da una fascinazione concettuale.

Per me la pornografia uccide il desiderio, la spontaneità, l'incanto che sono la bellezza e la magia di Eros. 
 La vitalità esuberante della passione erotica è depressa nella ripetizione meccanica di atti prevedibili, l'oceano dell'immaginazione sensuale ridotto ad un morto catalogo di etichette delle più varie perversioni.
 La maestà dei corpi, soprattutto femminili, è umiliata a farsi macchina di carne animale per il piacere bruto: esseri umani, spesso di rara bellezza, tramutati in stampelle grottesche per impotenti.
Non a caso Kafka, profeta assoluto del Nulla contemporaneo, ne era affascinato.
Fu lui a porre l'epitaffio definitivo sull'era moderna, in cui "non esiste più il mistero, solo istruzioni per l'uso".

Chiarisco, il mio non è un discorso moralistico. 
Parafrasando ciò che scrissi nell'articolo d'esordio di questo blog (lo trovate QUI) : è una questione estetica, prima che morale. O meglio, una questione estetica, dunque morale. La pornografia non mi scandalizza. Mi annoia. Come riassunse il grande Flaiano, in una frase che sembra rispondere all'aforisma kafkiano: "la pornografia è noiosa, perché fa pettegolezzi su un mistero".

 E fin qui, uno potrebbe semplicemente dire: non ti piace?! Ignorala, chi vuole la consuma come un pacchetto di patatine, problemi suoi.
E, infatti, non mi sarei mai sognato di scrivere qualcosa a riguardo.

Arriviamo però al punto: su "XL" di Maggio compariva un'intervista proprio di Recchioni, con Mauro Uzzeo, alla signorina Grey. La particolarità che rendeva l'intervista interessante è che i due l'hanno resa protagonista di un albo del loro fumetto John Doe. Inoltre, va senza dubbio riconosciuto a Roberto il fiuto del talent-scout: sono anni che sul suo blog preconizzava il successo, o meglio l'unicità dirompente della pornoattrice,  ben prima che diventasse un simbolo popolare di trasgressione.
A livello umano sono  contento per Roberto e Mauro: deve essere una ficata assurda incontrare dal vivo un personaggio (al di là del giudizio su di esso) che hai rappresentato in un fumetto; mi ha fatto pensare per la circostanza, mutatis mutandi, all'incontro dei due miti Liberatore e Franxerox Zappa, uno che probabilmente avrebbe trovato interessanti le performance della Grey....

Sulla copertina l'intervista è lanciata cosi: "La pornorivoluzionaria e la rockstar del fumetto". Ok, Roberto ama definirsi cosi, è ormai il suo biglietto da visita. Ciò che ha provocato un terremoto nel mio sistema nervoso simpatico, specificamente quello di destra, è stata la definizione di "rivoluzionaria" applicata alla Grey. Per carità, slogan efficacissimo, non è certo la prima volta che li si appella così, del resto, oppure "pornodiva esistenzialista"...ma c'è di peggio. C'è di che simpatizzare con le sette che evocano l'Apocalisse.
La sed non satiata vorax fellatrix cita Nietzsche. Si, avete capito bene: Friedrich Wilhelm Nietzsche, nato il 15 ottobre 1844 a Rocken. Non un omonimo, lui.

Molto bene. 

Quando per la.prima volta lessi il nome della accanto alle parole "esistenzialista" e "femminista", soltanto la.mia irriducibile certezza (non fede) junghiana in una forma di Intelligenza e Giustizia superiore mi ha impedito di comporre subito un madrigale di bestemmie per coro sardo e violoncello.




Concordo con Roberto nel dire che il problema non è tanto che la Grey citi Nietzsche e Dostoevskij (con, aggiungo io, l'aberrante superficialità culturale americana), come fanno tutte le sue coetanee americane finte hipster o aspiranti tali. I social network traboccano di adolescenti che riempiono le loro bacheche di citazioni, senza alcuna soluzione di continuità, di Saffo, Kafavis e Fabio Volo.
Questo discorso ci porterebbe troppo lontano e aprirebbe una serie di considerazioni ulteriori, quali la rivalutazione, in determinati casi, della pena di morte come opzione educativa.
Concordo con Roberto, dicevo, nel dire che il problema  vero è che quando Sasha Grey cita Nietzsche c'è chi la prende sul serio.

La cosa per me è gravissima.

Sarebbe troppo facile, da cultore della sapienza yogica, far cadere la mannaia moralista su quel vorace aspiratutto frangettato che e' la testolina hipster della Grey: per me il corpo umano e' un Tempio, sede di energie sacre, e lei ha trasformato fieramente il proprio in una pubblica latrina. Ma non sono un moralista. Per me è in primo luogo sacra la libertà dell'individuo. Per cui nel rispetto del libero arbitrio d'ognuno, chioserei in lingua d'oc: machemenefregaame de quello che fa Sasha Grey. L'espansiva signorina per me avrebbe potuto continuare a dare spettacolo globale dei propri indiscussi talenti (mentre ha smesso all'apice, con furbissimo tempismo commerciale) : tramutarsi in una spremitrice umana multiuso, certificare la provenienza D.O.P. di creme facciali biologiche, imporsi come infaticabile sommellier d'umori altrui, stracciare record su record in particolarissime sfide di apnea. Come si suol dire, contenta lei (e legioni innumeri di onanisti)...

