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domenica 4 agosto 2013

La Magia della Fiaba - Conversazioni con Daniele Capuano sul significato esoterico delle fiabe SECONDA PARTE




"La scala di Giacobbe" di William Blake
Avevo intenzione di pubblicare la seconda parte a settembre, ma considerato il sorprendente seguito di questo post, a grande richiesta continuiamo da dove eravamo rimasti ....

DC: Il primo dono che tutte le fiabe danno, tutte le grandi e umili fiabe che sono reperibili nelle raccolte di cui parlavamo, anche le fiabe letterarie migliori degli ultimi secoli, il dono di ogni fiaba è quello di poter essere letta, come i testi sacri, a diversi livelli. Fra le offerte più grandi che ogni fiaba fa c’è la possibilità innanzitutto di una lettura ermetica, cioè alchemica. Non c’è quasi fiaba che sfugga a quell’itinerario quintessenziale che è appunto l’itinerario della Materia, intesa però alla maniera antica, come pregna di vita e quale manifestazione divina. Poi c’è una lettura astrologica, che è poco frequentata perché l’astrologia è diventata ormai quasi del tutto “giudiziaria”, come avrebbero detto nel Rinascimento, cioè una pseudo-scienza deterministica in cui si cercano di solito conferme o alibi al proprio carattere...

CZ: L’astrologia indiana, per tornare a confronti precedenti, è invece un oceano di rivelazioni davvero illuminanti.

DC: Beh, l’India ha conservato intatti quasi tutti i legami con la sapienza antica. Non è un caso, il grande libro di  Giorgio de Santillana e Hertha von Dechend Il Mulino di Amleto, ci mostra proprio come la cultura neolitica...




CZ: ...avesse iniziato il processo di elaborazione del mito come “scienza esatta”.

DC: Esatto. C’è poi la lettura mistica. Le fiabe più grandi sono senza dubbio un itinerario mistico, che può essere dotato di una trasparenza quasi liturgica, come ad esempio nel caso di Raperonzolo, Il Ramo d’Oro di Madame d’Aulnoy, o La Bella e la Bestia. Oppure questo può essere velato sotto il grande tema, popolare e arcano insieme, dell’ermetismo inteso nel senso di mercurialità. Quella capacità di cogliere l’opportunità al di là di ogni ristretto moralismo (il che ovviamente non significa immoralismo).
Penso al Gatto con gli stivali, penso alle tante favole della tradizione araba accolte nella grande cornice de Le Mille e una notte.


Illustrazione per "LeMille e una notte": la Principessa narra al Sultano.


CZ: Un’attitudine che ritorna, magari depauperata di questa ricchezza di significati ermetici, anche in Boccaccio.

DC: Certo. Lì c’è il più piacere di godere della burla riuscita. Però sicuramente nel piacere di novellare…

CZ: Sì, è più un’attitudine pre-rinascimentale che di derivazione sapienziale.

DC: …fai bene a vedere la continuità, sicuramente nella fiaba classica la figura del protagonista di solito è un ragazzo di poche doti, o almeno è considerato tale, una persona “stupida” ma proprio per questo aperta allo stupore. Spesso i genitori lo considerano un buono a nulla, vogliono liberarsene, a volte è un deforme (perché troppo piccolino come Pollicino, o perché nato con dei difetti fisici troppo pronunciati, come Enrichetto dal ciuffo). Tuttavia, questa sua “indefinibilità” sociale (questa inafferrabilità affine a quella del Mercurio come ‘elemento’ alchemico) lo rende spesso un candidato alle virtù apparentemente meno mistiche, ma che in realtà sono metafora perfetta delle stesse. Un certo opportunismo, inteso come capacità di cogliere il kairòs ...

CZ: Il celeberrimo carpe diem nel senso più alto...

DC: Sì, sappiamo che la Bibbia, che è un testo sacro sul quale si possono dire tante cose, nel bene e nel male, ha esempi in questo senso...

CZ: L’‘opportunismo’ con cui Matteo riconosce Gesù nel momento della conversione, come magnificamente immortalato dal Caravaggio...


