mercoledì 30 luglio 2014

INTERVISTA A SIMON BISLEY SU FUMETTOLOGICA!

Quando nei primi giorni di Liceo incontrai  per la prima volta un ragazzino geniale e, all'epoca, capellone, destinato a diventare un fratello acquisito (Lorenzo Ceccotti), indossare una maglietta di Lobo, non avrei certo immaginato di ritrovarmi vent'anni dopo a discettare di Storia della Chiesa e dell'Archetipo della Grande Madre con l'inventore di quel personaggio violento e oltraggioso.


 Durante il Comicon di Napoli, grazie alla cortesia di Alessio Danesi, ho avuto la possibilità di incontrare in carne e ossa, allo stand della RW Lion , un uomo che nella mia mente apparteneva al mondo dei sogni e degli eroi: Simon Bisley.
Un nome che, nelle irrequiete battaglie dialettiche dell'adolescenza, usciva fuori come una bandiera, come un codice di riconoscimento, un segnale d'intesa fra iniziati del fumetto.
Bisley è un vulcano ambulante, un terremoto che si sposta imprevedibilmente per gli androni di fiere e alberghi, col passo incerto e pesante di chi è sostanzialmente perennemente ebbro.
Durante la consueta festa serale, nell'esaltazione del ballo pogo, viene messo al tappeto involontariamente da Daniele Gud Bonomo.
Le ripercussioni simboliche di tale gesto sono di per loro evidenti.
Gud mette al tappeto Lobo.
Come dice Bob Marley, citando un discorso di Hailé Selassié: "We are confident in the Victory of Good over Evil".
(C'è una foto che documenta l'abbraccio fra i due, i miei segugi la stanno scovando).


Ma torniamo all'incontro con Bisley.
Camicia a quadrettoni grunge, che potrebbe anche essere da Redneck, sguardo penetrante quasi minaccioso, un sorriso da bambino felice che fa da contraltare alla corpulenza solida e al proverbiale temperamento incandescente.
La sua voce, cavernosa e potente come quella di un Tom Waits reinventatosi tenore, prorompe in un inglese quasi incomprensible, un argot anglosassone, da contadino coltissimo, ritmato dagli accenti regolari di un turpiloquio vivace e perentorio.
Lo incontro accanto a Riccardo Corbò, col quale ci alterniamo nelle domande (quella sul revisionismo è sua!), nel nostro inglese insieme tecnico e imperfetto.
La conversazione, quando la si riascolta, sembra sia occorsa tra Chico Marx, Carlo Croccolo e Howlin' Wolf.


Bisley è assediato dai fan, si scusa dicendo che ha da fare con un imbecille, io gli dico "Ma ce l'hai con me o con lui?", lui dice "Lui! Ma anche tu!", scoppia a ridere e poi dice "Pure io sono proprio un imbecille", e in un crescendo di compassione schopenhaueriana: "Siamo tutti una massa di imbecilli".
In realtà, il termine è quello usato da Guccini in una celebre strofa di Canzone quasi d'amore


Quando inizia a parlare è il classico fiume in piena, a nulla valgono i segnali per farlo smettere, vista la fila ormai ingestibile dei fan accorsi per una dedica, lui vuole finire il suo ragionamento.
La sera, quando lo reincontro nel suo albergo, mi dà una pacca sulla spalla che a momenti mi ritrovo nella piscina del cortile interno, mi guarda negli occhi ripensando all'intervista e dice: "That was fuckin' fantastic, man!"
La sua consueta esuberanza? Ai posteri l'ardua sentenza...
Giudicate voi, leggendola QUI
Buona Lettura!

P.S.
I miei abili segugi hanno recuperato lo scatto dell'Eterna Lotta tra il Bene (Daniele Bonomo) e il Male (Simon Bisley)...

