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giovedì 13 giugno 2013

NIETZSCHE VS. Sasha Grey - del perché la porno-eversione è la dinamica meno eversiva possibile EP. II

Nietzsche ritratto da LRNZ, sintesi iconica del mio punto di vista


Come spiegato all'inizio del primo articolo, lo spunto per questa riflessione nasce anche da uno scambio di punti di vista con Roberto Recchioni sui concetti di Porno ed Eversione, in occasione della presentazione de "Gli Scarabocchi di Maicol & Mirco", lo scorso inverno a Roma. In poche battute, chiarimmo subito l'equivoco moralistico: nell'adolescenza, come molti, non solo ero un temibile satiro ma anche un'enciclopedia ambulante del trash, non mi scandalizzo certo della tematica. 
Sono le ripercussioni di determinate dinamiche concettuali su la consapevolezza umana ad inquietarmi.

Con Roberto, in quella interessante discussione al Forte Fanfulla, pur nella differente impostazione, ci ritrovammo d'accordo su molte cose (ad esempio che Sade,  sul quale mi sono espresso QUI proprio con Maicol, sia cattiva letteratura), ma più di tutto sull'analisi dei fenomeni: il porno influenza i nostri comportamenti sessuali, il regime mediatico è una membrana che tutto assorbe, siamo di fatto fregati dal Sistema.






In un articolo pubblicato qualche tempo fa sul suo blog, Recchioni analizzava il rapporto tra Porno ed Eversione (avvertenza per le signore e per chi non è avvezzo alla tematica: è molto esplicito! lo trovate QUI). Sintetizzando, dall'analisi dettagliata delle abitudini sessuali contemporanee, evidentemente influenzate dalla pornografia,  il concetto fondamentale è che: "... la diffusione massificata dell'iconografia pornografica ha riscritto il reale (...) il porno, che è il reale (non la sola rappresentazione del reale ma il reale stesso), lo riscrive sulla base delle sue necessità e questa sua riscrittura diventa, a sua volta, la realtà (...) Un capovolgimento, una eversione tangibile e concreta. E un divertente cortocircuito, non c'è che dire."

La cosa che mi colpì è che gli stessi concetti, ma con segno opposto, erano utilizzati da Pasolini, per mostrare l'apocalisse umana e culturale che aveva profeticamente intuito e analizzato.

Abbiamo già dedicato QUI diffusamente omaggio alle riflessioni pasoliniane sul rapporto tra sesso, mercificazione e potere (potete ascoltare dalla sua viva voce QUI e QUI). Citeremo ancora solo il passo clou della sua storica "Abiura della Trilogia della Vita": "la lotta progressista per la democratizzazione espressiva e per la liberazione sessuale è stata brutalmente superata e vanificata dalla decisione del potere consumistico di concedere una vasta (quanto falsa) tolleranza. Secondo: anche la “realtà” dei corpi innocenti è stata violata, manipolata, manomessa dal potere consumistico; anzi, tale violenza sui corpi è diventato il dato più macroscopico della nuova epoca umana".
Lo sdoganamento dell'erotismo e della pornografia, mascherata da tolleranza, per Pasolini rappresentavano la vittoria definitiva del Potere.

Non è un caso che l'articolo di Roberto si apriva con un'immagine di Lady Gaga, l'icona globale che maggiormente incarna il mainstream più molesto e ingannevole. La dimostrazione di potenza del sistema mediatico che ha ormai sbaragliato qualsiasi resistenza critica delle masse: l'ennesimo clone di Madonna venduto per pop-icon definitiva, una ragazzotta oggettivamente brutta (a regà, non me ne sono accorto solo io, sembra Wolowitz di Big Bang Theory!), imposta come sex-symbol





 un personaggio fintissimo fondato unicamente sull'apparenza esteriore,  in una grottesca rincorsa al look piu assurdo, barocco, eccentrico.
Ma che è? Una comparsa della Factory, scartata da Warhol per quanto cozza?!
No, la più grande popstar del mondo.


Il prodotto più artefatto e studiato a tavolino della storia della musica viene, questa è la finezza apocalittica, spacciato per "trasgressivo". Oltre a tutti i giochetti, subliminali o meno che siano, relativi alla massoneria e al potere occulto nei suoi video (non finiremmo davvero più...), in un  famoso video il prezzolatissimo fantoccio riveste tutte le icone pop a lei precedenti, tritandole e svuotandole, copia priva di significato alcuno,  nel vortice della rappresentazione mediatica.




La ribellione, da tempo, depotenziata a stereotipo. La rivoluzione, un brand, come un altro.
Lo stesso principio del business delle magliette di Che Guevara.
C'è chi si esalterà, di fonte al nichilismo trionfante, all'industrializzazione che si autodenuncia bla bla bla...a me fa schifo e tristezza, e basta.

Ma la sintesi (tornando all'articolo citato da Roberto)  è in questa immagine.





Terry Richardson, il fotografo  trasgressivo, censurato, accusato di manipolare sessualmente le giovani modelle,  al termine di una sessione fotografica stringe la mano al Presidente degli Stati Uniti. Scacco matto: la finta ribellione istituzionalizzata, letteralmente a braccetto col Potere.

Tornando, dunque, al rapporto tra porno e eversione, concettualmente, certo è un cortocircuito interessante. Ma le conseguenze per me, a livello culturale e umano, sono agghiaccianti.







Il secondo spunto era dato da alcune disegni di Roberto che raffiguravano l'ex porno-diva Sasha Grey in uno dei suoi passatempi apparentemente meno scandalosi: citare, per me, a sproposito Nietzsche (QUI trovate l'articolo dedicato).



Giocosamente, nell'articolo ho scritto che io non sono un moralista, ma il filosofo tedesco si.
Chiariamo: quando affermo che Nietzsche è moralista non intendo il termine nell'accezione più comune (d'intransigente bacchettone, spesso quasi sinonimo d'ipocrita) ma in senso strettamente filosofico, come osservatore e fustigatore dei costumi e dei comportamenti  umani. In primo luogo, egli era un grande estimatore e studioso dei cosiddetti moralisti francesi, del '600. Nel memorabile "il Viandante e la sua Ombra" li cita esplicitamente (La Rochefocauld,  La Bruyère, Montaigne, Fontenelle, Vauvenargues, Chamfort), chiosando : "essi contengono più pensieri reali di tutti i libri dei filosofi tedeschi messi insieme".
E' proprio nel richiamo alla concretezza filosofica, all'urgenza immediata dei  pensieri "reali", rispetto alle fumose astrazioni dell'idealismo a lui contemporaneo, possiamo individuare il legame "filiale" che lega l'inquieto martellatore ai suoi illustri precedenti.
 Nietzsche supera la tradizione dei filosofi moralisti. proprio perché ne è erede consapevole e riconoscente (come Baudelaire in poesia con le forme precedenti). Fin dalla sua scrittura aforistica, da "Umano, troppo umano" in poi, emblematicamente anti-sistematica, re-invenzione sconvolgente e benedetta dei canoni dell'espressione filosofica, egli è geniale allievo di La Rochefocauld, di La Bruyère, di Montaigne soprattutto. Addirittura, dedicherà a quest'ultimo, nel quasi giovanile peana al maestro poi furiosamente contrastato, "Schopenhauer come educatore", la seguente inequivocabile riflessione:  "Il solo fatto che un uomo simile abbia scritto, ha aumentato, in verità, la gioia di vivere su questa terra". 
Quella prosa ebbra, visionaria, estatica, quell'eruzione di furia e bellezza riversata da un cuore immenso e ribollente come l'oceano, abbracciato dal demone del duende (come dirà Lorca nella sua memorabile conferenza del 1933), è figlia splendida e ribelle delle compassate riflessioni del Seicento francese.
Splendida a riguardo la sintesi di Citati: "...chi non conosce Nietzsche come chi non ha letto Erodoto - il suo esatto contrario- non immaginerà mai a quali splendori potrà giungere l'arte della prosa".



Senza allargare troppo la riflessione, è interessante notare analogie illuminanti anche con un campione della filosofia morale classica (apprezzato e riadattato alle proprie istanze teologiche invece proprio dal Cristianesimo) quale Seneca. Più che lecito, con tutti i dovuti distinguo, associare la proverbiale attitudine stoica a l' amor fati nietzscheano, all'accettazione dionisiaca dell'esistenza, in tutte le sue contraddizioni e imperfezioni, predicata dal filosofo tedesco come orizzonte interiore dell' Oltreuomo. Per quanto uno studioso come Cesare Segre inviti a non  forzare l'accostamento, alcune sentenze de "La fermezza del saggio", non possono non accendere immediate associazioni: "Non c'è ragione che tu dubiti che chi nasce uomo possa elevarsi al di sopra dell'umano, assistere tranquillo a dolori, danni, piaghe, ferite, grandi movimenti di cose rumoreggianti intorno a sé, e sopportare con serenità le avversità e accogliere con moderazione le circostanze favorevoli..."