"La Vocazione di S.Matteo" del Caravaggio, nella Cappella Contarelli di S.Luigi dei Francesi a Roma


DC: Certo, oppure con cui Giacobbe truffa il fratello, che non è una cosa da prendere ad esempio,  ma è sicuramente un gesto carico di una saggezza difficile da cogliere all’inizio, per una persona ingenua. Ora, per non arrivare a modelli così santificati dall’esperienza religiosa, penso al già citato Gatto con gli stivaliUna fiaba  in cui l’essere mercuriale per eccellenza, il felino, trae dal nulla, soltanto con le proprie parole, la potenza e il prestigio di un povero disgraziato, appunto il proprio padrone che non aveva nient’altro che lui, lo fa passare per un grande gentiluomo, per un potente, truffa l’Orco con un trucco che conosciamo anche nella favolistica araba, cioè ne stimola la vanità di essere potentissimo, fisicamente e psicologicamente, ma con un’unica tara. Gli dice: “Scommetto che, con tutte le tue doti, non sei capace di diventare piccolo come un topolino”... e sappiamo qual è l’esito...



"L'incontro di Giacobbe ed Esaù" di Francesco Hayez

CZ: Ed è illuminante, parlando di mercurialità, ricordare come questo sia uno dei poteri di Shri Hanumana, l’archetipo induista del messaggero angelico, da cui culturalmente derivano appunto Hermes e Mercurio... egli ha il potere di diventare infinitamente grande o infinitamente piccolo, perché rappresenta il controllo sull’azione, e soprattutto, essendo il messaggero fedele ed assolutamente devoto a Dio (in questo caso nell’aspetto di Shri Rama), è affrancato dalla vanità.


Una rappresentazione classica di Shri Hanumana


DC: Esatto, questo è il punto.

CZ: Il suo ego si identifica con l’Ego (nel senso di Volontà) di Dio.


il "Mercurio" del Giambologna


DC: Infatti, la défaillance dell’Orco consiste non nel non poter diventare infinitamente piccolo, ma nel cedere alla propria vanità, alla tentazione della prova che gli impone il gatto. Non a caso gli suggerisce di diventare un topolino… Un caduta alla quale Hanumana durante un combattimento magico probabilmente non si sarebbe mai sottoposto... Ecco, questa grande trasparenza archetipica della fiaba, che può essere velata anche da questi doni di un ermetismo più popolare: ma c’è anche un altro dono. Un dono che a me non sembra trascurabile, soprattutto di questi tempi, anche se è difficile da cogliere e da ricevere, che è la sua grande assenza di sentimentalismo. Strano a dirsi, perché spesso si percepiscono le fiabe come...

CZ: ...qualcosa di stucchevole...

DC: Esatto, come un mondo tutto rosa, in cui tutto finisce sempre bene...una sorta di interpretazione hollywoodiana o disneyana delle fiabe che non a  caso è un atteggiamento tipicamente novecentesco e contemporaneo, ma già affiorava nel secolo precedente, col suo culto della durezza e degli affari etc...
È singolare, invece, come chiunque legga le fiabe con un minimo di onestà, non dico di attenzione, semplicemente leggendo quello che dicono, letteralmente si accorge di come esse siano una forma di educazione alla vita così com’è. Alla sua crudeltà, alla crudeltà del desiderio ad esempio. Quante fiabe iniziano con un Re che non riesce ad avere figli, ed inventa qualsiasi artificio, anche illecito e vergognoso, pur di averli. Quante fiabe non nascono con una voglia, con un capriccio, con qualcosa di profondamente umano e profondamente onesto, da ammettere. Quante fiabe non ci insegnano, come lo stesso Pinocchio, a diffidare della giustizia umana: Pinocchio finisce in galera perché è stato derubato, e ne esce ammettendo di essere un malandrino, perché c’è l’amnistia. Quindi, ecco, quante fiabe, quasi tutte, non ci insegnano, anzi, ci insegnano! senza un briciolo di sentimentalismo, a vedere la vita cosi com’è…

CZ: E, invece, paradossalmente, quando si dice “fiabesco” si intende il contrario. Le fiabe mostrano il volto duro e per nulla edulcorato o zuccheroso della vita.