venerdì 25 luglio 2014

PASSATO, PROSSIMO - Intervista a Emanuele Rosso



Intervistare Emanuele Rosso è stato insieme gradevole e strano.
Gradevole perché è un conversatore vivace e garbato, strano perché ho sempre pensato a lui come intervistatore. Abbiamo diviso insieme la rubrica #tavolidadisegno su Fumettologica,
e ora trovarmi a porre a lui domande simili a quelle che abbiamo posto per mesi a tanti suoi colleghi mi ha fatto spontaneamente sorridere.
L'occasione è stata la pubblicazione del suo libro, Passato, Prossimo (per i tipi della Tunué) racconto poetico e malinconico di una storia d'amore finita male e dei disperati tentativi del protagonista di salvarla viaggiando a ritroso nel tempo. 
Emanuele e il sottoscritto non abbiamo esattamente gli stessi gusti e orizzonti.
Ci unisce in realtà l'ardente fede estetica nell'Incarnazione del Tennis sulla Terra, Lord Roger Federer.
Ma non potrei definirmi un patito di fumetto "intimista", di storie d'amore adolescenziali.
Per quello che riguarda i gusti musicali, a dirla tutta, se fossi un responsabile di Guantanamo proporrei l'ascolto del rap italiano come forma di tortura estrema per i prigionieri più riottosi a confessare.
Ciò nonostante, Emanuele sa raccontare questo e altro con grande lucidità e serena intelligenza.
E ciò rende gradevole e degno di attenzione qualsiasi argomento.
 Buona Lettura!

Innanzitutto, spero non sia una storia autobiografica!

In parte, lo è, devo ammetterlo, purtroppo...

Mi spiace!

(sorride) Però non sono contrario alla trasposizione o trasfigurazione letteraria della propria esperienza, credo sia la base di tutte le storie. Sono contrario all'autobiografismo un pò troppo esplicito, dove per intenderci ci si guarda l'ombelico. Se c'è trasfigurazione narrativa e quindi si conferisce un senso alla propria esperienza lo ritengo interessante, quello era il mio intento quando ho iniziato la storia. Non avrei mai pensato di mettere me stesso come protagonista, volevo raccontare una storia d'amore, raccontare la mia esperienza e in qualche modo la mia "espiazione".

La famosa funzione catartica dell'arte...


Non so se effettivamente catartica...però ritengo che almeno tre quarti delle storie a fumetti, a parte quelle concepite nell'industria o per mero intrattenimento, nascano dall'esigenza degli autori di esprimere nodi interiori e in qualche modo liberarsene. Il discorso vale anche per me.

Emanuele Rosso

Ci sono evidentemente dei riferimenti a Ritorno al Futuro...
Certo.



Ma a me ha anche fatto pensare a un film geniale, tradotto sciaguratamente in italiano Se mi lasci ti cancello, mentre il titolo originale è un verso meraviglioso di Alexander Pope, The Eternal Sunshine of the Spotless Mind...


Certo, sono i due riferimenti principali. Mi è sempre piaciuta l'idea della decostruzione di una storia andando all'indietro. Mi è piaciuto molto il film quando è uscito, non sono andato a riguardarlo durante la composizione del libro, ma sapevo che l'atmosfera poteva ricordarlo. Era interessante raccontare la storia d'amore al contrario. È vero che ci sono altri elementi,-come l'avventura, il protagonista che prova in ogni modo a riconquistare la donna amata e perduta, ma l'ispirazione principale era raccontare una storia d'amore in maniera diversa. Per questo, ci sono momenti decontestualizzati, stralci della storia che magai possono essere intimi, evocativi di esperienze che tutti hanno vissuto.



Ho apprezzato molto il finale, in cui sorprendentemente torna tutto...

Quello è l'aspetto più difficile, quando ti avventuri nei viaggi nel tempo: sono affascinanti ma complicati. Da cui la necessità dello "spiegone" e la mia teoria sui viaggi nel tempo. Francamente, non so se sia originale, ma a mia memoria non conosco storie con dinamiche simili, che se ritorni indietro nel tempo si cancella tutto...quella era la mia gag per consentire di far tornare tutto in ordine!


A quale progetto stai lavorando ora?