Detto questo, bisogna avere davvero capacità di apertura  pari a un caveau in granito sorvegliato da 27 ninja immortali per non vedere le affinità del pensiero nietzscheano con la millenaria riflessione orientale. Non solo egli richiama esplicitamente la figura divina di Shiva (del cui archetipo Dioniso è una versione affascinante ma già distorta), ma contrappone il buddhismo "sola religione positivistica" al "trucco" verticale dell'ascesi cristiana. Senza parlare del mito de "l'eterno ritorno", di cristallina derivazione indiana prima che greca, del "divenire" etc...


La stessa figura dell' Oltreuomo può essere, sempre mutatis mutandi, nel suo superamento dei limiti e delle debolezze umane, accostata allo yogi, anche se con delle sfumature tendenti più alla disciplina del samurai. Una versione non centrata, tendente all'espansione, all'aggressione, ma con profonde affinità, dello sthita pragnya descritto nella "Bhagavad Gita". Del resto, è altrettanto chiaro che Nietzsche sia fondamentalmente un grandioso martellatore: eccelle ed è definitivo nella pars destruens


E' pacifico, il filosofo è sempre stato contrario a forme di ascesi nel senso cristiano, in quanto negatrici del corpo e quindi dell'istinto vitale (sarà uno dei motivi di contrapposizione con Schopenhauer).  Ma se, anche stavolta, riscopriamo il termine nel suo significato originale ("esercizio") sicuramente per giungere alla meta dell' Oltreuomo, egli delinea un particolarissimo percorso di ascesi interiore. Fondato sulla "trasvalutazione di tutti i valori", sul rovesciamento della morale, anti-metafisico, come volete...ma se ascesi vuol dire esercizio, pensate quale enorme esercizio filosofico sia liberarsi di sovrastrutture millenarie!



Quella della sifilide è una diceria, ma vabbè...

Molteplici le connessioni, innegabili per chiunque sia davvero in grado di spezzare condizionamenti e etichette, tra il pensiero di Nietzsche e la filosofia Zen (che il filosofo non poteva conoscere, i testi non erano stati tradotti): una comoda sintesi la trovate QUI (al netto di qualche forzatura ed alcune affermazioni discutibili).



Ma è interessante soprattutto il discorso sull'ultima e più controversa fase del suo pensiero, illuminato dal concetto di Volontà di Potenza.
Che la Volontà di Potenza nietzscheana non abbia nulla a che vedere con il nazismo o con la mera esaltazione  dell'ego (un vecchissimo luogo comune trito e fallace dovuto alle rinomate deformazioni della sorella Elizabeth), è ormai dato di pubblico dominio. Dobbiamo al nostro beneamato Giorgio Colli la ricostruzione filologica che ci ha restituito il corretto significato dell'ultima fase del pensiero di Nietzsche, paradossalmente, al culmine della polemica anti-metafisica, molto vicino alle conclusioni dei mistici, soprattutto orientali.
Nulla a che vedere con ego e "potere"; come sintetizza magnificamente QUI (7.20-7.48) Carmelo Bene la Volontà di Potenza è il "disfacimento del concetto di soggetto":





 Conclusioni simili (è sorprendente) a cui arriverà l'ultimo Baudelaire in una grandiosa intuizione, contenuta nei cosiddetti "Diari Intimi" (nome erroneo, si trattava in realtà di appunti di opere destinate alla pubblicazione, anzi all'Opera che egli considerava la summa del suo pensiero). Il primo appunto de "Mon couer mis à nude" (meraviglioso titolo rubato all'amato Poe) recita infatti: "Della vaporizzazione e della centralizzazione dell'Io. Tutto è là.". L'inizio di ogni meditazione. Non a caso, il grande mistico Ramana Maharshi intitolerà il suo testo più famoso : "Chi sono io?". Il superamento dell'ego, non la sua affermazione, è il destino de l'Oltreuomo.



Ramana Maharshi


Ora, tiriamo brevemente le conclusioni delle nostre riflessioni.
E' evidente come la "cultura" contemporanea sia impregnata, fondata, strutturata sull'ossessione per il sesso. 
Dal tragico sdoganamento pseudo-scientifico di natura freudiana di ogni perversione, alla sistematica imposizione, sostanziale onnipresenza di elementi sessuali in ogni manifestazione mediatica (dal cinema alla pubblicità, dai video musicali alle trasmissioni televisive, dalla moda alla letteratura). Pasolini ha mostrato come questa dinamica sia una precisa e consapevole strategia del potere per svuotare ogni tensione vitale e protestataria, e appropriarsi e incanalare perfino gli istinti naturali e la dimensione intima delle persone ai biechi fini di profitto e mantenimento del cosiddetto Sistema.





Abbiamo mostrato come Nietzsche, sintetizzando al massimo alcuni aspetti del suo pensiero,  abbia annunciato l'avvento dell' Oltreuomo,  libero da condizionamenti sociali, storici, per ergersi al di là delle debolezze "umane, troppo umane". 

La conclusione è logica, anche se per molti sarà spiazzante.

Se volete essere davvero seguaci di Nietzsche, come lui scandalosamente inattuali, anticonformisti,  ostili ai "filistei culturali", se volete combattere la cultura dominante (come allora lui quella tedesca) con "un disprezzo senza limite", beh...allora avete solo una via per incarnare la vostra ribellione culturale, la vostra radicale differenza interiore: la castità
Si, avete letto bene. Avvertenza! Se qualcuno si scandalizzasse di questa affermazione (paradossalmente) non farebbe che confermare la vera, grottesca eversione compiuta dal misero fallimento della rivoluzione sessuale: i dogmi freudiani, teoricamente nati per abbattere i totem e rompere i tabù millenari, sono diventati essi stessi totem intoccabili e tabù inviolabili.



Meravigliosa sintesi di maicol&mirco donata dagli autori al nostro blog come stendardo ufficiale

Chiarisco (prima che chiamate la neuro): quando parliamo di castità, non parliamo della innaturale follia del sacerdozio cattolico, che impone l'astinenza sessuale a vita. Sciocca assurdità. Parliamo di superamento del desiderio, di sguardo innocente sulle cose che diventa prassi comportamentale. Non in base a un comandamento o a una legge morale, ma a seguito di un affrancamento interiore dalla vanità di ciò che ci circonda. Uno stato di spontaneità che non contraddice affatto né nega una  vita sessuale autenticamente felice e gioiosa (anzi ne è unica dimensione).

Nietzsche stesso parla di castità, citeremo solo due esempi, per mostrare fasi diverse della sua riflessione.
Ne "L'Anticristo" (libro in realtà per nulla contro la figura del Cristo, ma contro Paolo come abbiamo trattato QUI), suo tempestoso testamento, tuoneggia: "La predicazione della castità è istigazione pubblica alla contronatura. Ogni disprezzo della vita sessuale, ogni contaminazione della medesima mediante il concetto di "impuro" è il vero e proprio peccato contro il sacro spirito della vita." E su questo siamo perfettamente d'accordo, identificando col termine l'insensata repressione paolina degli istinti sessuali. 

Ma, in precedenza, nel suo libro più famoso e "centrato", nonché il suo prediletto, ovviamente "Cosi parlò Zarathustra", aveva affrontato la questione nei termini in cui la stiamo ponendo: 

"Amo la foresta. Nelle città si vive male: ci sono troppi libidinosi. Non è meglio cadere nelle mani di un assassino che nei sogni di una femmina libidinosa? E guardate un po' questi uomini: il loro occhio lo dice - essi non conoscono niente di meglio sulla terra che giacere con una femmina. Hanno fango sul fondo della loro anima; e guai se il loro fango ha anche spirito! Foste almeno perfetti come gli animali! Ma all'animale si appartiene l'innocenza.

Vi consiglio forse di uccidere i vostri sensi? Io vi consiglio l'innocenza dei sensi. Vi consiglio forse la castità? La castità è per alcuni una virtù ma per molti quasi un vizio. Questi certo si astengono: ma la cagna sensualità guarda con invidia tutto ciò che fanno. Finanche sulle vette della loro virtù e fin nella fredda interiorità dello spirito li segue questa bestia e la sua insoddisfazione. E con che garbo la cagna sensualità sa mendicare un brandello di spirito, quando le vien rifiutato un brandello di carne!

Amate la tragedia e tutto ciò che spezza il cuore? Ma io diffido dalla vostra cagna.
Vi vedo occhi troppo crudeli e gettate sguardi libidinosi verso i sofferenti. Non si è la vostra voluttà travestita e non si chiama ora essa pietà? E anche questa similitudine vi do: non pochi che volevano scacciare il loro demonio, finirono in mezzo ai porci. A chi la castità riesce difficile, a costui essa è da sconsigliare: perché non diventi la via che porta all'inferno - ossia al fango e alla fregola dell'anima.

Sto parlando di cose sporche? Per me non è questo il peggio. Non quando la verità è sporca, ma quando è superficiale, scende malvolentieri nella sua acqua l'uomo della conoscenza.
In verità, ci sono persone profondamente caste: esse sono più miti di cuore, ridono di più e più facilmente di voi. Ridono anche della castità e domandano: "Che cos'è la castità? Non è la castità una follia? Ma questa follia venne a noi e noi ad essa. Noi abbiamo offerto a questa ospite albergo e cuore: ora essa dimora in noi - e ci resti finché vuole!".