Illustrazione originale de "Le avventure di Pinocchio" di Carlo Collodi



DC: Diciamo che mostrano tutto, e mostrando tutto mostrano sia le strade polverose su cui ai ragazzi un po’ sciocchi, o che imparano a loro spese la saggezza, succede di tutto, anche cose terribili come essere fatti prigionieri da qualche antropofago o da qualche altro innominabile personaggio... ma insegna, ripeto, anche la capacità di vedere le fate, di scalare fagioli magici e di arrivare a palazzi incantati dominati da orchi che, alla fine, mostrano sempre il loro punto debole... perché ce n’è sempre qualcuno che ne sa una più del Diavolo, in particolare sua Nonna, come ci insegna una fiaba famosa dei Grimm. Da tutti i punti di vista le fiabe sono un insegnamento talmente prezioso che consegnarne una qualunque, possibilmente fra le grandi, ad un bambino, significa veramente dargli, come dicevo all’inizio, l’ultimo vestigio, l’ultima traccia di una civiltà tradizionale, in giorni in cui quasi tutto congiura per distoglierci sia da questa chiarezza – spietata – di sguardo, che da questa apertura, carica di stupore, nei confronti di quella dimensione immaginale che sta “tra” il cielo e la terra, che non è né il mondo duro dei cosiddetti, sottolineo cosiddetti, “fatti”, né il mondo etereo e astratto, apparentemente, del puro Spirito.




lunedì 29 luglio 2013

La Magia della Fiaba - Conversazioni con Daniele Capuano sul significato esoterico delle fiabe PRIMA PARTE

Generalmente, sono considerato (per quanto abbia senso tale espressione) una persona colta, intellettualmente vivace, spesso informata su aspetti poco noti di argomenti di comune interesse. Molte persone mi apprezzano come un brillante conversatore, una fonte di aneddoti curiosi e illuminanti su personaggi storici, grandi scrittori, luoghi universalmente conosciuti.
 Un mio amico scherzosamente mi chiama "Adripedia".
Ringrazio tutte le persone che negli anni mi hanno generosamente accordato la loro stima, e riconosciuto in me tali amabili qualità, anche, recentemente, attraverso la lettura di questo blog.
Ma è tempo di gettare la maschera.
Per quanto il mio ego superi i confini conosciuti dell'umana comprensione, e la mia autostima sia senz'altro superiore a quella di Cesare, Rodolfo Valentino e Ibrahimovic messi insieme, devo qui fare atto di pubblica umiltà.
C'è una persona di fronte alla cui cultura e conoscenza io appaio un goffo analfabeta balbuziente, e alla quale mi inchino coram populo.
Sto parlando di Daniele Capuano, una mente eccelsa e un animo nobile, che da anni mi ha concesso il privilegio di un'amicizia fraterna. 
Gran parte della mia apparente cultura viene da interminabili conversazioni della nostra adolescenza, in cui Daniele mi ha letteralmente schiuso universi di riflessione, sentieri di ricerca, giacimenti di bellezza.
Se ho conosciuto e amato alla follia Mozart, Tarkovskij, T.S. Eliot, Florenskij, Rilke, Captain Beefheart, i Santarita Sakkascia e Guido Ceronetti, lo devo a lui.
Se io passo per un erudito perché magari conosco il nome di un poeta francese minore di fine Ottocento, lui di quell'autore ha letto tutto. Oltre a quelli maggiori.  E ai classici. E ai testi sacri. Di tutte le religioni. Studiati in lingua originale.  Non so se ho reso l'idea. 
Ma sa anche tutto sui Velvet Underground, sul pugilato, sulla cucina umbra, sulla tradizione rituale ebraica, sul diritto islamico, sulle faide interne al PCUS...l'elenco potrebbe continuare in migliaia di imprevedibili variazioni.
 Probabilmente, è la reincarnazione di Pico della Mirandola.
In un mondo giusto sarebbe Ministro della Cultura dell'Universo.
Mi è parso dunque giusto nei confronti dei miei lettori condividere questo privilegio, iniziando a pubblicare un ciclo di conversazioni, su temi di varia ispirazione e interesse, con il mio ammirato amico e mentore.
Abbiamo deciso di iniziare evocando il più classico degli inizi: "C'era una volta..."