Ho un'altra storia già scritta e scalettata, ma non so quando mi deciderò a lavorarci. Sarà sempre una storia d'amore, sempre per adolescenti. Una scelta dettata sia dalla mia indole, ma anche dal fatto che secondo me è una fetta di pubblico e di argomento poco trattata nel fumetto italiano, la cosiddetta sezione "young adults", che nella letteratura va fortissimo ad esempio.In letteratura designa i libri per teen-ager, da Harry Potter in su per intenderci, nel fumetto praticamente non è presa in considerazione, se non dal manga. Ma quest'ultimo è un genere talmente connotato che appare improbabile la circostanza in cui un lettore di manga diventi un lettore, per esempio, di Gipi! Secondo me c'è bisogno di "costruire" questo pubblico. La storia racconterà, in particolare, gli immigrati di seconda generazione e le diverse possibilità di integrazione. Ho partecipato ad alcuni laboratori di fumetto nelle carceri minorili a Bologna ed è stata un'esperienza molo difficile ma molto ricca emotivante. E poi, come ultimo elemento, voglio raccontare la scena del rap italiano, sono cresciuto ascoltandolo, ed è una scena che sta rinascendo e merita di essere raccontata.

giovedì 24 luglio 2014

DON PASTA dal vivo a Roma!




L'ultima volta che avevo pianto e riso contemporaneamente ad uno spettacolo era stato nel 1998, per il Pinocchio di Carmelo Bene.


Il miracolo si è nuovamente verificato due sere fa, per grazia di Don Pasta, a Villa Mercede a Roma.
Un uomo capace di commuoverti mentre soffrigge i friarelli merita davvero tutta la nostra attenzione.

Quando poco più di un anno fa chiesi, a questo adorabile Dj cuoco filosofo e performer naturale, quali erano le sue riflessioni sullo strutto (in QUESTA fluviale conversazione), non pensavo che un giorno mi sarei ritrovato a urlare tre volte col pugno chiuso con lui, al termine di un suo comizio improvvisato su una sedia: "Strutto! Strutto! Struttoooo!".
Dal soffritto a Bob Dylan, in mezz'ora si manifestò l'agnizione di una empatia fraterna.


Non c'è miglior modo di omaggiare un artista e rispettare un amico che quello di seguire i suoi consigli. Per cui, per una volta, arginerò la mia grafomania e vi presenterò solo alcuni lampi, spero illuminanti, di sensazioni sulla sua accalorata performance.

Don Pasta si è probabilmente calato con una fune sul palco, visto che lo spettacolo si svolge nella "sua" S.Lorenzo, a pochi passi dalla sua abitazione.
Ogni suo gesto trabocca entusiasmo, conoscenza, ironia, un umanissimo e fiero amore per ciò che è bello. La sacrosanta rabbia verso l'ingiustizia imperante è convertita sapientemente in uno sberleffo rinfrancante, che pur essendo genuinamente popolare possiede una inesorabile raffinatezza.


Mentre la band (bravissimi tutti!) incanta il pubblico con la straziata poesia metropolitana di Coltrane, Don Pasta prepara il soffritto, con ieratica concentrazione, e fa la pasta a mano, frenetico come un fauno eppure solenne come l'officiante del più antico culto.
Mescola gli elementi sulla padella senza appendici di legno, con le nude mani, come uno sciamano che controlla gli elementi, reso immune al dolore dalla passione che infonde in ogni minimo gesto dell'alchimia culinaria.
Lo stregone, taglia, sminuzza, impiatta al ritmo della musica, divenendo tableau vivant, significante immediato dell'arte quotidiana di nutrire chi si ama.
Quando, al culmine dell'intuizione sinestetica, porta il microfono sulla padella soffriggente, l'effetto sonoro, mescolandosi alle variazioni jazz del sassofono, è sospeso tra una sperimentazione à la Tom Waits e un brano strumentale da meditazione.
Più volte, durante lo spettacolo inframezzato dai suoi monologhi colti e paradossali sul valore rivoluzionario della cucina popolare, ci appare come Eric Cantona posseduto da un Lenny Bruce nostrano, altrettanto sanguigno ma più benevolo dell'originale.
L'empatia assoluta si realizza quando, a piatto concluso, si aggira per il pubblico imboccando gli astanti come un sacerdote blasfemo: "Hai peccato? Peccherai?". Ma nella sua goliardica irriverenza anticlericale non c'è nulla di satanico o negativo, è l'esplosione oltraggiosa e vitale della gioia di vivere. La gratitudine, il rispetto nei confronti della Madre Terra e la creatività messa al servizio dell'amore (uno dei più riusciti refrain della serata è "offrire qualcosa che si ama a qualcuno che si ama") rendono Don Pasta una molotov ambulante di energia positiva, pronta a ricaricarsi ad ogni pasto. C'è molto più spirito autenticamente religioso nell'imboccare un amico con dei friarelli ardenti che nell'inganno di secoli di dogmi artificiali.