Chi è davvero innocente ("colui che non nuoce", spontaneamente), non si pone nemmeno il problema della castità. Non desidera la donna d'altri non perché sia intimorito da un comandamento, o represso da una convenzione sociale, ma perché comunque gioisce, al di là del desiderio stesso.
E' davvero al di là del Bene e del Male.
 Conosce se stesso, primo passo per "diventare ciò che si è".




Non si diventa "ciò che si è", men che mai Oltreuomini, se non si è in grado di andare "oltre" i più bassi e grossolani istinti, le più immediate e facili seduzioni. Chi si professasse seguace di Nietzsche e fosse ancora, per citare Dante, "nel diletto della carne involto" apparirebbe ridicolo come colui che dichiarasse di voler ascendere sulla cima dell'Everest, e  inciampasse sulla ghiaia dei giardinetti sotto casa, bagnata dalla pipì del proprio cagnolino.

Quindi, se volete, continuate pure a smentire empiricamente il pregiudizio popolare su una delle cause più comuni di cecità...ma non scomodate invano un filosofo che ha dedicato la sua vita all'emancipazione dell'umanità!!!


Detto questo, sono aperto alla discussione, fedele più che mai al filosofo che ha ispirato la riflessione: 

 "Fino a che punto il pensatore deve amare il suo nemico. Mai trattenere o tacere a te stesso qualcosa che può esser pensato contro il tuo pensiero! Promettilo solennemente a te stesso! Ciò appartiene alla prima onestà del pensare. Ogni giorno devi condurre anche contro te stesso la tua campagna di guerra. Una vittoria e una trincea conquistata non sono più faccende tue, ma della verità, ma anche la tua sconfitta non è affar tuo!".*





* Aurora, 370

lunedì 3 giugno 2013

NIETZSCHE vs Sasha Grey - del perché il Superuomo disprezzerebbe le donne oggetto EPISODE I

Ritratto di Nietzsche realizzato da LRNZ che riassume efficacemente il mio punto di vista



Questo articolo prende spunto da un disegno di Roberto Recchioni che raffigura Sasha Grey con la maglietta delle BR mentre proferisce una citazione, peraltro splendida, di Friedrich Nietzsche.



 Ora credo che i miei manzoniani venticinque lettori (tra cui sia annoverano ricercatori filosofici, irriducibili goliardi ed enciclopedie viventi di cultura pop) conoscano benissimo almeno due su tre dei personaggi citati.*

Il disegno di Roberto è chiaramente un gioco provocatorio, in cui vengono accostati il grande filosofo, il movimento brigatista e la giovane ex-pornodiva come tre icone pop.
Recchioni aveva già utilizzato Nietzsche in questo senso nella tavola, per me, più divertente del suo "Asso", in cui il protagonista evocava l'ispirazione dei suoi maestri (il filosofo per intenderci figurava accanto, tra gli altri, a Darth Vader).
Roberto, che, come anche il suo peggior nemico deve ammettere, è persona colta e intelligente, è stato il primo a svelare il giochetto, dichiarando esplicitamente la stoltezza di chi avesse potuto prendere sul serio una cosa del genere.
  


Dunque, sgombriamo subito il campo da sciocchi equivoci: non è assolutamente una polemica con Roberto, figuriamoci. Non ho tempo (e lui sicuramente meno di me) per simili vani passatempi. Ne abbiamo parlato di persona della nostra differente visione sul porno, anche pubblicamente (in occasione della presentazione degli "Scarabocchi" di maicol&mirco al Forte Fanfulla alcuni mesi fa), e ho ritenuto opportuno scriverci un articolo perché si tratta di un argomento, credo, che può ispirare una discussione stimolante e originale, non solo per noi due.


Roberto Recchioni visto da LRNZ

Si tratta di un invito all'approfondimento su un tema di pubblico interesse, che investe in maniera cruciale, al di là dei punti di vista, la cultura contemporanea.
Un confronto sereno e maturo fondato sul rispetto reciproco.
Dico questo non solo pensando a Roberto, ma in generale per qualsiasi discussione che ho intrapreso o intraprenderò. Fedele in questo ai sublimi detti dell'Imperatore buddhista Ashoka, che stabilivano le regole delle dispute dialettiche, per prima cosa "onorando debitamente e in ogni occasione" gli avversari (come dice Roberto Calasso "nel lungo corteo di potenti, occidentali e orientali, che scandiscono la storia, nessuno è stato capace di parole simili").
Vorrei prendere come modello (ripeto modello, esempio, ispirazione: non sono cosi egoico da pormi a quei livelli) questo confronto tra Indro Montanelli e Giorgio Bocca. Due intellettuali, com'è notorio, dalla visione diametralmente opposta, eppure guardate QUI con quanto garbo, quanto rispetto, quanta eleganza discutono, addirittura infastiditi dai tentativi di Arbasino di incensarli enfaticamente e vivacizzare polemicamente il dibattito per creare l'evento mediatico.

Iniziamo, dunque.
La mia visione della  pornografia credo sia antitetica a quella di Roberto, che manifesta da sempre un interesse quasi ossessivo per la materia, non certo dettato da pulsioni onanistiche, ma, verrebbe da dire, da una fascinazione concettuale.

Per me la pornografia uccide il desiderio, la spontaneità, l'incanto che sono la bellezza e la magia di Eros. 
 La vitalità esuberante della passione erotica è depressa nella ripetizione meccanica di atti prevedibili, l'oceano dell'immaginazione sensuale ridotto ad un morto catalogo di etichette delle più varie perversioni.
 La maestà dei corpi, soprattutto femminili, è umiliata a farsi macchina di carne animale per il piacere bruto: esseri umani, spesso di rara bellezza, tramutati in stampelle grottesche per impotenti.
Non a caso Kafka, profeta assoluto del Nulla contemporaneo, ne era affascinato.
Fu lui a porre l'epitaffio definitivo sull'era moderna, in cui "non esiste più il mistero, solo istruzioni per l'uso".

Chiarisco, il mio non è un discorso moralistico. 
Parafrasando ciò che scrissi nell'articolo d'esordio di questo blog (lo trovate QUI) : è una questione estetica, prima che morale. O meglio, una questione estetica, dunque morale. La pornografia non mi scandalizza. Mi annoia. Come riassunse il grande Flaiano, in una frase che sembra rispondere all'aforisma kafkiano: "la pornografia è noiosa, perché fa pettegolezzi su un mistero".

 E fin qui, uno potrebbe semplicemente dire: non ti piace?! Ignorala, chi vuole la consuma come un pacchetto di patatine, problemi suoi.
E, infatti, non mi sarei mai sognato di scrivere qualcosa a riguardo.

Arriviamo però al punto: su "XL" di Maggio compariva un'intervista proprio di Recchioni, con Mauro Uzzeo, alla signorina Grey. La particolarità che rendeva l'intervista interessante è che i due l'hanno resa protagonista di un albo del loro fumetto John Doe. Inoltre, va senza dubbio riconosciuto a Roberto il fiuto del talent-scout: sono anni che sul suo blog preconizzava il successo, o meglio l'unicità dirompente della pornoattrice,  ben prima che diventasse un simbolo popolare di trasgressione.
A livello umano sono  contento per Roberto e Mauro: deve essere una ficata assurda incontrare dal vivo un personaggio (al di là del giudizio su di esso) che hai rappresentato in un fumetto; mi ha fatto pensare per la circostanza, mutatis mutandi, all'incontro dei due miti Liberatore e Franxerox Zappa, uno che probabilmente avrebbe trovato interessanti le performance della Grey....

Sulla copertina l'intervista è lanciata cosi: "La pornorivoluzionaria e la rockstar del fumetto". Ok, Roberto ama definirsi cosi, è ormai il suo biglietto da visita. Ciò che ha provocato un terremoto nel mio sistema nervoso simpatico, specificamente quello di destra, è stata la definizione di "rivoluzionaria" applicata alla Grey. Per carità, slogan efficacissimo, non è certo la prima volta che li si appella così, del resto, oppure "pornodiva esistenzialista"...ma c'è di peggio. C'è di che simpatizzare con le sette che evocano l'Apocalisse.
La sed non satiata vorax fellatrix cita Nietzsche. Si, avete capito bene: Friedrich Wilhelm Nietzsche, nato il 15 ottobre 1844 a Rocken. Non un omonimo, lui.

Molto bene. 

Quando per la.prima volta lessi il nome della accanto alle parole "esistenzialista" e "femminista", soltanto la.mia irriducibile certezza (non fede) junghiana in una forma di Intelligenza e Giustizia superiore mi ha impedito di comporre subito un madrigale di bestemmie per coro sardo e violoncello.