"Alice attraverso lo specchio", illustrazione originale di John Tenniel


CZ: Qual è secondo te il fascino, l’importanza del concetto di fiaba? E, come essa, secondo te, affonda le sue radici nella sapienza popolare, e quindi in una forma di narrazione archetipica, e come si riflette sulle attuali forme di comunicazioni di massa (per cui il cinema, la narrativa etc..)? Qual è il rapporto fra eterno e contemporaneo, che nel concetto di fiaba è implicito?

La Porta Magica di Piazza Vittorio


DC: Ci siamo incontrati davanti alla Porta Magica di Piazza Vittorio. Credo fosse significativa l’idea, per quanto non del tutto deliberata, perché, come quasi tutti sanno, la Porta Magica è il vestigio di pietra di una iniziazione ermetica. Una delle poche dimore filosofali italiane, anzi più che una dimora probabilmente era la porta di un laboratorio, e in ogni caso è un betilo*, una pietra sacra che in qualche modo testimonia che è avvenuta una iniziazione. La fiaba a me pare qualcosa di simile, sebbene meno velata nel caos mercuriale di Piazza Vittorio, come la Porta del Marchese Massimiliano Palombara, e sebbene meno esplicitamente esoterica, almeno nel senso più immediato del termine.
La fiaba a me pare l’ultimo vestigio abitabile di quella che era l’antica grande idea di iniziazione, presso noi moderni. Ovviamente, non è un accostamento semplice, di questo magari parleremo dopo. Però, in che senso dico questo? Cerco di spiegarmi: a me dà molto il sapore dell’iniziazione il finale di una poesia che si chiama Il Convertito [The Convert], di Chesterton, uno dei più grandi, a mio giudizio, esploratori del mondo fiabesco, fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Alla fine di questa poesia, che è un sonetto in cui in qualche modo cerca di esprimere il proprio rapporto con il mondo dopo la conversione (una sorta di prodromo all’iniziazione, o che può essere accostata all’iniziazione in ambito abramico e non sapienziale classico), dopo aver parlato delle “foreste di lingue” dell’umanità, dopo aver parlato della saggezza con cui gli uomini provano a tracciare le mappe del mondo, dice: “...Ma tutte queste cose per me sono meno della polvere/ perché  il mio nome è Lazzaro e sono vivo”.
Questa è solo una suggestione. Però, a costo di essere digressivo, comincio a parlare dei particolari: penso alle fiabe letterarie che più ci sono vicine, ad esempio quelle del Seicento francese. Qualcuno le ha accusate, scrive Cristina Campo, di adornare con troppe piume di struzzo e troppi paraphernalia del secolo d’oro l’antica e perpetua saggezza che invece sfolgora in maniera archetipicamente più trasparente nelle grandi fiabe della tradizione popolare, che comunque sono sempre state raccolte da letterati, perché altrimenti non ne potremmo più parlare (le raccolte dei Grimm, di Andrew Lang etc..). È vero che nei cosiddetti Racconti delle fate, quelli di Madame d’Aulnoy,  di Madame Leprince de BeaumontLa Bella e la Bestia ad esempio, le grandi fiabe di Perrault, è vero che c’è molto del mondo dell’epoca. Questo è l’approccio semplicistico che si può avere leggendo all’inizio quelle fiabe, sembrano un po’ un manuale, narrativamente molto accattivante, non di iniziazione ma di educazione sociale del perfetto gentiluomo dell’epoca. Alle ragazze si insegna continuamente, anche da parte delle fate, a parlare in un certo modo, a stare bene a tavola, a ragazzi si insegna ad essere coraggiosi e buoni conversatori, come voleva lo spirito dell’epoca, e in effetti questa è una parte dell’insegnamento di quelle fiabe.
Un’altra fiaba letteraria, forse la più grande italiana, è ovviamente Pinocchio di Collodi. Molti sono cascati in questo trabocchetto (un po’ di meno rispetto ad altre fiabe, perché Pinocchio contiene molti anticorpi in evidenza), nella trappola di vedere in questa fiaba un’esortazione al bambino ad essere un bravo studente che non marina la scuola, a dire sempre la verità alla mamma e al papà, e così via…
Effettivamente, credo che questo faccia parte dell’essenza della fiaba, esattamente come la buccia fa parte delle pere di cui Pinocchio viene consigliato di nutrirsi dal ‘padre’ dopo la famosa notte di paura e di fame con cui inizia il romanzo, o il racconto che dir si voglia. Ad ogni modo, è vero che s’insegna ai ragazzi ad essere bravi ragazzi del loro tempo, sia nel Seicento francese che nell’Ottocento umbertino, però con lo sguardo dell’iniziato.