Fotografia di Andrea Coppola

Al termine dello spettacolo, ci concede l'anteprima dell'introduzione alla sua ultima fatica, Artusi Remix (alla quale abbiamo avuto l'onore di partecipare QUI), sorta di enciclopedia tribale delle ricette antiche popolari, tentativo disperato eppure trionfale di conservare nell'era dei fast-food il patrimonio immenso della cucina popolare.
Le parole, appuntate poco prima sullo smartphone, vengono declamate con intenso orgoglio, e andrebbero trascritte, stampate e messe in evidenza in ogni classe elementare.
Quando Don Pasta ribadisce l'urgenza di non omologarsi mai, di mantenere la propria fiera diversità e identità, nel contempo opponendosi ad ogni becero fascismo o razzismo, i brividi salgono lungo la schiena come durante una sessione meditativa sull'Himalaya.

E a noi non rimane che andarlo ad cercare a fine show, meravigliosamente sudato e intriso di olio, con le macchie di farina che campeggiano come medaglie sulla maglietta de La Parmigiana e la Rivoluzione, e abbracciarlo come un fratello ritrovato.

mercoledì 23 luglio 2014

Shakespeare's Women - Intervista a Victor Vertunni e Monia Giovannangeli

Quando annunciavamo l'intervista successiva al nostro precedente articolo (QUI) per "domani", ovviamente ci riferivamo a un domani lavorativo!
Tornati dalle vacanze (nelle quali abbiamo accumulato materiale per un anno di articoli), ecco la conversazione promessa, perfettamente sincronizzata col nuovo evento organizzato dai protagonisti dello spettacolo Shakespeare's Women, Victor Vertunni e Monia Giovannangeli.
Buona Lettura!


CZ Un noto testo di Jan Kott parla di Shakespeare nostro contemporaneo. Come ogni autentico classico, egli è perennemente attuale. Qual è l'aspetto che vi ha ispirato nella costruzione di questo spettacolo?

Monia Giovannangeli
 Sono rimasta sempre colpita dalla capacità di Shakespeare di comprendere ed esprimere, nei suoi diversi aspetti, l'animo femminile. Inoltre, le problematiche che egli descrive relativamente alla figura e al ruolo della donna sono ancora le stesse che viviamo al giorno d'oggi.
La sua attualità è assolutamente indiscutibile.

CZ Qual è la visione della donna che emerge dallo spettacolo e dalla vostra interpretazione dei personaggi shakespeariani?

MG Principalmente, abbiamo cercato di fare un viaggio attraverso figure molteplici, affidandoci ad aspetti che potessero corrispondere a diversi elementi, in modo da poter avere una gamma di colori completa. Ciò che emerge è sempre questo desiderio di ritrovare ed affermare la propria essenza, il ruolo archetipico della donna. Questo è il senso del percorso, la consapevolezza di sé che ogni donna in primo luogo rivela a Shakespeare stesso. Sono pressoché tutti personaggi fortemente consapevoli, a parte Lady Macbeth, a cui l'autore stesso nel finale rivela il suo fallimento. Shakespeare le si rivolge dicendo:  "Una farfalla le cui ali sono state strappate muore nell'agonia e nella disperazione di non poter più dipingere il cielo con i suoi colori e tu mia dama hai sradicato le tue ali per sostituirle a delle catene".
Il messaggio finale è affidato a Giovanna D'Arco che risponde alla domanda collettiva su cosa sia effettivamente il ruolo e il valore della donna. "Ciò che è davanti a voi è in realtà dentro di voi". L'energia interiore è femminile. Nello spettacolo, l''effetto corale delle donne è importante.  La figura della donna viene espressa in tutte le sue diverse sfaccettature. L'altro aspetto importante è il viaggio interiore di Shakespeare, l'evoluzione della sua consapevolezza nell'incontro con questi differenti volti dell'Eterno Femminino.