Però se si menziona a sproposito una delle anime più vertiginose della storia umana per giustificare la propria prostituzione asservita al business, beh, non posso che evocare a mani giunte Cthulhu. Qualora quest'ultimo fosse già impegnato nel portare dolore altrove, lancerei io senza alcun rimorso la maledizione Avada Kedavra contro chi appellasse la Grey come esistenzialista, per poi gettarlo prima della incombente morte a calci nel Pozzo di Sarlacc. Cosi, tanto per invitarlo alla riflessione.

Perché, attenzione, io non sono un moralista. Ma Nietzsche si.
Ebbene si, per i meno informati, rivelo questo sconvolgente arcano. Nietzsche è il supremo moralista. 
Un pensatore che vuole rifondare la morale, che profetizza una nuova umanità,  proponendo una "trasvalutazione di tutti i valori", non l'abolizione di essi, si pone logicamente sul podio più alto della filosofia morale (vi ritorneremo approfonditamente nella seconda parte di quest'articolo).
Liberarsi dalla morale, come la intendiamo, richiede il più alto rigore morale, nel senso più puro, che si possa immaginare. E quindi sfuggire alle facilissime, e artificiali, contrapposizioni "buono/cattivo", "morale/immorale". Nietzsche era un filosofo davvero capace, per citare una delle sue più celebri affermazioni, di contemplare l'abisso. Non è mica quel cialtrone di Crowley, che ci ha lasciato in eredità il falsissimo mantra "Fà ciò che vuoi", epitaffio del fallimento della rivoluzione sessuale. Da questa falsa libertà è scaturita una generazione di erotomani tristi, smarriti nel labirinto di una promiscuità insensata e destinata ad esaurirsi nella nevrosi.
 Essere, come Nietzsche auspicava "Al di là del Bene e del Male", non vuol dire solo aver superato il perbenismo, il buonismo,  il politicamente corretto, il moralismo etc...significa, letteralmente, porsi anche al di là del conformismo, uguale e contrario (quindi logicamente equivalente), che domina la cosiddetta "controcultura", i luoghi comuni fittizi di tutto ciò che è ribelle, "alternativo". Quindi, significa non cedere alle seducenti sirene "rivoluzionarie" il cui canto mi era personalmente venuto a noia già in Quarto Ginnasio: il fascino del "cattivo", la seduzione del Male, dunque la giustificazione intellettuale della pornografia, del satanismo d'accatto, della blasfemia facile facile, del politicamente scorretto a tutti i costi. E' evidente da almeno vent'anni che il mainstream più banale e redditizio si nutre sistematicamente di questi elementi.
Ma davvero vi sentite ribelli a postare foto oscene, a scrivere bestemmie, a dire le parolacce? Credete davvero di scandalizzare qualcuno? Sono manifestazioni di ribellione degne di chierichetti frustrati.

E poi, tornando alla Grey, perdonate la mia semplicità, la mia mancanza di sofisticazione intellettuale, la mia brutale incapacità di leggere significati ulteriori ...mi spiegate cosa c'è di rivoluzionario nel farsi oggetto delle peggiori umiliazioni sessuali? Mi spiegate cosa c'è di femminista nell'inscenare il proprio stupro, sottoponendosi alle più violente perversioni? Mi spiegate cosa c'è di super-omistico  nell'usare pubblicamente la propria lingua come un WC Net?

In un'epoca in cui il sesso è usato ovunque, ossessivamente, quasi esclusivamente dai media (dalla pubblicità ai video musicali, dal cinema alla politica) come "arma di distrazione di massa", in cui tutto è sdoganato, uncensored, a portata di clic, culturalmente accettato...un mondo in cui Rocco Siffredi e Cicciolina parlano dal pulpito in Chiesa per celebrare le virtù di Riccardo Schicchi!!!! 
Ebbene, in quest'epoca non c'è nulla di più banale, conformista, allineato, mainstream, servo del regime che lo "scandalo" sessuale.

Posso capire che il "porno" come concetto, come confine concettuale, possa essere fonte di interesse intellettuale. Il vertice, in questo come in molti altri casi, lo ha raggiunto il genio (per anni misconosciuto, ora anch'egli divenuto una sorta di santino per finti decadenti) di Carmelo Bene. 
Ben note, per chi lo studia da più di vent'anni, le sue dissertazioni sulla distinzione fra Eros e Porno, QUI e QUI : sintetizzando, per Bene l'Eros è un plagio reciproco fra soggetto che desidera e oggetto contemplato, dunque siamo sempre nel teatrino dell'io; il Porno, invece, si instaura alla morte del desiderio, in un regno di assoluto abbandono e fusione inorganica immemore di sé. Bene accosta questo stato all'estasi dei mistici, quali Teresa d'Avila o S.Juan de la Cruz, da lui schopenhauerianamente agognata come momento supremo per liberarsi del pensiero.
Qui, a mio modesto giudizio, il Sommo è caduto in una trappola che, al di là della vertigine intellettuale che profila, aveva già imbrigliato menti eccelse, quali Elèmire Zolla o Guido Ceronetti: il maledetto equivoco tantrico. E' la reazione elastica, di matrice freudiana, alla innaturale repressione sessuale di marca paolina (ne abbiamo trattato diffusamente QUI) : ma è un errore altrettanto grave e fuorviante.
Il porno è il contrario dell'estasi mistica:  un conto è l'abbassamento nell'incoscienza animale, nell'indifferenziato inorganico, un conto è l'elevazione al di là dei limiti della mente, il dissolvimento dell'ego nel silenzio estatico. Vicoli ciechi, per quanto meravigliosamente decorati, del pensiero.