Illustrazione da "Le Avventure di Pinocchio"

CZ: Ci sono molti simboli che potremmo definire massonici ed occulti nel Pinocchio.

DC: Assolutamente. Questo è un livello ulteriore di lettura. La cosa che a me salta agli occhi è che questo  livello più superficiale, che potremmo definire di “etichetta” più che di morale...

CZ: Il “bon ton” dell’epoca...

DC: Esatto,  ma anche la morale stessa delle favole… è parte di questo cammino iniziatico. È come se le fiabe suggerissero una sorta di operazione squisitamente iniziatica, che potremmo definire una sorta di karma-yoga o, evangelicamente, “sii nel mondo, senza essere del mondo”.

CZ: Che poi è una sorta di sintesi di molta sapienza orientale, una sorta di aforisma che quasi sintetizza e porta nel Cristianesimo il messaggio della Bhagavad Gita...

DC: Certo. Quello che non dobbiamo dimenticarci (a proposito di Gita, da te appena citata) è che il ragazzo che esce dal racconto di Madame d’Aulnoy è un ragazzo che diventa un gentiluomo, ma è anche un ragazzo che ha imparato a vedere le fate e a conversare con loro. Pinocchio è diventato un bambino come tutti gli altri, ma lo è diventato grazie alla sua capacità di vedere la fata in sogno, che è il finale del racconto, non dimentichiamo. 

CZ: ...reso magnificamente da Carmelo Bene...




DC: Infatti. La lettura di Carmelo Bene è una delle più sensibili proprio perché non cade in nessuno dei trabocchetti ideologici...

CZ :Anzi, li capovolge proprio, lui dice che Pinocchio in realtà è il bambino che vorrebbe abortire il passaggio all’età adulta per mantenere questo sguardo di irresponsabile innocenza…



DC: Sì, anche se, al di là della resa magnifica della sua interpretazione, a me sembra una lettura, forse in maniera civettuola, limitata. Secondo me, quello che caratterizza Pinocchio, come quasi tutti gli eroi delle fiabe, è la loro fame, veramente straordinaria, di normalità, insieme al loro desiderio di vivere le avventure più stabilianti....

CZ: E qui torniamo a Chesterton, lo stupore iniziatico che ti porta paradossalmente all’accettazione entusiastica del quotidiano, come fosse la più magica delle avventure... la famosa frase di Chesterton, in cui dichiarava di commuoversi davanti all’orario dei treni (“No, tenetevi i vostri libri di pura poesia e prosa, lasciatemi leggere un orario ferroviario con gli occhi bagnati di lacrime d’orgoglio!”).

Il grande Chesterton ritratto come Bacco


DC: Sì, infatti questo stupore è la sostanza di cui sono fatte tutte le grandi fiabe, anche le più umili e nascoste. In un certo senso la fiaba inizia a quello che potremmo chiamare il mondo dell’immaginazione, però stando attenti alla portata direi ontologica di questa espressione. Mi rifaccio qui a un grande orientalista, iranista, Henry Corbin, che studiando i sufi iranici ha portato alla luce un’idea mistico-filosofica...

CZ: Il mondo immaginale...

DC: Esatto. Il mondo immaginale è un mondo terzo, che sta fra il mondo materiale che noi cogliamo con i sensi grossolani nella realtà della veglia, e il mondo, che potremmo definire intellettuale o spirituale, delle “idee platoniche”, che non cade sotto i sensi. Il mondo immaginale è invece un mondo che cade sotto sensi rinnovati. È il mondo del corpo sottile, per utilizzare un’espressione familiare a quasi tutte le grandi tradizioni spirituali e sapienziali. Questo è il mondo dove accadono, Corbin diceva pesando le parole dove hanno luogo, dove hanno veramente il loro luogo di accadimento, le fiabe, le visioni dei mistici, le grandi narrazioni apparentemente incongrue alla realtà di veglia. E che di fatto sono delle intersezioni tra il mondo di veglia (che è anche un mondo storicamente determinato, quello del Seicento francese, quello della Toscana dell’Ottocento di Collodi) e...