CZ Victor, noi ti conosciamo come grande studioso e interprete di William Blake.
 Ora, affronti il più grande autore in lingua inglese. Quali sono secondo te le affinità possibili fra i due geni?
Victor Vertunni
 Per me Blake ha sempre rappresentato l'archetipo dell'Artista. Un artista puro, privo di quella vanità, di quella tendenza autoreferenziale, o di quella pulsione autodistruttiva, che hanno poi caratterizzato certa visione moderna dell'artista. Egli aspirava ad esprimere con un linguaggio comprensibile delle verità universali. Questa, che potremmo definire una "poetica dell'imperfezione", profondamente umana, consente più facilmente la traduzione in altre forme (musica, canzone o teatro) dei versi di Blake, rispetto alla perfezione inarrivabile del linguaggio shakespeariano. Per Blake lo scopo dell'esistenza è la vita stessa, creare quella "Divina Umanità", che va a contrastare la figura distante e minacciosa di un Dio separato dall'uomo dipinta dalle religioni tradizionali. In realtà, per lui Dio è presente come un seme nella natura umana, e va risvegliato, amato e nutrito, espandendosi oltre la nostra mente, riabbracciando l'intera Creazione, intrecciandosi con tutti gli altri esseri viventi.  È un unico organismo. Questa organicità della concezione del mondo e dell'universo ha radici antichissime. È straordinario che venga riproposta da un'artista, non da un saggio, un profeta, un mistico, magari attraverso complicati simboli esoterici. Blake è un uomo moderno che parla di Dio non come una figura distante, ma come un amico. Questa empatia che dimostra verso l'intera umanità è molto profonda e autentica, e non solo ci conforta ma ci ispira a riscoprire e diffondere una sorta di Nuovo Umanesimo, concetto che altrimenti rimarrebbe molto astratto. Egli invita ognuno di noi a prendere atto della propria forza. Questa sua imperfezione è la sua originalità. La mentalità accademica induce gli artisti a temere l'errore, al timore del giudizio altrui, in base a un canone artificiale. La creatività è qualcosa di molto più grande e libero, utilizza qualsiasi forma per esprimersi, la musica, il teatro, la pittura etc.


CZ Qual è dunque per te il senso della creatività?
VV La creatività ha senso solo se comunica qualcosa, quindi colui che crea deve essere consapevole di questo collegamento del suo sforzo creativo. Ciò mi ha indotto a mettere in musica i versi di Blake.
Per quello che riguarda Shakespeare, ovviamente prendere i personaggi femminili come ha fatto Monia e rimescolarli è stato un atto coraggioso, anche rischioso. Ma non è stato inteso come un gesto arbitrario.Comunque la visione della donna di Shakespeare nella sua vastità non può essere completa, poiché non è una donna. Il modello maschile dell'espansionismo, del progresso inteso come dominio, che purtroppo regna nella società, nasce da una visione fondata sulla divisione. Addirittura, la donna per essere emancipata deve diventare come un uomo! Il modello non cambia, siamo sempre all'interno di questa visione maschile squilibrata. Quindi, nello spettacolo, il percorso di Shakespeare è un viaggio interiore, attraverso l'incontro con i suoi personaggi, per scoprire il potere femminile dentro di lui.
Finché l'uomo non riscoprirà questa sua parte femminile, potremmo dire sacra, non sarà mai completo.

CZ Quali sono i valori eterni che intendete rappresentare nel Theatre of Eternal Values?
VV Il valore e il diritto ad esistere, ed a condividere nel presente tutto ciò che è vitale. Questo viene celebrato nello spazio teatrale che rappresenta l'unione collettiva. L'attore diventa un canale per le forze vitali che nutrono la coscienza umana. Questa è la nostra idea.

MG Il valore è quello di risvegliare la consapevolezza, sia essa maschile o femminile. Non solo l'uomo deve comprendere la donna, ma in primo luogo la donna deve comprendere il suo valore per poter poi integrare le sue qualità con quelle maschili. Il valore di questo spettacolo non è quello di dare risposte a domande, ma risvegliare una consapevolezza che possa far trovare le risposte alle domande esistenziali profonde all'interno di ognuno di noi. Una consapevolezza che conduca ad una visione completa, integrata.