Tutto il porno, nella sua vorace vanità, è stato liquidato da Kubrick in una celeberrima scena di "Arancia Meccanica"

film davvero sadiano (ma con una forma estetica e una profondità di riflessione che il Marchese non si sarebbe sognato nemmeno sotto LSD) non solo nel mostrare il crudele compiacimento psicologico, l'inebriante esaltazione estetica della violenza, ma ancor di più nella gelida esposizione del rapporto Potere/individuo. La dinamica pasoliniana del Potere che violenta e fagocita qualsiasi elemento sociale, anche la ribellione, è qui resa magistralmente in una sorta di versione satanica della dialettica hegeliana. L'immoralità assoluta (Alex non solo è stupratore ma traditore e torturatore di chi si fidava e voleva fargli del bene, Dante lo avrebbe conficcato nelle fauci di Lucifero) è schiacciata e umiliata dalla violenza più grande, ipocrita, verniciata di "bene", del Sistema, che poi la riassorbe e assume come propria cellula, come proprio "agente" nel finale. Assolutamente geniale l'immagine di Alex che viene imboccato meccanicamente dal subdolo Ministro degli Interni, da sempre perfettamente consapevole delle sue malefatte. 
Millenni luce prima di Haneke e i suoi ignominiosi giochetti psicologici.

Ma, ovviamente, il riferimento ineludibile è "Salò- le 10 giornate di Sodoma", il testamento letteralmente infernale di Pier Paolo Pasolini. Anche di questo, ne abbiamo parlato in precedenza, sempre trattando degli "Scarabocchi di maicol&mirco", QUI e QUI.


Ora, Sasha Grey si sottopone a tutte le forme di violenza e sottomissione sessuale mostrate nell'ultimo film di Pasolini. C'è solo una differenza tra lei e le innocenti vittime del sadismo fascista (metafora del popolo tutto): lei è consenziente e contenta. Lucra sulla propria umiliazione. Quindi, nell'apparente scandalo, nella superficiale rottura delle regole, incarna la più totale sconfitta della rivoluzione, l'assoluta resa al sistema.  La materializzazione di tutti gli incubi profetici Pasolini: accettare la mercificazione del proprio corpo, farne osceno spettacolo, farlo per profitto, illudendosi pure di essere libera e "rivoluzionaria". La Grey, che si dichiara, e magari si crede pure, libera, e fa di questa sua supposta libertà il proprio punto filosofico (insiste nelle interviste che lei lo ha fatto in pieno controllo, per lei era mero profitto), in realtà abdica all'unica vera forma di libero arbitrio e di dignità, che nessuna tortura o umiliazione ci può levare: dire di no dentro di noi al Male, sia esso inteso moralmente o politicamente.
La dignità delle vittime pasoliniane che, prima di morire, fanno il pugno chiuso dichiarando il loro amore di fronte ai loro aguzzini, o di Justine, QUI resa magnificamente da quell'oscuro genio di Bunuel nel suo capolavoro "La Via Lattea".
La libertà ultima, irriducibile, celebrata, in una pagina degna di Camus, da Gregory David Roberts nell'incipit del suo imperdibile, straordinario romanzo autobiografico "Shantaram": "Ho impiegato molto tempo e ho girato quasi tutto il mondo per imparare quello che so dell’amore, del destino, e delle scelte che si fanno nella vita. Per capire l’essenziale però, mi è bastato un istante, mentre mi torturavano legato a un muro. Tra le urla silenziose che mi squarciavano la mente riuscì a comprendere che nonostante i ceppi e la devastazione del mio corpo ero ancora libero: libero di odiare gli uomini che mi stavano torturando oppure di perdonarli. Non sembra granché, me ne rendo conto.
Ma quando non hai altro (…) una libertà del genere rappresenta un universo sconfinato di possibilità. E la scelta che fai, odio o perdono, può diventare la storia della tua vita".

Nella seconda parte di questo articolo, affronteremo il rapporto tra Porno ed Eversione, prendendo sempre spunto da un articolo di Roberto a riguardo, alla luce delle riflessioni pasoliniane, analoghe nelle analisi ma non nelle conclusioni, e di alcuni aspetti del pensiero nietzscheano.





* Per scrupolo, una brevissima sintesi (comunque, c'è Google):

-  Friedrich NietzscheTra i massimi e più controversi filosofi di ogni tempo. Impossibile sintetizzare la complessità del suo pensiero, indichiamo tra i suoi temi celebri: la "morte di Dio", la "trasvalutazione di tutti i valori", l'avvento del "Superuomo", libero dai condizionamenti morali dei millenni precedenti, il mito de "l'eterno ritorno" dell'uguale.