Uno schema moderno del Corpo Sottile elaborato sull'Uomo Vitruviano di Leonardo Da Vinci 


CZ: Un ponte d’accesso a quello che Jung avrebbe chiamato Inconscio Collettivo, un  momento di contatto, vorrei dire di connessione, di ispirazione, vicino forse allo stato di Turiya, però non volto al dissolvimento nello Spirito, bensì ad uno sguardo rinnovato sulla realtà fenomenica, che consente di interpretarla come specchio di una realtà superiore... correggimi se sbaglio!

DC: Sono perfettamente d’accordo. Del resto, sappiamo tutti che le grande fiabe classiche sono un itinerario in cui di solito si diventa re, si diventa ricchi, in cui si vive felici e contenti con la propria sposa e si fanno tanti bambini... sono finali sottilmente sorridenti, che alludono ad una presa di contatto, come dicevi tu, con la totalità dell’Essere...

CZ: La realizzazione, nel senso di felicitas... Come poi Dante dice nella famosa lettera, chissà se attribuibile o meno, a Cangrande della Scala: l’obiettivo dell’opera, e dunque della vita, è avvicinare, condurre i viventi allo stato di  felicità, appunto nel senso etimologico di Realizzazione.

DC: ... la felicitas sul piano umano, la beatitudo sul piano spirituale

CZ: Esatto. Questo mi riporta molto alla cultura indiana, dove ad esempio c’è Shri Lakshmi, che è anche, non solo, la Dea della Fortuna, della Ricchezza, del benessere materiale, della pura soddisfazione, dell’abbondanza... che poi diventa, nella sua forma evoluta, Shri Mahalakshmi, colei che concede la Moksha, la Liberazione, la Realizzazione, e che quindi diventa una delle manifestazioni più potenti dell’archetipo della Grande Madre. Di cui, nella nostra cultura occidentale, la manifestazione è senza dubbio la Vergine Maria, della quale però è stato sempre enfatizzato l’aspetto compassionevole e benevolente. La Dea in India ha anche un aspetto guerriero e feroce, contro i demoni ad esempio.



DC: Non è un caso che l’immagine di felicitas nella nostra cultura occidentale sia il Paradiso Terrestre, dove non esisteva scissione tra il carnale e lo spirituale, tra il significato e il significante. E non dimentichiamoci che la fiaba è narrata da un vecchio ad un bambino. Il bambino è una creatura che ancora non sperimenta, se non come minaccia distante da sé, la scissione caratteristica dell’età adulta fra il piacere fisico e il rispetto dei limiti imposti dai genitori.



CZ: Shri Mataji, ad esempio, dice proprio che i bambini sono nello stato di Yoga, prima della formazione dell’ego, e quindi della percezione della separazione, della divisione “io-tu, noi-voi” etc...


Shri Mataji Nirmala Devi

DC: Questo ci porta, tra l’altro, a quello che per noi oggi è un dilemma. È difficile leggere una fiaba ad un bambino moderno, a un bambino perlomeno che sia già stato toccato dall’atmosfera culturale di massa, e si tratta di un contatto piuttosto precoce purtroppo. Anche se, per chi si è accostato in qualche modo ad un esperienza spirituale o religiosa, è naturale pensare che l’ascesa alla montagna della Conoscenza comporti poi, nella ridiscesa al popolo, un racconto che non può non articolarsi con queste immagini: l’immagine della ricerca della regalità, della ricerca di ricchezza, della ricerca ad esempio di un gioiello perduto, o di qualcosa di smarrito, tutte le immagini che sostanziano le fiabe eterne.

CZ: Schematizzando, tutte metafore del tesoro interiore, della verità da trovare, appunto, della Realizzazione...

DC: Sì, un tesoro interiore che comporta una presa maggiore, e non minore, sul mondo che cade sotto i nostri sensi, come dicevi tu prima. È un dono totale, integrale, di cui il bambino e l’uomo antico non si vergognano, ma che noi invece spesso percepiamo come qualcosa di delusivo. Il finale della fiaba viene spesso deriso nella letteratura “alta”…

CZ: Infatti, con molta sapienza e umorismo, anche il finale de I Promessi Sposi, con consapevole ironia, lo evoca. Per me, il fatto che I Promessi Sposi vengano considerati un romanzo noioso e pedante è una delle grandi maledizioni della Chiesa Cattolica.  Uno dei motivi per cui io sono fiero di essere italiano sono I Promessi Sposi...