VV Questi valori eterni non sono solo condivisibili, ma realizzabili. Il teatro è un processo che risveglia in un certo senso questi valori dentro di noi. Il dramma li espone e li rivela, in quel momento essi emergono nella coscienza dello spettatore. La rappresentazione teatrale come estensione dello storytelling ancestrale acquisisce la sua importanza nell'immediatezza del contatto con gli altri esseri umani nel luogo teatrale. La risonanza del contatto dal vivo non può averla il cinema, o qualsiasi performance registrata. C'è l'ha certamente la musica dal vivo, ma è differente: la musica ti lascia una memoria della sensazione, ma non la struttura che ti ha condotto alla sensazione. Il teatro ti lascia una storia, dei simboli, delle verità che sono concettualmente ripercorribili nella mente. Il teatro è il luogo d'incontro di differenti forme artistiche, quando si trova l'armonia e la partecipazione del pubblica diventa un'esperienza magica.
I nostri valori non sono una serie di codici etici. Senza empatia, non può esserci una condotta condivisa.
Il lògos è asciutto, il pathos è soggettivo, il teatro crea l'equilibrio e l'empatia.



Avrei voluto ascoltarli per sempre, la voce di Victor è calda e ipnotica e crea una mescolanza affascinante con quella garbata e penetrante di Monia.
Chi vuole può immergersi nella grande visione culturale dei due artisti nel prossimo weekend.
sono, infatti, fra gli organizzatori del Festival della Cultura dello Spirito (informazioni QUI).


Chiariamo un punto fondamentale.
Chi scrive è allergico alla pseudo-cultura fricchettona come all'orticaria cronica.
Mi oppongo ai facili sincretismi della mentalità relativista e falsa democratica ("ogni percorso a suo modo raggiunge la verità", blah!), alla retorica "peace & love", al "volemose bbene" da ritardati finti sinistroidi (che è il vero campo fertile per la negatività destrorsa), ai lassativi minestroni New Age, a tutte le scorie buoniste post-hippy.
Mi oppongo, ho detto, e intendo con un ariete dalla punta infuocata e rotante intinta nel napalm.
Ma qui è tutt'altra storia.
La gioia è autentica, la bellezza è reale, la ricerca culturale è viva. la qualità dei musicisti, a volte, è davvero molto alta.
Soprattutto, l'esperienza della meditazione è profonda e autentica.
Chi ha dunque possibilità, si rechi ad Albera Ligure, in provincia di Alessandria, il 26 e il 27 Luglio.
Buona visione.


lunedì 7 luglio 2014

Shakespeare's Women - Theatre of Eternal Values, tra Blake e il Bardo




Seguo con passione Victor Vertunni e il Theatre of Eternal Values da anni. Appare obbligatorio segnalare, su un blog ispirato a un verso di William Blake, il nuovo spettacolo di una compagnia che ha, fra i suoi principali ispiratori, uno degli interpreti più rispettosi e preparati sul grande poeta gnostico inglese.
Potete verificare QUI.



Vertunni, da almeno venticinque anni, si è dedicato, con l'entusiasmo del devoto, a ricostruire e reinterpretare i Songs of Innocence and Experience di Blake, in una continua ricerca di variazioni musicali. La sua profonda e fascinosa voce da profeta del palcoscenico, unita a uno spontaneo talento melodico, non sono le uniche doti che gli consentono una resa degna, in grado di non intaccare lo splendore dell'originale. È più una profonda consonanza interiore, una sottile comunione spirituale, ad autorizzarlo a mettere in musica i versi, per molti, oscuri e criptici di Blake, restituendogli la loro innocente letizia interiore, e l'ardente visione spirituale, ben lungi dagli equivoci maledettistici in cui spesso viene imbrigliata una delle più alti voci poetiche di tutti i tempi.


Negli anni scorsi, il TEV (Theatre of Eternal Values) ha dedicato un bellissimo spettacolo, ritmato dalle interpretazioni di Vertunni, al cantore mistico finora menzionato, intitolato Divine Humanity. Stavolta, è il turno di tributare omaggio all'eterno Bardo, l'immenso William Shakespeare. Un nome che come ben pochi altri (Omero, Dante, Michelangelo, Mozart, Bach) è sinonimo di genio assoluto e arte pura. In un'epoca di urticanti e velleitarie versioni "contemporanee" (che inseguono una superficiale originalità nei costumi e nelle scenografie, senza minimamente apportare alcuna novità interpretativa), lo spettacolo del TEV colpisce fin dall'approccio, innovativo e insieme rispettoso del gigante shakesperiano.