- Sasha Grey: è un attrice ed ex-attrice porno atatunitense.Nei suoi film si è specializzata in ruoli fortemente sottomessi e umilianti. Circa la sua attività come attrice pornografica disse: 
« Non sono una vittima solo perché ho scelto la strada del porno. Nessuno ha mai abusato di me e non ho mai preso droghe.... Sono sempre stata consenziente su tutto quello che ho fatto. Sono una donna che crede fortemente nelle sue scelte. Non penso affatto che tutte le donne debbano fare porno e fottere come conigli. Per me è un affare. Punto. »
 (da Wikipedia)

- Roberto Recchioni: fumettista, disegnatore, sceneggiatore di punta della Bonelli, attuale curatore di "Dylan Dog", autoproclamatosi "rockstar del fumetto", è uno dei blogger più seguiti a livello nazionale, anche al di là del mondo fumettistico.







martedì 2 aprile 2013

"The Next Day" - il mondo in fiamme del veggente bugiardo


Ancora una volta il Duca Bianco è tornato, “lanciando dardi negli occhi degli innamorati...”

Molto si è speculato, legittimamente, sulla copertina di
"The Next Day", ove un quadrato bianco col titolo del disco oscura il volto di Bowie, al massimo dello splendore iconico, sulla copertina di "Heroes". Il disco-simbolo, forse il vertice, della gloria artistica passata del Nostro.




Numerosi commentatori hanno interpretato questa scelta, supportati anche
dalle dichiarazioni di Tony Visconti a riguardo, non come una mera provocazione, ma come un annuncio di svolta, un invito rivolto in primo luogo alla platea globale di devoti: affrancarsi dalla nostalgia mitizzante, obliterando il volto sacralizzato dell'idolo, proiettandosi verso l'ignoto oceano delle possibilità future."Au fond de l'inconnu pour trouver du nouveau"? D'accordo, ma se di
"Invito al Viaggio" si tratta, è un'odissea interiore, quella alla quale siamo sospinti.Infatti, come è stato notato, il disco in realtà trabocca di riferimenti, nemmen tanto celati, alla indimenticabile produzione precedente. Non solo all'epocale trilogia berlinese, come esplicitamente suggerito, ma anche agli esperimenti jungle degli anni '90, al parzialmente abiurato exploit da "king of pop" di inizio anni'80, passando per le suggestioni sonore di "Scary Monsters".
Ancor di più, a mio modesto avviso, il Duca ha seminato tracce che ci riconducono addirittura ai lati oscuri di
"Hunky Dory", e alla malata bellezza di "The Man who sold the World".
Briciole di citazioni, più o meno immediatamente riconoscibili, che consentono, se raccolte ,
all'ascoltatore smarrito di ritornare a casa, "bringing it all back home", togliendo i capolavori dai mortiferi Musei del Rock, e restituendoli alla vita, trasformati in nuova creazione.
Così per il finale di
"Five Years", evidentemente ripreso da "You Feel so Lonely You Could Die", oppure per la schitarrata ritmica di "Fame" e il riff furbetto di "China Girl" ben nascosti in "Dirty Boys", e molti altri, più sottili, riferimenti, che di volta in volta richiameremo nella trattazione.
Un gioco cosi raffinato e genialmente auto-ironico da applicarsi in corso d'opera all'opera stessa: le prime note di
"Valentine's Day" ricalcano immediatamente il commovente refrain dell'appena terminata "Where are we now?"
, quasi a già consegnare il nuovo singolo ad una certa consacrazione da classico ulteriore.
Dunque, nessun impossibile colpo di spugna estetico, al contrario un complesso e introspettivo laboratorio di rigenerazione creativa.
Una resurrezione artistica che porta in dote le accecanti memorie antecedenti alla morte apparente.
Bowie aveva perfino convocato Robert Fripp, la chitarra siderale del brano-manifesto title-track dell'album evocato/rimosso fin dalla copertina. Il leader storico dei King Crimson
non solo ha declinato l'invito, è stato anche l'unico a rivelare la segretissima notizia del nuovo progetto del Duca. Ma, tale è il potere del misterioso magnetismo bowieano, nessuno gli ha creduto.
Ho già mostrato
QUI, commentando la meravigliosa sorpresa di Gennaio, l'inattesa uscita del singolo, come
Bowie da più di 30 anni sia costretto a giocare pazientemente a scacchi con la sua leggenda. Con la stessa sapienza, e più pirotecnica impertinenza, di Dylan.
Nel già citato
articolo avevo accostato i due mostri sacri (s'intenda la definizione in senso etimologico, di segno divino prodigioso che ammonisce e rivela, meraviglia e atterrisce), nella quasi necessaria affinità di de-costruire e lottare contro il Doppio demonico del proprio mito.
L'ascolto approfondito del disco ha confermato la non ingannevole intuizione.
"The Next Day" è pervaso dallo stesso soffio qohèletico che ispira gli ultimi, foschi capolavori del genio dylaniano: si pensi alla quasi diretta citazione dall'Ecclesiaste in "Love is Lost" ("You know so much, it's making you cry"), o ai versi quasi villoniani di "I'd Rather Be High" ("I stumble to the graveyard and I/ Lay down by my parents, whisper/ Just remember duckies/ Everybody gets got"). Del resto, il Padre di tutti i Cantautori Moderni "with a voice like sand and glue" è citato più o meno direttamente almeno in un paio di occorrenze: come stella più luminosa del firmamento del Greenwich Village inizio anni'60 in "(You Will) Set the World on Fire", e nella gemma finale "Heat", proprio nel gioco tra "Love" e "Theft" (non a caso più critici hanno paragonato questo sontuoso ritorno di Bowie proprio al precedente dylaniano del 2001).
La vena scaturisce potente fin dal primo brano, la title-track:
Bowie si presenta come un Caligola medievale, alla fine del suo regno di decadenza, linciato dal popolo inferocito. Ma, con rasputiniana insolenza, sentenzia nel ritornello "Here i am/ not quite dying", miglior modo possibile per ripresentarsi al cospetto del mondo (e anche qui non possono non venir mente i versi relativamente recenti del Dylan di "Spirit on the water"
: "You think, I'm over the hill/ Think, I'm past my prime/ Let me see what you got/ We can have a whoppin' good time").
All'inizio del secondo brano,
"Dirty Boys"
, corredato dalle già segnalate auto-citazioni, sembra di ascoltare un crooner dai toni morrisoniani improvvisare su un motivo del Tom Waits di “Swordfishtrombones". Molti hanno qui colto un omaggio al magnifico "The Idiot", prodotto e creato assieme all'amico/fratello/amante Iggy Pop nei leggendari Hansa Studios di Berlino, durante l'irripetibile stagione creativa di fine anni '70. Personalmente, invece vi ho letto un altro riferimento, forse inconscio, ma obbligatorio quando si parla di Bowie e Berlino. La strofa "I will buy a feather hat/ I will steal a cricket bat/ Smash some windows, make a noise/ We will run with Dirty Boys" mi ha fatto immediatamente venire in mente una celebre scena. Quella di "Christiane F.-Noi i ragazzi dello Zoo di Berlino" in cui, sulle note di "Heroes", i ragazzi all'inizio del film si abbandonano, con paradossale innocenza, all'ebbrezza liberatrice del vandalismo.