DC: E Pinocchio... i due più grandi racconti in prosa dell’Italia dell’Ottocento. È un accostamento che mi piace e che, tra l’altro, sento molto, anche se si tratta di due prove letterarie completamente diverse...

CZ: Anche se in entrambe c’è questo senso dell’ itinerarium da “pilgrim’s progress”...I Promessi Sposi sono una sorta di Candide a rovescio...invece di esserci il ghigno beffardo della razionalità di Voltaire, c’è il più consapevole umorismo di Manzoni. E per me, per quanto stemperata dall’iniziale giansenismo e con una forma certo più castigata,  non è tanto distante dalla risata, a volte anche un po’ ebbra, di Chesterton.

DC: È vero. Dobbiamo precisare anche che non c’è esperienza religiosa che non abbia qualcosa di questa sobria ebbrezza.

CZ: Se è autentica, sì.

DC: Siccome sappiamo che Manzoni ha avuto un’autentica esperienza religiosa, nonostante i limiti del suo primo approccio al Cristianesimo... e forse anche del secondo, perché in effetti il Cattolicesimo ottocentesco, pur da lui difeso brillantemente...

CZ: ...nelle Osservazioni sulla morale cattolica... libro che ho sempre accostato a Ortodossia di Chesterton (che ha uno svolgimento più paradossale e quasi romanzesco nell’argomentazione)... dico sempre che per me sono due libri pericolosissimi, perché sono scritti talmente bene che uno rischia di... convertirsi al Cattolicesimo!!
Mi viene in mente quella riflessione sublime del Manzoni che scrive: “il mistero concilia le contraddizioni”, che è una delle più belle risposte che possa dare un credente a un ateo.

DC: Assolutamente, è un libro eccezionale. C’è un’appendice meravigliosa in cui confuta l’utilitarismo di Bentham, che andrebbe letta secondo me come introduzione allo studio della filosofia nelle scuole superiori.

CZ: L’epitaffio del nascente capitalismo.

DC: Epitaffio e monito all’epoca,  perché in Italia all’epoca potevano vedere ben poco di quello che sarebbe accaduto. Sì, l’insistenza su Chesterton e Manzoni mi trova, come sai, molto d’accordo, anche per quello che vorrei dire, che mi sta molto a cuore, sul dono veramente integrale, totale che fa la fiaba. Potrebbero sembrare due doni quelli di cui sto parlando adesso, in realtà ai miei occhi sono un solo dono.



E proprio come nelle fiabe che ascoltavamo da piccoli...

FINE DELLA PRIMA PARTE






* DC: nota alla parola betilo: non per spiegarla, ma per indicare come mi sia stata suggerita da una grassa turista australiana, in visita a Piazza Vittorio col marito (circa cinque mesi fa). Mi chiese informazioni sulla Porta, presso la quale ero seduto, e io gli dissi quello che potevo. Lei, buona protestante e quindi frequentatrice abituale del Libro, commentò: "So maybe it's kind of a bethel", riferendosi all'episodio di Giacobbe. Io le risposi: sì, qualcosa di simile, con la differenza che la Porta è stata fatta dalla mano di Dio e di un uomo insieme.





venerdì 21 giugno 2013

MORNING MEDITATION

E' con grande piacere che pubblico questo racconto, fresco vincitore del concorso letterario il Rubriconcorso del Venerdi,  indetto dall' AGENZIA VERBA- servizi editoriali (per chi usa Facebook il link è il seguente https://www.facebook.com/pages/Agenzia-Verba-servizi-editoriali/135362206627655?fref=ts.)



Erano circa 14 anni che non scrivevo racconti, dai fasti antichi e fulminei della rivista "Lampi Grevi" (già all'epoca avevo il privilegio di essere illustrato da LRNZ).




Devo dire grazie alla professionale e garbata insistenza di Carlo Sperduti per avermi costretto con i lacci avvolgenti della sua cortesia a partecipare. Ho fatto bene a seguirlo.
E grazie anche a Rita Petruccioli per il suo costante incoraggiamento, oltre che alle quasi 200 persone che in maniera diversa (tramite likes, commenti e condivisioni) hanno, come recita il comunicato, sancito "in modo definitivo e schiacciante" la mia vittoria.