Concordo con Roberto nel dire che il problema non è tanto che la Grey citi Nietzsche e Dostoevskij (con, aggiungo io, l'aberrante superficialità culturale americana), come fanno tutte le sue coetanee americane finte hipster o aspiranti tali. I social network traboccano di adolescenti che riempiono le loro bacheche di citazioni, senza alcuna soluzione di continuità, di Saffo, Kafavis e Fabio Volo.
Questo discorso ci porterebbe troppo lontano e aprirebbe una serie di considerazioni ulteriori, quali la rivalutazione, in determinati casi, della pena di morte come opzione educativa.
Concordo con Roberto, dicevo, nel dire che il problema  vero è che quando Sasha Grey cita Nietzsche c'è chi la prende sul serio.

La cosa per me è gravissima.

Sarebbe troppo facile, da cultore della sapienza yogica, far cadere la mannaia moralista su quel vorace aspiratutto frangettato che e' la testolina hipster della Grey: per me il corpo umano e' un Tempio, sede di energie sacre, e lei ha trasformato fieramente il proprio in una pubblica latrina. Ma non sono un moralista. Per me è in primo luogo sacra la libertà dell'individuo. Per cui nel rispetto del libero arbitrio d'ognuno, chioserei in lingua d'oc: machemenefregaame de quello che fa Sasha Grey. L'espansiva signorina per me avrebbe potuto continuare a dare spettacolo globale dei propri indiscussi talenti (mentre ha smesso all'apice, con furbissimo tempismo commerciale) : tramutarsi in una spremitrice umana multiuso, certificare la provenienza D.O.P. di creme facciali biologiche, imporsi come infaticabile sommellier d'umori altrui, stracciare record su record in particolarissime sfide di apnea. Come si suol dire, contenta lei (e legioni innumeri di onanisti)...

Però se si menziona a sproposito una delle anime più vertiginose della storia umana per giustificare la propria prostituzione asservita al business, beh, non posso che evocare a mani giunte Cthulhu. Qualora quest'ultimo fosse già impegnato nel portare dolore altrove, lancerei io senza alcun rimorso la maledizione Avada Kedavra contro chi appellasse la Grey come esistenzialista, per poi gettarlo prima della incombente morte a calci nel Pozzo di Sarlacc. Cosi, tanto per invitarlo alla riflessione.

Perché, attenzione, io non sono un moralista. Ma Nietzsche si.
Ebbene si, per i meno informati, rivelo questo sconvolgente arcano. Nietzsche è il supremo moralista. 
Un pensatore che vuole rifondare la morale, che profetizza una nuova umanità,  proponendo una "trasvalutazione di tutti i valori", non l'abolizione di essi, si pone logicamente sul podio più alto della filosofia morale (vi ritorneremo approfonditamente nella seconda parte di quest'articolo).
Liberarsi dalla morale, come la intendiamo, richiede il più alto rigore morale, nel senso più puro, che si possa immaginare. E quindi sfuggire alle facilissime, e artificiali, contrapposizioni "buono/cattivo", "morale/immorale". Nietzsche era un filosofo davvero capace, per citare una delle sue più celebri affermazioni, di contemplare l'abisso. Non è mica quel cialtrone di Crowley, che ci ha lasciato in eredità il falsissimo mantra "Fà ciò che vuoi", epitaffio del fallimento della rivoluzione sessuale. Da questa falsa libertà è scaturita una generazione di erotomani tristi, smarriti nel labirinto di una promiscuità insensata e destinata ad esaurirsi nella nevrosi.
 Essere, come Nietzsche auspicava "Al di là del Bene e del Male", non vuol dire solo aver superato il perbenismo, il buonismo,  il politicamente corretto, il moralismo etc...significa, letteralmente, porsi anche al di là del conformismo, uguale e contrario (quindi logicamente equivalente), che domina la cosiddetta "controcultura", i luoghi comuni fittizi di tutto ciò che è ribelle, "alternativo". Quindi, significa non cedere alle seducenti sirene "rivoluzionarie" il cui canto mi era personalmente venuto a noia già in Quarto Ginnasio: il fascino del "cattivo", la seduzione del Male, dunque la giustificazione intellettuale della pornografia, del satanismo d'accatto, della blasfemia facile facile, del politicamente scorretto a tutti i costi. E' evidente da almeno vent'anni che il mainstream più banale e redditizio si nutre sistematicamente di questi elementi.
Ma davvero vi sentite ribelli a postare foto oscene, a scrivere bestemmie, a dire le parolacce? Credete davvero di scandalizzare qualcuno? Sono manifestazioni di ribellione degne di chierichetti frustrati.

E poi, tornando alla Grey, perdonate la mia semplicità, la mia mancanza di sofisticazione intellettuale, la mia brutale incapacità di leggere significati ulteriori ...mi spiegate cosa c'è di rivoluzionario nel farsi oggetto delle peggiori umiliazioni sessuali? Mi spiegate cosa c'è di femminista nell'inscenare il proprio stupro, sottoponendosi alle più violente perversioni? Mi spiegate cosa c'è di super-omistico  nell'usare pubblicamente la propria lingua come un WC Net?

In un'epoca in cui il sesso è usato ovunque, ossessivamente, quasi esclusivamente dai media (dalla pubblicità ai video musicali, dal cinema alla politica) come "arma di distrazione di massa", in cui tutto è sdoganato, uncensored, a portata di clic, culturalmente accettato...un mondo in cui Rocco Siffredi e Cicciolina parlano dal pulpito in Chiesa per celebrare le virtù di Riccardo Schicchi!!!! 
Ebbene, in quest'epoca non c'è nulla di più banale, conformista, allineato, mainstream, servo del regime che lo "scandalo" sessuale.

Posso capire che il "porno" come concetto, come confine concettuale, possa essere fonte di interesse intellettuale. Il vertice, in questo come in molti altri casi, lo ha raggiunto il genio (per anni misconosciuto, ora anch'egli divenuto una sorta di santino per finti decadenti) di Carmelo Bene. 
Ben note, per chi lo studia da più di vent'anni, le sue dissertazioni sulla distinzione fra Eros e Porno, QUI e QUI : sintetizzando, per Bene l'Eros è un plagio reciproco fra soggetto che desidera e oggetto contemplato, dunque siamo sempre nel teatrino dell'io; il Porno, invece, si instaura alla morte del desiderio, in un regno di assoluto abbandono e fusione inorganica immemore di sé. Bene accosta questo stato all'estasi dei mistici, quali Teresa d'Avila o S.Juan de la Cruz, da lui schopenhauerianamente agognata come momento supremo per liberarsi del pensiero.
Qui, a mio modesto giudizio, il Sommo è caduto in una trappola che, al di là della vertigine intellettuale che profila, aveva già imbrigliato menti eccelse, quali Elèmire Zolla o Guido Ceronetti: il maledetto equivoco tantrico. E' la reazione elastica, di matrice freudiana, alla innaturale repressione sessuale di marca paolina (ne abbiamo trattato diffusamente QUI) : ma è un errore altrettanto grave e fuorviante.
Il porno è il contrario dell'estasi mistica:  un conto è l'abbassamento nell'incoscienza animale, nell'indifferenziato inorganico, un conto è l'elevazione al di là dei limiti della mente, il dissolvimento dell'ego nel silenzio estatico. Vicoli ciechi, per quanto meravigliosamente decorati, del pensiero.

Tutto il porno, nella sua vorace vanità, è stato liquidato da Kubrick in una celeberrima scena di "Arancia Meccanica"

film davvero sadiano (ma con una forma estetica e una profondità di riflessione che il Marchese non si sarebbe sognato nemmeno sotto LSD) non solo nel mostrare il crudele compiacimento psicologico, l'inebriante esaltazione estetica della violenza, ma ancor di più nella gelida esposizione del rapporto Potere/individuo. La dinamica pasoliniana del Potere che violenta e fagocita qualsiasi elemento sociale, anche la ribellione, è qui resa magistralmente in una sorta di versione satanica della dialettica hegeliana. L'immoralità assoluta (Alex non solo è stupratore ma traditore e torturatore di chi si fidava e voleva fargli del bene, Dante lo avrebbe conficcato nelle fauci di Lucifero) è schiacciata e umiliata dalla violenza più grande, ipocrita, verniciata di "bene", del Sistema, che poi la riassorbe e assume come propria cellula, come proprio "agente" nel finale. Assolutamente geniale l'immagine di Alex che viene imboccato meccanicamente dal subdolo Ministro degli Interni, da sempre perfettamente consapevole delle sue malefatte. 
Millenni luce prima di Haneke e i suoi ignominiosi giochetti psicologici.

Ma, ovviamente, il riferimento ineludibile è "Salò- le 10 giornate di Sodoma", il testamento letteralmente infernale di Pier Paolo Pasolini. Anche di questo, ne abbiamo parlato in precedenza, sempre trattando degli "Scarabocchi di maicol&mirco", QUI e QUI.