 Un momento entusiasmante alla prima visione, ma straziante se rivisto in seguito: i gioiosi teppisti che nell'euforia della fuga scivolano, inciampando l'uno sull'altro, non sono consapevoli di vivere una sardonica premonizione, la più precisa metafora del loro destino. Saranno loro stessi, all'inizio quasi impercettibilmente, poi via via con ineluttabile accelerazione, a trascinarsi l'un l'altro come reciproche sabbie mobili nell'inferno dell'abiezione. Uno strazio reso ancora più dolente dal controcanto ironicamente eroico del celebre brano di
Bowie: il canto fiero e disperato d’una impossibile rivolta romantica, è colonna sonora della perdita dell’innocenza d’una intera generazione.

Il terzo brano, “The Stars (Are Out Tonight)” è il secondo singolo, lanciato dal videoclip di Floriana Sigismondi, a cui certo un artista iper-consapevole come Bowie ha affidato una delle possibili chiavi di lettura del suo ritorno. Nel brano, possente e accattivante, il mondo fatato del jet-set, delle star, non desta più le proiezioni dello stupore infantile, come in “Life on Mars?”, o la trasfigurazione nel fascino del proibito, come in “Starman”. La leggenda vivente che ha passato tutta la vita sotto i riflettori dipinge l’ambito status con minacciosa inquietudine (“They burn you with their radiant smiles/ Trap you with their beautiful eyes”). Già 14 anni fa, nel video di ”Thursday’s Child” il gioco metaforico del Doppio era stato affrontato, ma in maniera abbastanza lineare.  Il Bowie maturo, stanco, alla fine del giorno prima delle abluzioni notturne, in un sussulto d’introspezione intravedeva dall’altra parte dello specchio se stesso giovane, ardente di oscura bellezza, rivivendo in un attimo straniante l’impossibile emozione del passato, per poi tornare bruscamente alla “normalità” delle abitudini quotidiane (significativi i versi: “Something about me stood apart/ A whisper of hope that seemed to fail”, sussurati nei momenti precedenti alla visione).





Lo stesso gioco ora si moltiplica e rifrange in una raffinata complessità di livelli di interpretazione.
Un gioco condotto con spiazzante auto-ironia, fino a un illuminante capovolgimento dei ruoli.