Due parole sul racconto. L'ho scritto praticamente di getto, come sempre negli ultimi istanti di tempo utile.

E' stato divertente e interessante leggere le varie interpretazioni (chi lo ha considerato la descrizione di un viaggio artificiale, chi una celebrazione della musica, chi addirittura la descrizione di un momento di autoerotismo...). Non voglio essere il pedante esegeta di me stesso, ma come il titolo dichiarava si trattava della descrizione della esperienza della meditazione mattutina, come molti (avvantaggiati dalla pratica comune della meditazione sahaj) hanno riconosciuto.

 Molto potrei parlare delle cause degli equivoci interpretativi: il viaggio artificiale come equivalente o ponte verso la meditazione è un equivoco che da una scorretta interpretazione di Blake è passato attraverso Huxley fino a Jim Morrison...così si è passati dalla ricerca mistica a sex, drugs and rock'n' roll, confondendoli come hanno fatto i beat. Questo spiega pure il fraintendimento freudiano, da cui non s'è districato nemmeno il genio di Carmelo Bene, l'equivoco tantrico-sensuale della lettura di alcuni testi e rappresentazioni, ad esempio Bernini, di mistiche come Teresa d'Avila; non troppo distante dal vero, quasi schopenhaueriana l'interpretazione dello stimato amico Emanuele Sabetta: la musica, appunto come profilava il diletto Arthur, è sorella dell'ascesi: "oltrepassa le idee" e quindi, quella vera di musica, ci conduce nello stato di Nirvichara Samadhi, di consapevolezza senza pensieri, lo stato di Turya, il quarto stato di coscienza, al di là, appunto, delle manette della mente. La grazia del silenzio meditativo.

La sintomatologia descritta è quella del risveglio dell'energia Kundalini, secondo gli insegnamenti del maestro Shri Mataji Nirmala Devi (da me personalmente sperimentata).
Un omaggio doveroso, dunque, senza alcun intento di proselitismo ma come atto di onestà intellettuale, a quello che io considero personalmente il più grande maestro spirituale di tutti i tempi:




Ecco il racconto:



MORNING MEDITATION



Chiuse gli occhi.
Attendeva l’invasione.
L’esercito immenso, da sempre schierato ,  scatenò le orde,  che eruppero   come cascate di vermi brulicanti. Affanni domestici, ricordi strazianti,  vane ambizioni,  si rincorrevano selvaggi  all’assalto, come scimmie urlanti in un vortice stordente. Fiamme s’alternavano a improvvise arsure, un coltello arroventato infieriva nelle carni.  Folle di volti sfregiati da smorfie,  una babele di dissonanze a rimestare in sacche purulente di memoria. Morsi, punture, sottili supplizi d’antichi nemici.
  Un corteo di bocche voraci lo avvolse in una risata infernale.
 Sorrise, senza scomporsi.
Le osservò svanire,  come polverizzate dal  passo indifferente d’ una zampa d’elefante. Qualcosa, con dolce pazienza, scioglieva quei dolenti nodi. Un balsamo sulle ustioni della colpa e del rimpianto. Ghiaccio che spegne la furia.
Dalla culla un vagito.  L’accordatura del violino.
Rimase mero testimone.
Assiso nella tempesta, l’oceano si schiudeva al suo passaggio.
Onde di  quiete ridente scaturivano dal profondo.
Carezze di beatitudine danzavano lungo la schiena come risonanze d’un’arpa.
Una  castissima esplosione di puro piacere, come una crescente colonna di bellezza, lo attraversava in una placida ascesa.
Svuotamento senza dispersione.  
Vide il gioco, illusione e meraviglia.
Dissolti i sensi in un appagamento senza desiderio, contemplò lo splendore immacolato.
La mente ormai specchio concavo del Tutto.
Un anfiteatro di cristallo, coppa vuota pervasa da un oceano di silenzio.
Un tempio  in cui una Regina incedeva solenne,  nell’intatta adorazione degli astanti, verso il suo trono.


Si alzò, prese la valigetta, andò al lavoro.