Ora, Sasha Grey si sottopone a tutte le forme di violenza e sottomissione sessuale mostrate nell'ultimo film di Pasolini. C'è solo una differenza tra lei e le innocenti vittime del sadismo fascista (metafora del popolo tutto): lei è consenziente e contenta. Lucra sulla propria umiliazione. Quindi, nell'apparente scandalo, nella superficiale rottura delle regole, incarna la più totale sconfitta della rivoluzione, l'assoluta resa al sistema.  La materializzazione di tutti gli incubi profetici Pasolini: accettare la mercificazione del proprio corpo, farne osceno spettacolo, farlo per profitto, illudendosi pure di essere libera e "rivoluzionaria". La Grey, che si dichiara, e magari si crede pure, libera, e fa di questa sua supposta libertà il proprio punto filosofico (insiste nelle interviste che lei lo ha fatto in pieno controllo, per lei era mero profitto), in realtà abdica all'unica vera forma di libero arbitrio e di dignità, che nessuna tortura o umiliazione ci può levare: dire di no dentro di noi al Male, sia esso inteso moralmente o politicamente.
La dignità delle vittime pasoliniane che, prima di morire, fanno il pugno chiuso dichiarando il loro amore di fronte ai loro aguzzini, o di Justine, QUI resa magnificamente da quell'oscuro genio di Bunuel nel suo capolavoro "La Via Lattea".
La libertà ultima, irriducibile, celebrata, in una pagina degna di Camus, da Gregory David Roberts nell'incipit del suo imperdibile, straordinario romanzo autobiografico "Shantaram": "Ho impiegato molto tempo e ho girato quasi tutto il mondo per imparare quello che so dell’amore, del destino, e delle scelte che si fanno nella vita. Per capire l’essenziale però, mi è bastato un istante, mentre mi torturavano legato a un muro. Tra le urla silenziose che mi squarciavano la mente riuscì a comprendere che nonostante i ceppi e la devastazione del mio corpo ero ancora libero: libero di odiare gli uomini che mi stavano torturando oppure di perdonarli. Non sembra granché, me ne rendo conto.
Ma quando non hai altro (…) una libertà del genere rappresenta un universo sconfinato di possibilità. E la scelta che fai, odio o perdono, può diventare la storia della tua vita".

Nella seconda parte di questo articolo, affronteremo il rapporto tra Porno ed Eversione, prendendo sempre spunto da un articolo di Roberto a riguardo, alla luce delle riflessioni pasoliniane, analoghe nelle analisi ma non nelle conclusioni, e di alcuni aspetti del pensiero nietzscheano.





* Per scrupolo, una brevissima sintesi (comunque, c'è Google):

-  Friedrich NietzscheTra i massimi e più controversi filosofi di ogni tempo. Impossibile sintetizzare la complessità del suo pensiero, indichiamo tra i suoi temi celebri: la "morte di Dio", la "trasvalutazione di tutti i valori", l'avvento del "Superuomo", libero dai condizionamenti morali dei millenni precedenti, il mito de "l'eterno ritorno" dell'uguale.

- Sasha Grey: è un attrice ed ex-attrice porno atatunitense.Nei suoi film si è specializzata in ruoli fortemente sottomessi e umilianti. Circa la sua attività come attrice pornografica disse: 
« Non sono una vittima solo perché ho scelto la strada del porno. Nessuno ha mai abusato di me e non ho mai preso droghe.... Sono sempre stata consenziente su tutto quello che ho fatto. Sono una donna che crede fortemente nelle sue scelte. Non penso affatto che tutte le donne debbano fare porno e fottere come conigli. Per me è un affare. Punto. »
 (da Wikipedia)

- Roberto Recchioni: fumettista, disegnatore, sceneggiatore di punta della Bonelli, attuale curatore di "Dylan Dog", autoproclamatosi "rockstar del fumetto", è uno dei blogger più seguiti a livello nazionale, anche al di là del mondo fumettistico.







sabato 18 maggio 2013

PAULUS di Gianni De Luca- la recensione su "Conversazioni sul Fumetto"


Per uno dei tanti risvolti umoristici di quello che la nostra ignoranza appella destino, sembro destinato a dover occuparmi di opere stupende che riguardano figure a me sgradite.
Prima "L'Incal", di cui è autore, oltre al grande Moebius, il più psichedelico dei falsi guru, Jodorowosky (trovare l'articolo QUI); poi addirittura l'antico nemico Hegel, trattando di quel libro bellissimo, che non incenserò mai abbastanza, che è "Berlino Zoo Station" di Massimo Palma (ne abbiamo parlato QUI); ed ora, il mostro di fine livello: Paolo di Tarso, l'uomo che identifico con la rovina del Cristianesimo, e dunque della cultura occidentale.
L'articolo sulle prestigiose colonne di "Conversazioni sul Fumetto" lo trovate QUI !!!
Buona Lettura!
 

martedì 16 aprile 2013

BERLINO ZOO STATION


                                                                          







Per quanto la vulgata nichilista contemporanea, nel suo tragico avvitarsi su se
stessa, dia come assunto ormai scontato che l’esistenza sia priva di senso (un mero
patetico sbattersi d’ impulsi freudiani fino all’ineluttabile epilogo dell’estinzione,
unica certezza), io celebro ancora a testa alta lo stupore del mistico e del fanciullo
di fronte al gioco misterioso in cui tutti, dalla nascita, ci ritroviamo attori e
testimoni.

E’ chiaro, ad un analisi razionale, fredda e oggettiva, l’esistenza appare esattamente
come magnificamente descritta da anime sublimi e menti superiori, in vette nerissime
di sapienza pessimista: “un pendolo che oscilla incessantemente fra noia e dolore”
(Schopenhauer), “ un racconto narrato da un idiota, pieno di strepito e furia e
senza significato alcuno (Shakespeare)”, “Amaro e noia... altro mai nulla; e fango
è il mondo” (Leopardi). Insomma, la nostra mente, non fa che ripeterci il mantra
dell’Ecclesiaste “vanitas vanitatum”, eternato ancora da Leopardi, in una mirabile
variazione: “l’infinita vanità del tutto”.

Questo tragico annuncio appare spietatamente confermato dalla mera constatazione
della condizione umana: sofferenza ovunque, ingiustizia trionfante, il dolore come
unico sentimento universale.

La stragrande maggioranza dell’umanità vive in condizioni di indigenza, o è vittima
d’ingiustizie, abusi, torture. La cronaca quotidiana è un intollerabile viaggio
nell’orrore per chiunque abbia un residuo seppur minimo di sensibilità ed empatia
umana. In più della metà del mondo la nascita equivale ad un violento approdo in un
inferno di schiavitù, inedia, abusi di ogni tipo.

Le ristrette oasi del mondo cosiddetto civile, evoluto, “ felice” sono prigioni per
masse forzosamente costrette ad un bivio: o costrette a un affanno continuo per
sopravvivere , strozzate in ritmi assurdamente frenetici e innaturali; o, peggio,
materialmente soddisfatte, ma schiave di illusori desideri imposti dall’alto. Miliardi
di zombie posseduti da dogmi materialisti, ipnotizzati come grottesche marionette.

Come faceva dire Pasolini a Gagarin ne il finale de “La Rabbia”, dall’alto di
una contemplazione cosmica l’umanità apparirebbe come: “miliardi di miseri
abbarbicati alla terra come disperati insetti”

I pochi ricercatori della verità, i soli per cui questo mondo è ancora in vita, albatri
baudelariani derisi dalla ciurma degli schiavi sociali, soffrono indicibilmente
la leopardiana distanza siderale tra l’infinito intuito nel loro cuore e la crudele
finitezza del reale.

Benvenuti nel Kali-Yuga: l’era della confusione, dell’errore.
Sembra proprio aver ragione il Dylan ultra pessimista degli ultimi anni: “Every
moment of existence seems like some dirty trick/ Happiness can come suddenly and
leave just as quick/ Any minute of the day the bubble could burst” (“Sugar Baby”),
“The suffering is unending/. Every nook and cranny has its tear” (“Ain’t talkin’”)

Il dolore quindi apparirebbe come l’unica forma di conoscenza, la religione un
ridicolo trucco, la scienza una continua conferma della nostra precarietà, le
ideologie delle trappole di massa.

A livello razionale, è esattamente cosi. Innegabile. Ma è solo da trecento anni che
l’uomo pensa che la mente abbia il primato tra le sua facoltà

In una splendida frase (la cui bellezza rimane intatta nonostante sia divenuta uno
slogan mocciano) Antoine de Saint Exupéry ammoniva: “non si vede bene che col
cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi”. Lungi dall’essere una frase da Bacio
Perugina, è sintesi poetica di una sapienza millenaria: il cuore è sede, per i mistici di
tutte le tradizioni, dello Spirito. L’Oceano di Verità, Consapevolezza e Beatitudine.

Con occhi aperti alla visione interiore la vita ci appare come un’avventura.
Come diceva Chesterton: “La vita è la più bella delle avventure ma solo
l'avventuriero lo scopre. “

Una Sinfonia di coincidenze rivelatrici, una mappa segreta di percorsi interiori,
un codice divino di segnali e prodigi nascosto nell’apparente grigiore della
quotidianità.

E, una volta giunti alla visione, ci dissolviamo nella stupore infantile, al cospetto di
quella che Testori cantò come “La maestà della vita”.

Ma questo prodigio, lo splendore intimo dell’esistenza, solo si rivela a chi ha
custodito il sacro stupore, in ridenti occhi bambini (l’innocenza è la forma più alta di
saggezza) capaci ancora di meraviglia, non incrostati dal velo dell’abitudine

Questo articolo non sarà dunque una recensione, ma la testimonianza di
un’illuminante sincronicità.