Bowie, l’icona oltraggiosa e conturbante del diverso, dell’alieno, del trasgressivo, si presenta nei panni di un innocuo borghese, appagato dalla sua fin troppo serena vita di coppia accanto alla moglie, interpretata da Tilda Swinton. E qui c’è la prima apparizione del Doppio, complice l’impressionante somiglianza fra i due protagonisti. I due appaiono per la prima volta officiando il rituale materialista della quotidianità borghese: facendo la spesa insieme in un supermercato.
Una scena che sembra il finale di
“Eyes Wide Shut” al contrario: se nel controverso testamento di Kubrick la coppia trovava nell’eros una liberazione e una riconquista della propria identità (per chi scrive, un abbaglio freudiano), qui assistiamo alla resa totale ai condizionamenti della società. Bowie scambia un paio di battute qualunquiste col commesso, il quale, gli addita con sdegno una coppia di star sregolate sulla copertina di una rivista di gossip (in cui si vede il cantante stesso come l’alieno Thomas Jerome Newton ne "L'Uomo che cadde sulla Terra"). Bowie
sembrerebbe provare simpatia e fascino per la vitalità delle “twisted antics” (le “contorte buffonate”), ma viene subito ripreso dalla moglie che lo riporta al comandamento della normalità sociale: “We have a nice life”, frase che egli ripete meccanicamente con malcelata rassegnazione. Il matrimonio, nella sua versione falsa e convenzionale, invece di essere il congiungimento delle energie archetipiche, è l'istituzionalizzazione della schizofrenia: l’Androgino si è diviso, l’unità primordiale smarrita.
Ma al termine della scena, vediamo i due spiati e inseguiti dalle star della copertina: due presenze conturbanti, demoni dell’apparenza.
In
“Mulholland Drive” le presenze demoniache, che inducevano nel finale da incubo la protagonista al suicidio, erano i fantasmi lillipuziani degli anziani sorridenti, che all’inizio del film la accoglievano benevoli nell’inganno dorato dell’American Dream, arconti del crudele regno dell’apparenza. Non possiamo a questo punto non ricordare come lo stesso Lynch abbia scelto proprio Bowie come protagonista di una enigmatica scena chiave di “Fuoco cammina con me”, fondata sempre sullo sdoppiamento e sulla perdita dell’identità. Qui i demoni hanno le fattezze patinate di due fotomodelle, anch’esse androgine, dalla nervosa sensualità, fantasmi di algida bellezza (per Leopardi la moda è “sorella della morte”). Una di esse è il palese alter-ego femminile (lo yin? l’es? il dionisiaco? l’ombra junghiana?) di Bowie
, la cui inquietante bellezza, nel prologo del video, viene spiata dalla moglie, con sospetto e ripulsa, nascondendosi dietro le tende di casa. Tornati a casa, Bowie e la Swinton stanno celebrando l’altro grande rito della “nice life”,intrattenendosi amabilmente davanti alla tv, quando vengono disturbati dal chiasso dei vicini. Il buon marito borghese si alza per lamentarsi, per pretendere il rispetto delle regole convenute, ma presto intuisce, ri-conosce che dall’altra parte si trova la propria controparte femminile. Il proprio alter-ego, nella totale scissione interiore della vita moderna, non è più un’ombra in cui specchiarsi, bensì un chiassoso dirimpettaio da mettere a tacere. I due volti ci vengono mostrati simmetricamente in ascolto l’uno dell’altro, ma separati irrimediabilmente da un muro (un’ennesima allusione a Berlino?). Tale è l’incomunicabilità col proprio sé interiore, che non desta più nostalgia o desiderio, ma solo disturbo e inquietudine.
 Lo specchio è divenuto muro.
Sarà la moglie, custode dei vuoti rituali sociali, a cedere all’influenza tentatrice, come una grottesca marionetta posseduta dagli spasmi dell'eros e dai capricci della vanita'.
In uno speculare cortocircuito, sarà invece Bowie a rifuggire spaventato dai fantasmi della trasgressione e del successo, che lui stesso ha per tutta la vita incarnato a livello di coscienza collettiva.  Un gioco di sdoppiamenti raddoppiati che si concluderà con la definitiva inversione dei ruoli tra le due coppie (le presenze tentatrici diverranno i due sul divano davanti alla tv, e, mutatis mutandi, viceversa). Lontano dalle velleità del suo amico
Mick Jagger, che a 70 anni ancora gioca a fare il sex-symbol, Bowie
si conferma artista supremamente intelligente, in grado di anticipare e neutralizzare, con le armi intatte della sensibilità e dell’ironia, qualsiasi possibile luogo comune.

Il disco prosegue con
“Love is Lost”
, brano di grande tensione poetico-musicale, in cui il tema abusatissimo del disagio giovanile assurge a puro paradigma della dolente condizione umana, in violento contrasto con la fatuità delle esteriorità sociali (“Your country's new, your friends are new/ Your house, and even your eyes are new/ Your maid is new, and your accent, too/ But your fear is as old as the world”).
Su
“Where are we now?”, sulla sua importanza e sulla pura commozione che m’ispira, già mi sono diffusamente espresso QUI.“Valentine’s Day” ha secondo me un illustre precedente in “Running Gun Blues”. Ma se nel disturbante brano di “The Man who Sold the World” i pensieri del serial-killer venivano narrati attraverso la parodia delle canzoni di protesta, qui, con antifrasi più sottile ma non meno interessante, vengono affidati all’apparente gradevolezza di un rassicurante brano pop. “If You Can See Me” è chiaramente, in questa grande rivisitazione della propria carriera, il brano che si rifà al periodo sperimentale, per il sottoscritto discutibile, di “Earthling”. In “I’d Rather Be High” si coglie invece l’eco di “All the Madmen”, altro diamante nero di “The Man who Sold the World”. Basti confrontare il ritornello del primo ("I'd rather be dead/ Or out of my head/ Than training these guns on the men in the sand") con gli antichi versi ("...I'd rather stay here/ With all the madmen/ Than perish with the sadmen roaming free"). Ma anche qui Bowie
inverte il suo ruolo storico: da vittima predestinata in quanto diverso, a nolente e disgustato carnefice. I due volti, apparentemente contrapposti, della schiavitù contemporanea.
Gli altri brani continuano lo svolgimento del discorso principale, riecheggiando ambiguamente sonorità e tematiche che hanno puntellato tutte le rinascite della vita artistica bowieana.
Vorremmo soffermarci però sugli ultimi due brani, per noi i più importanti accanto al primo singolo, in cui il Duca ha nascosto magistralmente i suoi tesori.