Non c’è nulla di più nobile che l’accordo di due visioni contrapposte su un principio
universale.
Non c’è nulla di più rivelatore che l’incontro di due forme mentis affini applicate a
temi opposti, il riconoscimento di una verità raggiunta da percorsi apparentemente
paralleli e inconciliabili.
Per questo ci commuove l’episodio di Achille e Priamo: il superamento del muro
del proprio ego, inchinato di fronte ad una verità più grande. Una manifestazione
esemplare di una legge inconscia, una pausa nel massacro senza posa, un’epifania di
bellezza nella monotonia del male.
Una luce archetipica che si rinnova ritualmente, nella stretta di mano tra capitani
rivali prima di una partita, o negli omaggi reciproci tra capi di stato in conflitto.
Anche se l’abitudine svuota il rito di significato, la luce simbolica continua a
risplendere. Come dice Dylan in modalità Blake: “The fire's gone out but the light is
never dying” (“Ain’t talkin’”).

Conosco Massimo Palma da anni, pur non frequentandolo, e lo avevo sempre stimato
come brillante mente filosofica (potete verificare QUI), ma soprattutto come persona
dalla rara gentilezza d’animo (cosa per me ben più importante).
Quando ho saputo che aveva scritto un libro su Berlino, il mio cuore è stato teatro
d’un boato d’esultanza paragonabile solo a quella d’una curva sotto alla quale è stato
appena segnato un goal al 95° contro i rivali di sempre (ogni riferimento a persone
e fatti è puramente voluto). Erano due giorni che senza alcun motivo ammorbavo
il prossimo, amici, parenti, anche passanti sull’autobus e vigili nei gabbiotti, con
un interrogativo che mi lasciava senza requie: “Bowie e Iggy Pop sono risorti a
Berlino... il disco più bello degli U2 è stato inciso a Berlino...per non parlare di tutta
la Storia pregressa, le grandi anime, i filosofi, i poeti… Ma possibile che nessuno
ha scritto una guida, un libro su Berlino come città culturale, sullo spirito della città,
sull'atmosfera che ha ispirato capolavori in tutte le arti?!!!"
Una telefonata di un amico, una notizia en passant, un incontro casuale.
Chiariamo subito, chè il mondo è pieno di stolti e maliziosi: non scrivo che Massimo
è una mente elevata e un ottimo scrittore perché è mio amico. E’ il contrario: siccome
è una mente elevata e ha scritto un libro eccellente, io mi onoro di essere suo amico.
Anche perché…ma vogliamo parlare dei titoli che escono ora in libreria?
Negli ultimi 15 anni, di fronte allo spettacolo dei libri di Susanna Tamaro messi negli
scaffali di spiritualità, accanto a Simone Weil e Teresa d’Avila, mi sono ritrovato
più volte a sussurrare agonizzando come Mistah Kurtz: “l’orrore…l’orrore”.


 E, per rimanere in tema, ogni volta che entro in una libreria e trovo all’entrata pile e pile
di libri di Fabio Volo, il Gran Nemico, con allucinato distacco chiudo gli occhi e
sogno l’odore del napalm di prima mattina (ben venga, se fosse l’odore della vittoria
dell’intelligenza sulla mediocrità).
Ma quando s’incontra un libro come “Berlino Zoo Station” ben altri automatismi
s’impongono: ci si leva il cappello come forma di rispetto, e poi lo si lancia in aria in
segno di tripudio.
Ora se, come diceva il già citato Chesterton, “la dignità dell'artista sta nel suo
dovere di tener vivo il senso di meraviglia nel mondo”, Massimo è uno scrittore
dignitosissimo.
Non è facile riconoscere il valore di un autore quando affronta temi che non
conosciamo, o che non ci hanno mai profondamente interessato. E’ difficile
apprezzarlo quando ci parla, con competenza ed entusiasmo, di cose che abbiamo
sempre osteggiato con ardore. Ma il cimento più arduo è accettare che qualcun altro
possa dire cose definitive su argomenti che si credeva di conoscere benissimo, e sui
quali ci si illudeva d’avere un punto di vista originalissimo e inedito; e più che mai
(con onesta ammirazione, tempra dei nobili, e mai con invidia, brodo esistenziale
dei mediocri) vedere come un altro possa esaurire brillantemente l’argomento , anzi,
aggiungendo pure ulteriori collegamenti ai quali non avevamo pensato.


(ad esempio sulla trilogia berlinese di Bowie qui magnificamente ritratta da Tuono Pettinato per il nostro blog)

Il libro di Massimo, avrete intuito, vince con nonchalance tutte e tre le sfide.
Coerente con quanto affermato, mi sono comprato apposta un cappello per levarmelo
di fronte a lui qualora dovessi incontrarlo (di quelli che costano poco ovviamente,
ma comunque di valore simbolico inalterato). Confesso senza imbarazzo che il mio
sogno un giorno è arrivare a scrivere un libro di questo livello sulle cose che amo e
studio alla follia (editori in ascolto mi propongo: Dylan e la Kabbalah? Carmelo Bene
e la mistica orientale? Bowie e David Lynch? Tarkovskij e l’iconostasi? Cèline e Di
Canio?
Favorite, il menu è ampio!).
Ma, insomma, di cosa parla questo libro?
“Berlino Zoo Station” è la più bella guida pensabile su una delle città più affascinanti
e ricche di cultura d’Europa. La metafora dello zoo è la grande linea guida, che lega
secoli di storia e una selva di personalità leggendarie e contrastanti , in una narrazione
frastagliatissima eppure coerente.
Massimo è b r a v i s s i m o nel disegnare la mappa delle interconnessioni culturali,
esplorata nel dettaglio dei più riposti anfratti semantici, nella brulicante realtà
dei vicoli più oscuri, scoprendo sorprendenti possibilità di dialogo, vertiginosi
accostamenti, stimoli continui all’approfondimento.
Il libro a livello di piacere intellettuale è l’equivalente del sogno proibito di un
adolescente, come perfettamente esplicitato dalla vignetta di Maicol qui riprodotta



ma è anche una sorgente di emozioni purissime. La mediazione dialettica è la
versione mentale, rovesciata, dell’armonia taoista. Un punto cruciale: ci torneremo tra
poco, armati fino ai denti.

Come un cicerone angelico, Massimo ci mostra dall’alto il grande disegno d’insieme
(dominando la storia e la topografia berlinese come gli angeli rilkiani di Wenders
fanno contemplare la città dall’alto in una celebre scena), per poi calarci nella più
cupa delle catabasi, aggrappati alle ali della sua conoscenza, nell’inferno animale dei
tossici, e nel cieco odio delle camicie brune, per poi riportarci sani e salvi sulle vette
del pensiero, avendo attraversato la commedia divina e diabolica degli infiniti volti
della città.



Affrontiamo ora i due grandi protagonisti, gli eroi morali, i punti cardinali, gli Alfa
e Omega del testo: un celeberrimo gruppo rock irlandese, un celeberrimo filosofo
tedesco.
Ora, francamente non posso definirmi un fan degli U2.
Ho amato (ero praticamente bambino) l’ingenuità guascona di Bono che sventolava
la bandiera bianca e si arrampicava sulle transenne, nel surreale incanto della cornice di
Red Rocks, in “Under a red blood sky” .


Ai tempi di “The Joshua Tree” (facevo ancora le elementari, anche se per poco)
mi rispecchiavo anima e cuore nei loro ideali impastati di cristianesimo popolare e
genuina rabbia sociale, cosi generici da diventare, tramite la semplificazione pop,
manifesti universali. Ho mandato a memoria in pochi giorni “Achtung Baby” (di
cui il libro in oggetto è il più grande monumento pensabile), e già stavo alle medie.
(“Acrobat” rimane ancora un inno disperato, l’urlo disilluso di chi non spera più di
trovare ciò che ancora non ha trovato). Soprattutto, grazie a loro, attraverso i loro
riferimenti onestamente dichiarati, ho avuto accesso al Sancta Sanctorum: Dylan,
Bowie, I Beatles del “White Album”. E come in un antico apologo buddista, la barca
che ci fa attraversare il fiume per giungere all’ambita sponda, poi non ce la portiamo
appresso nel cammino. Dal confronto con i giganti del rock, pur mantenendo grande
affetto, immediati mi sono apparsi i loro evidentissimi difetti: la faciloneria di alcune
dichiarazioni, la boria di alcune pose (in seguito stemperate da una calcolata auto-
ironia), una gigioneria spesso fuori controllo.
Artisticamente tutto ciò è riassunto dai sospiri da attempato pornodivo in difficoltà
con cui Bono, soprattutto dal vivo, deturpa dei versi bellissimi, piegando la sua voce
potente a dei vezzi da pop idol (alcuni falsetti sono da fucilazione sommaria). Per
carità, lo ringrazierò per sempre per aver scritto l’inno internazionale dei ricercatori
(“I Still Haven’t Found What i’m Looking For”).