In
"You Feel So Lonely You Could Die", Bowie continua il magnifico prodigio alchemico sulla canzone pop innervando una ballata dal titolo rubato a Elvis con dolente poesia esistenziale. Aleggiano ancora i fantasmi dello Zoo di Berlino (presto dedichero' le mie riflessioni a un eccellente libro sul tema), in versi che  potrebbero benissimo essere dedicati a Christiane F
.: "You’ve got the dangerous part./ You stole their trust, their moon, their sun./ There'll come an assassin's needle/ On a crowded train./ I bet you´ll feel so lonely you could die./ Buildings crammed with people./ Landscape filled with wrath./ Grey concrete city./ Rain has wet the street./ I want to see you clearly/ Before you close the door./ A room of blood history./ you made sure of that./ I can see you as a corpse/ Hanging from a beam./I can read you like a book./ I can feel you falling./I here you moaning in your room.".
Ma il vero capolavoro del disco, forse, almeno il brano più significativo, degno di essere posto accanto alle ballate classiche,  è proprio l'ultimo brano,  l'abissale
"Heat".
Era, forse, da i tempi di
“I Can’t Read”, che Bowie non scriveva un brano così profondo e autentico.
Il
Duca chiude il cerchio della sua bruciante parabola, riscrivendo una nuova "Space Oddity",
brano evidentemente citato negli arrangiamenti. Ma stavolta, come accennato, l'odissea è nel proprio spirito.
Dopo la vana esplorazione del cosmo esteriore, sfociata nella decadenza morale dei "sordidi dettagli" in
"Ashes to Ashes" (con dinamica uguale e contraria l'alieno Bowie-Jerome finira' alcoolizzato sulla Terra), Major Tom al fine del suo peregrinare si smarrisce nel piu' vasto degli universi: l'impero della propria interiorita' (l'autentico "Inland Empire"
).
Ma piu' che
Lynch, ancora una volta sovviene Kubrick (amato e citato ogni sera in apertura dei concerti dell'era Ziggy), nel maestoso finale di "2001-Odissea nello Spazio"
(proprio il film che ispiro' il celebre brano d'esordio).
Al termine del viaggio psichedelico al di la' tempo e dello spazio, sorta di ultra-moderno "folle volo" dantesco, passata l'effetto illusorio della folle ubriacatura tecnologica l'Uomo si ritrova, inerme e agonizzante, nudo nella sua miseria ontologica al cospetto del nero Monolite, significante assoluto del Mistero.
Il ritornello rivelatore (“and i tell myself/ i don’t know who i am”) ricorda quello famoso di
“Quicksand” (“I ain’t got the power anymore”). Una reminiscenza non casuale, il grande manifesto negativo (quello di “Don’t believe in yourself”), in cui, all’epitome della falsa conoscenza, Bowie
riusciva ad omaggiare in una strofa due figure diversamente demoniache (Himmler e Crowley).
Lontano dal compiacimento originario di
“Changes”
(“So I turned myself to face me/ But I've never caught a glimpse/ Of how the others must see the faker/ I'm much too fast to take that test”), Bowie getta la…o meglio le, infinite, maschere: ”I am seer/ and i am a liar”. Identificando il proprio potere psichico, la propria visione, con la menzogna, egli confessa il suo tragico fallimento, il mancato raggiungimento dell’obiettivo di ogni ricerca spirituale: gnosi seauton, conosci te stesso.
 La ricerca dell’identità interiore, differita negli innumerevoli travestimenti, parodiata nelle maschere cangianti, camuffata nel gioco schizofrenico degli alter-ego, si è alfine smarrita, nel più colossale, e disperante, dei divertissement. Il momento magico (“one magical moment from Kether to Malkuth”) evocato in “Station to Station” (la prima apparizione del Duca Bianco!) si è rivelato un trucco effimero e beffardo, lasciando solo le pornografiche macchie bianche dell’inganno crowleyano a contaminare l’anima (chi volesse conoscere il vero volto del satanico pagliaccio si affidasse al ritratto donatoci da W.S. Maugham ne “Il Mago”). Accanto a tale pericolosa guida, il percorso cabalistico, evocato nel verso citato, da Kether a Malkuth, invece di condurre alla manifestazione della Shekinah (la Divina Presenza di Dio, Suo aspetto femminile per alcuni filoni della Qabbalah), ha costretto Bowie a materializzare i suoi stessi incubi. Invece di portare (come nell’originario intento mistico) l’invisibile luce dello Spirito nella creazione, il tragitto è stato una rovinosa discesa dall’illuminazione alla morsa infernale dei sensi e delle dipendenze.
La Sposa non è apparsa, e le Stazioni della Croce hanno condotto a un calvario senza Resurrezione.
Il brano si chiude sul rintocco kafkiano di “My father ran the prison/ My father ran the prison”.
Ora, chi scrive considera Freud un dannosissimo cialtrone, e la psicanalisi (prima di Jung) una delle maledizioni del Kali-Yuga. Ma stiamo parlando di Bowie.
Un artista che ha fondato la sua
Weltanschauung sull’unheimlich
(per chi non ama il tedesco: ha fondato la sua visione del mondo su ciò che è perturbante, spaesante, sinistro, su ciò che non è ci è familiare e che non ci mette a nostro agio). Non credo, dunque, sia una forzatura peregrina leggere in questi versi un richiamo a quello che, psicanaliticamente, è quasi luogo comune: accostare, a livello inconscio, la figura del Padre a quella di Dio.
L’intera creazione, ci rivelerebbe inconsciamente
Bowie, si configura come una prigione universale, una gabbia per l’Angelo Ribelle, un esilio crudele per l’alieno luciferino, reso cieco ad ogni visione superiore (come ne "L'Uomo che cadde sulla Terra"), inchiodato alla eterna punizione della sua hybris
.
E per un ricercatore della Verità la più tremenda Nemesi è non poter più conoscere se stessi.
P.S.
Come anche il precedente, questo articolo è impreziosito da un ritratto (per me tra i più belli e significativi mai realizzati sul tema)  dell'artista in questione realizzato dal genio fraterno di di LRNZ (Lorenzo Ceccotti).
E, anche in questo caso, Lorenzo ci "illustra" la sua illustrazione, donandoci una riflessione quanto mai pertinente, che sottoscrivo parola per parola:

"Oggi parliamo di questo disegnino su David Bowie. (DEVID BOIV, per gli intenditori fumettari, quello che un occhio è...)
L'ho fatto di gusto.
Mi ha sempre annoiato tutto questo sfaccendare per ingraziarsi il diavolo.
Stare dalla parte dei cattivi è una roba pallosa, ed è molto più facile, visto che sono SEMPRE tutti d'accordo che è figo essere tasgressivi col diavolo, pochissimi ad esserlo con il bene, con ciò che è equilibrato, con quello che è bello e difficile: costruire. Non è un caso che mi piacciano da impazzire Moebius nel disegno, o gli Autechre nella musica: devono molto a questo percorso di ricerca solitaria, ascetica in una continua trasgressione nel perfetto.
Capirete quindi che oltre a annoiarmi mi colpisce molto la condizione infantile e frustrata in cui vive buona parte del mondo dei musicisti rock: venerare il male per essere venerati da chi non ce la fa neanche  a trasgredire in prima persona. Mi ha colpito anche di più questa situazione paradossale in cui si è trovato uno dei padri del Rock, Jimmy Page. Jimmy Page era amico di Bowie, ed era un fervente seguace di Aleister Crowley, come tutti i protometallari. Ora Bowie nel suo progetto musicale si è ritrovato a dover far fronte ad un successo che molto deve a fattori insondabili endemici del suo corpo: gli occhi così incredibili, il suo aspetto androgino, la perfezione nel portamento di una diva, una voce decisamente maschile avvolgente e purissima, Bowie incarnava in un momento di rivoluzione culturale totale, tutto quello che c'era di trasgressivo, con la promiscuità sessuale (inteso nel senso di una sempre più modernamente labile distinzione fra uomo e donna) in cima alla lista, condita con la contaminazione fisica delle droghe. Rappresentava la decadenza, la celebrazione dell'appassire di una bellezza effimera. Un sabotaggio all'idea popolare di cosa dovesse essere un uomo modello, della forza, di una star. Rappresentava lo svanire inafferrabile di una perfezione sovrumana, irraggiungibile con la volontà. Era un capolavoro corrotto, dalla nascita. Ecco quindi che se proprio devo trovare un fascino autentico nel "male", inteso come lato oscuro dell'esistenza e non come una banale voglia adolescenziale  di sfasciare tutto, la trovo in Bowie, visto che Bowie E' Lucifero: è la cosa che gli si è avvicinata di più nella storia della musica (e al Ryo di Devilman, si). E ha rappresentato con la sua musica, principescamente semplice e nostalgica, proprio questo aspetto scurissimo della perdita della incorruttibilità angelica, in una caduta libera dalla candida rosa inziata 40 anni fa e che ancora non ha fine, testimoni noi che lo vediamo consumarsi nella zona più buia del suo viaggio. Si racconta che Jimmy Page desiderasse conservare i liquidi corporei di Bowie, per poter svolgere i suoi riti (e che Bowie, ne fosse abbondantemente terrorizzato, e vorrei vedè!). Forse non si era neanche accorto che per quanto cercasse la trasgressione e l'affrancamento da una vita misera venerando il diavolo durante i suoi sabba virilissimi, il vero inafferrabile spirito dell'eversione, la vera stella nera, la luce che brilla nel buio portando il seme della trasgressione aveva già scelto il suo corpo da molto tempo, lasciando al rock "deviato" giusto la possibilità di fare rumorosissime e omologatissime festicciole invocando la venuta di una creatura aliena che stava già cadendo consumandosi senza protezioni in un solitario viaggio verso il punto più oscuro dell'inferno."
 

Se siete interessati a comprarne una stampa o entrare in possesso dell'originale potete farlo qui.