A malincuore, devo ammettere che dobbiamo a lui la resurrezione dell’Eroe: la pubblicazione di “Oh, Mercy”. Fu Bono a recarsi in omaggio al Dylan in crisi di fine anni’80 e a fargli tirare fuori, grazie alla devozione del fan e ad alcune casse di birra, gli appunti che il Maestro depresso
aveva abbandonato nei cassetti.
Tenendo conto di questo, dei suoi indubbi meriti pregressi, nella mia mente ho
commutato la certa pena di morte in 77 nerbate sulle terga, ma date con convinzione,
per l’incomprensibile deflorazione animalesca di “I’ve got you under my skin”.


Credo Sinatra sia morto alcuni anni dopo per il dolore e la vergogna.
Accostandoli ai maestri eterni, gli U2 comunque non sfigurano del tutto (non
come ad esempio quei patetici pagliacci degli Oasis). Hanno saputo distillare il
dettato dylaniano, negli appassionati paradossi, nei giochi di parole continui, nelle
antifrasi continue e ricercate (da “Where the streets have no name” a i brani più
alti di “Achtung Baby”, fino alla confezione manierista del brano pop perfetto in "Stay").
 Se, come disse Ginsberg, Dylan ha portato la poesia
nei jukebox, gli U2 l’ hanno portato negli stadi. Hanno rei-incarnato in maniera
magniloquente il cortocircuito bowieano della rockstar suicida, dell’idolo da bruciare,
nella grandiosa cattedrale postmoderna del tour “Zooropa”, dal cui pulpito infernale
scaturiva il bombardamento di significanti, ossessivi, contraddittori, ripetuti fino allo
svuotamento d’ogni significato possibile. Una sceneggiatura furba ma molto efficace,
la messinscena diabolica dello smarrimento di senso collettivo.



Ma se per i loro fan il gruppo rappresenta certamente, l’update definitivo, la sintesi
suprema dei grandi del rock, confluiti in un linguaggio semplice ed universale, per
me il loro rock-pop, potente, gradevole è una diluizione popolare, un abbassamento
di livello (pur con dei picchi di grande valore) rispetto alle sperimentazioni
rivoluzionarie di 30 anni prima.
Eh, lo so, sono un irritante misoneista, un incontentabile sapientone. Ma ho ragione.
Detto ciò, non credo abbia senso ora discettare ulteriormente su un band che da
più di 25 anni è considerata “la più grande rock ‘n roll band del mondo”. Vi rinvio
alle riflessioni di Massimo, che sul gruppo irlandese è una riconosciuta e meritata
autorità. L’esegesi dei testi di “Achtung Baby” tocca profondità che gli U2, credo,
si sarebbero sognati d’aver ispirato. Bono Vox dovrebbe tenere questo libro sul
comodino, e mandare cesti stracolmi di leccornie e prelibatezze a Natale e a Pasqua a
casa dell’autore.
Ma ben altra pirotecnica prolusione ora v’attende. Vi consiglio di andare a prendere
un bicchiere d’acqua.
Come dice Mangoni in un indimenticato classico (3.11-3.14):

FINE DELLA PRIMA PARTE, INIZIO DELLA SECONDA PARTE.

Accanto agli U2 il vero, grande protagonista, l’ispiratore, l’eroe del libro è un idolo
pop che non vi aspettate: Georg Wilhelm Friedrich Heg…scusate, devo ricompormi.
Non credevo di dover mai scrivere questo nome sul mio blog. Vabbè, avete capito
si, quello di tesi-antitesi e sintesi, dello Spirito Assoluto, il summus philosophus
dell’Accademia Danese…
Diciamo che non è esattamente il mio filosofo prediletto.
(Chi volesse approfondire il mio punto di vista può estasiarsi qui 35.53)


Provo a sviluppare il concetto.
Potrei dire che l’affermazione “La filosofia è necessariamente sistema.” ha sempre
destato in me la medesima reazione che un altro celebre tedesco aveva alla parola
“cultura”: portare istintivamente la mano alla pistola. Ma è un esempio spesso usato,
non rende giustizia alla peculiare intensità del mio sentimento.
Ecco, potrei dire che una delle poche volte che sono in disaccordo col mio amato
Schopenhauer è stato quando definisce Hegel “assassino della Verità”.

             
                                             (in queste note a margine invece lo ritrae come un asino)

 Stavolta, diletto Arturo, oppongo un vibrante dissenso: una definizione troppo generosa
per il filosofo tedesco (per uccidere qualcosa bisogna saperla identificare, quindi
conoscerla), e ingenerosa per la vasta e variegata categoria degli assassini (che tra le
loro fila possono vantare eterni simboli di coraggio e giustizia, da Arjuna, passando
per Giuditta, fino a Ken Shiro).

Ma sento di non aver esplicitato ancora bene il mio punto di vista.
Diciamo che avrei volentieri festeggiato il mio diciottesimo compleanno, come
credo molti di voi, nelle seguenti comunissime modalità: di fronte alla Porta di
Branderburgo
, in guisa di Eliogabalo, al cospetto di una folla oceanica di anti-
storicisti, protetto come Luke Skywalker alla fine di Episode VI, dai Lari benevoli
di Schopenhauer, Kierkegaard e Nietzsche, offrendo alla furia purificatrice del
dio Fuoco le pagine della “Fenomenologia dello Spirito”. Ca va sans dir, il tutto
circondato da Baccanti discinte che in preda ad un furore estatico avessero urlato “ciò
che è reale NON è razionale”.


Si, mi rendo conto, è un’idea banale, tutti ci abbiamo pensato almeno una volta.
Per carità, poi, si sa, Hegel è un gigante della filosofia, un mastodonte del pensiero,
colui che dopo Platone e accanto a Kant ha elevato la riflessione ad altezze…ma
basta col politicamente corretto, lo odio!!!!
Eppure, vi giuro con la mano, non dico sulla “Bhagavad Gita” (mai giurare su ciò
che è veramente sacro), ma su ciò che più mi è umanamente caro (il vinile di “Freak
Out!”
o la maglia di Mihajlovic del 2000, scegliete voi)….ho provato seriamente un
paio d’anni fa a leggerlo.
Mi sono detto: “Adriano, non essere sciocco, non fare il bambino, hai letto milioni di
libri, non puoi non leggere un filosofo così importante…se tante persone intelligenti
lo amano avrà una sua grandezza, no?!”
E vi prometto in ginocchio, o Corte Suprema dei miei lettori, un paio d’anni fa mi ci
sono messo, onestamente, ho voluto fare tabula rasa dei miei pregiudizi, ho svuotato
la coppa del mio ego…e con animo sereno e mente aperte ho dischiuso le pagine
sulla dialettica servo-padrone.
Un grande classico del pensiero, una delle vette della filosofia moderna. Certo.
Una volta raggiunto il quarto paragrafo… non ricordo più nulla…solo di essermi
svegliato, dopo, altrove, su un lettino, con un forte senso di oppressione, le braccia
forzatamente incrociate, e di aver distinto tra la nebbia dei narcolettici solo un foglio
con alcuni numeri: il conto dei danni per la biblioteca messa a fuoco.
Eppure, eppure, eppure, cari fratelli della Loggia “Estrema Irratio”, tale è la passione,
l’intelligenza, la profondità con cui Massimo ci parla di Hegel che me lo ha fatto
diventare perfino simpa…vabbè, non esageriamo…interessante!
E’ un esercizio di straordinaria apertura mentale (più che mai pertinente considerando
il titolo di questo blog) vedere colui che abbiamo sempre visto come l’incarnazione
del tronfio atteggiamento occidentale di forzatura razionale del reale, come
l’emblema della sapienza accademica sterile , della nozione mentale contrapposta
alla vera sapienza, dell’inganno menzognero della nostra mente eretto a sistema
opprimente…ebbene, lo dico: vederlo sotto tutta altra luce.
Hegel nelle pagine di Massimo, non solo è una rockstar (e fin qui, visto il successo
ottenuto in vita che faceva imbestialire Schopenhauer, ci poteva stare…come lo
stesso autore ricorda Bowie disse la stessa cosa, e per molti versi purtroppo a ragione,
di Hitler!), ma è proprio l’opposto di come lo abbiamo sempre percepito: uno
studente goliarda e disperato, un filosofo anticonvenzionale, stufo dei triti luoghi
comuni, mosso dal desiderio di rendere la filosofia qualcosa di reale, vivo, concreto,
posseduto e ossessionato dal purissimo desiderio di trovare la verità e diffonderla, di
liberare l’umanità dall’inganno e dall’ignoranza.
Un animo equilibrato tra l’intuizione poetica del suo amico Holderlin (che per noi
nell’ approdo pre-nietzscheano alla follìa si avvicinò molto di più dell’amico filosofo
al vero; diremmo di lui come egli stesso scrisse in uno dei suoi ultimi appunti di
Edipo, “accecato, ha forse un occhio in più”, aperto alla visione interiore) e gli slanci
trascendentali dell’altro amico Schelling (che, stiamo schematizzando, non poteva
accettare la sua pretesa di spiegare e razionalizzare tutto).
Una mente aperta e vivacissima, dal respiro geniale, in grado di capovolgere l’onda
del conformismo culturale con la forza della sua indipendenza intellettuale.
Uno di noi, insomma. Un ricercatore che ce l’ha fatta. Un’intelligenza straordinaria
che ha speso la sua intera esistenza per dare senso alla vita di tutti. Più alto di Kant,
più risolutore di Marx, più felice di Nietzsche, più definitivo di Spinoza.
Nel libro Massimo ripete, più che come un mantra come un leit-motiv (è proprio lui
a dire che il filosofo puntava a realizzare “l’opera d’arte totale” della filosofia), che
Hegel aveva capito tutto. Da sempre io dico che è vero, con una piccola correzione:
ha capito tutto (le sue intuizioni sul ritmo ternario dell’esistenza e sul manifestarsi
progressivo dello Spirito sono luminosamente vicine alle verità della rivelazione
mistica orientale), ma al contrario (pretendo di aggredire il reale attraverso i limiti
della razionalità, di trovare la sintesi nella dialettica, e non cercando il ritorno
all’Uno attraverso la via interiore, dantesca, gnostica dei mistici e degli artisti)!
Per me l’idealismo hegeliano è un Advaita Vedanta scomposto e ricomposto
artificiosamente, una risalita al di fuori dell’inferno del dubbio, in cui però il
filosofi che escono “a riveder le stelle” non si rendono conto che stanno ammirando
un fondale di cartapesta. Parafrasando il sublime Rumi, noi non siamo gocce
nell’oceano, ma “l’oceano in una goccia”. Il dissolvimento nell’unità primordiale
avviene al superamento di ogni dialettica, nell’estinzione dell’illusorietà, dunque
anche dell’attività mentale, nel superamento del superamento stesso della
sintesi….vabbè, Massimo poi ne parliamo davanti a un caffè…
Comunque, sei riuscito a farmi parlare di Hegel senza conati e tafferugli, manda il
curriculum all’Onu: puoi risolvere il conflitto in Palestina.

Ma nel libro, non si parla solo degli U2 e di Hegel.
Massimo riesce a parlare, in maniera puntuale, esauriente ed originale, di tutte le
figure che hanno attraversato Berlino negli ultimi due secoli.
Aspettate. Rileggete questa frase che ho scritto. Pensateci un attimo. Realizzate
quanto è difficile.
Ora possiamo andare avanti.
Potrei scrivere un altro libro come guida-commento al testo (come per l'"Ulisse" di
Joyce) per la mole di spunti, stimoli e collegamenti che m’ispira. Ogni riga è un
precipitato di riflessione, che s’intuisce su certi temi almeno ventennale, impreziosita
da un accostamento inedito, da un gioco di parole rivelatore, da uno squarcio di
pensiero illuminante. Non c’è una considerazione superflua, non c’è un’apparizione
che non ritorni, in un intreccio complesso e raffinato come quello di una cravatta da
dandy, nel compimento del suo ruolo all’interno della babelica mappa berlinese.
La qualità forse più notevole del libro è che in questo immenso gioco di
riferimenti, citazioni, salti continui di tempo e di spazio, di tono e argomento, tutto,
narrativamente si tiene. Come complessità e felicità di riuscita stiamo ai livelli della
sceneggiatura di “Lost”, almeno fino alla quinta serie (poi un giorno scatenerò il
putiferio parlando del finale, che a me tutto sommato è piaciuto, massa di miscredenti
che non siete altro!). Come uno sfrontatissimo acrobata Massimo cento volte rischia
l’accostamento eccessivo, la battuta fuori luogo, il paragone sacrilego, ma con
l’eleganza di Nureyev sfugge, con precisi riferimenti e ferree argomentazioni, ai
tentacoli voraci e ovunque presenti del banale.


Non resisto, devo fare una rapida carrellata delle personalità principali(a parte
quelle già lungamente introdotte) che vengono presentate nel libro, tanto per darvi
una vaga idea della ricchezza del testo (prendetelo come il trailer sbrigativo di un
film da vedere e rivedere): stupenda è l’apparizione di Rilke, i cui angeli tremendi
sono l’altissimo modello letterario di quelli divenuti ormai icona cinematografica
grazie a Wim Wenders; Lou Reed e i Velvet Underground sono comparse oscure e sfuggenti,
ma rese in una luce indimenticabile, proprio come lo sono stati nella storia del
Rock; definitive per me le pagine sul rapporto tra Bowie e Berlino, un argomento
per me così interessante da tornarci nella breve vita di questo blog già tre volte;
profondissime e di dolente sapienza sono le riflessioni su Christiane F., la cui
vicenda è giustamente studiata ed approfondita nel suo violento impatto di simbolo
generazionale, con grande sensibilità umana; Walter Benjamin (su cui Massimo ha
scritto cose pregevoli, ad esempio QUI) ha il posto che gli spetta, tra le grandissime, profetiche
intelligenze del secolo scorso; Christopher Isherwood vede finalmente riconosciuto il
valore più profondo del suo “Cabaret”, e il suo ruolo di svolta cruciale nella carriera
del Duca Bianco; Carl Schmitt si guadagna la fama di “uomo più cattivo del mondo”;
vengono svelati i trucchi, vecchissimi, delle tesi-shock di Fukuyama sulla fine della
Storia; si omaggia in tempi non sospetti l’inquieto fantasma di Delmore Schwartz;
persino Patti Smith è omaggiata di un meritato cameo nel finale, dominato però
da un crescendo commovente che non vi svelo….in tutto questo si esplorano non
solo metodicamente tutti i quartieri e le strade principali di Berlino (che Massimo
credo conosca molto meglio di quanto, che ne so, un nome a caso? Alemanno, per
esempio, conosca Roma), ma anche gli impulsi sotterranei che hanno mosso con
violenza e fragore la storia europea degli ultimi duecento anni.


Una parola sullo stile: chi mi legge sa bene, con dolorosa pazienza, quanto il
sottoscritto ami i voli pindarici, l’ellissi barocche, i collegamenti volanti, gli ossimori
improvvisi.
E’ molto interessante notare come Massimo non giochi con gli sbalzi di tono, non
contrapponga sacro e profano, ma al contrario li assuma subito come pari, li assorba
in uno stile equilibrato, in cui la contrapposizione è già mediata, dialetticamente
sciolta, hegelianamente risolta.
Il rigore accademico con cui si accosta alle pagine più complesse dell’idealismo
tedesco è il medesimo con cui decripta le influenze dei Joy Division sui gruppi
successivi, mescolandole con spregiudicata disinvoltura, ed eguale serietà. Passaggi
come “la variante hegeliana di Achtung Baby, la Fenomenologia dello spirito
sono da T.S.O., ma solo per organizzare una festa a sorpresa con bacio accademico
sull’ambulanza.
E quindi, come ultimo, supremo omaggio non posso che proclamare il mio
“sì”dionisiaco, e nell’accettazione totale accettare anche l’Aufhebung (concetto
hegeliano traducibile con “sublimazione”, superamento della contraddizione, una
tensione dialettica, ad esempio riscontabile nel rapporto servo-padrone, in cui
si “superano conservando” i due termini della contrapposizione nel divenire del
progresso dialettico). E, quindi, spezzando le manette anche della mia di mente, tale
è la mia ammirazione per questo testo che arrivo a l’impensabile. Chioserò il mio
omaggio dedicando a Massimo le parole, perfette in questo caso, del mio antico
nemico Hegel: ”Il sì della conciliazione, in cui i due Io dismettono la loro
opposta esistenza, è l’esistenza dell’Io esteso fino al due, l’Io che resta qui uguale a
sé e che nella sua completa alienazione e nel suo contrario ha la certezza di se stesso;
– è il dio che appare in mezzo a loro”.
Per dirla con un verso di un autore a me molto più caro (i poeti, si sa, intuiscono e
sintetizzano ciò che i filosofi rendono complicato): “we always did feel the same/ we
just saw it from a different point of view” (Bob Dylan, “Tangled up in blue”).


La più lieta agnizione avviene però alla chiusura del volume.
L’intuizione sopravviene come una battuta geniale capita in ritardo, e ancora più
deflagrante nella sua detonazione comica.
In realtà, il complesso intarsio di connessioni interculturali, la grandiosa visione
d’insieme che l’autore ha disegnato come un raffinato esercizio enigmistico, era già
li, presente, viva, offerta a tutti nel suo miracoloso splendore. Un mosaico già pronto.
Bastava solo osservare.
Massimo ne ha solo scoperto l’evidenza, e sollevato il velo con la curiosa semplicità
di un bambino che gioca, ricalcando i contorni della mappa, e consegnandocela come
un dono, fatto in primo luogo a se stesso, un premio meritatissimo alla fine di una
ricerca entusiasmante.

Ma questo prodigio, lo splendore intimo dell’esistenza, solo si rivela a chi ha
custodito il sacro stupore, in ridenti occhi bambini (l’innocenza è la forma più alta di
saggezza) capaci ancora di meraviglia, non incrostati dal velo dell’abitudine.