Nell'impossibilità di aggredire il più grande autore di teatro di tutti i tempi senza rimanere rovinosamente sconfitti, la compagnia sceglie un approccio laterale, antologico, eppure in grado di lasciar emergere nuove angolature e sepolte verità, una ricchezza nascosta e vitale nel grande giacimento di bellezza poetica a cui si attinge. In Shakespeare's Women, lo sguardo degli autori contempla i grandi personaggi femminili del Bardo, da Ofelia a Titania a Lady Macbeth, volti diversi eppure armoniosamente compenentrati fra loro, infinite sfaccettature del diamante spirituale che possiamo chiamare Eterno Femminino.

Abbiamo incontrato Vertunni e sua moglie Monia Giovannangeli, autrice, interprete e danzatrice dello spettacolo. Il loro connubio artistico e umano, l'unione di due personalità opposte e complementari, appare come un'alchimia primordiale: sembrano proprio essere stati creati e benedetti dagli Dèi per vivere insieme una vita d'arte illuminata. Domani vi presenteremo la nostra conversazione.
Intanto, per chi è a Roma, raccomandiamo di vedere l'ultimo spettacolo, stasera alle 23.30 a Villa Mercede, durante il Rome Fringe Festival.

sabato 5 luglio 2014

CARACALLA o il mito di Alessandro - di Andrea Foschini

I venticinque lettori manzoniani di queste pagine si affrettino a cogliere una straordinaria occasione per spezzare le manette delle loro menti. 
Un nuovo parametro stilistico, una linea di confine gettata spudoratamente oltre il limite usuale s'impone alla loro attenzione, con tutta l'abbagliante impertinenza di un autore sfrontatamente sicuro di sé.
Chi considerasse le costruzioni sintattiche che regolarmente vi infliggo come prolisse, eccessivamente barocche o tortuose, beh, ora avrà da inviarmi una lettera ufficiale di scuse formali, con l'imprimatur dell'Accademia della Crusca.
Rispetto alle pagine del libro che sto per introdurvi, il più cervellotico dei miei costrutti apparirebbe un passo di Tacito sintetizzato per essere inviato per telegramma.



Quando a metà degli anni '90 Carmelo Bene tornò a calcare le scene, chi scrive non perse l'occasione di contemplare il miracolo più volte, al cospetto di quella sfinge scostante e fascinosa, incarnazione di un'idea, eterna e per questo inattuale, del Teatro. Eppure già allora, con dolore, s'intravedevano i sintomi della grande piaga a venire: pletore di proto-emo, masse di diversi (tutti uguali), dai profili ostentatamente dark, goffi proseliti che accostavo più al pagliaccio Marilyn Manson che ai dandy baudelariani che intendevano scimmiottare, prendevano d'assalto i teatri, come fossero al concerto di una rockstar alternativa.
La responsabilità, che schiaccia come un macigno la mia coscienza culturale, è anche del sottoscritto, il quale, quindicenne folgorato dalla visione televisiva in diretta della ormai celebre puntata del Maurizio Costanzo Show del '94 (in cui CB appare al sommo della brillantezza dialettica, annichilendo la platea di zombie, come successivamente li appellerà), ebbene si, proprio il sottoscritto, preso da giovanile entusiasmo, diffuse l'incomprensibile Verbo a tutti i suoi conoscenti.


Ecco, dunque, d'improvviso per la Capitale disseminarsi impacciati cloni, cantilenando in una improbabile imitazione citazioni da Laforgue, Derrida, Deleuze, emulando tristemente pose e smorfie dell'incompreso Maestro. Sedotti dalla superficie (l'oltraggio antiborghese nella grande eleganza formale), incantati da alcuni vezzi estetizzanti, gli sfuggiva la sostanza ardente del de-pensiero beniano: il superamento dell'io, la ricerca quasi mistica dell'attimo svanente che conducesse al di là dei limiti del pensiero, dell'illusorio concetto di identità.
Dunque, che conducesse ben oltre anche lo stereotipo ottocentesco, fascinoso ma comunque limitato, dell'artista tutto genio e sregolatezza: un equivoco che egli intendeva obliterare nella macchina attoriale. E col quale veniva scioccamente identificato da questi maldestri, improvvisi, e improvvisati, devoti.
Solo due benedizioni consentono di accostarsi al gigante beniano senza esserne fagocitati fino a diventarne uno sgraziato simulacro: una forte indipendenza intellettuale e una profonda cultura classica.
Andrea Foschini è stato graziato da entrambe.

Questa prolusione iniziale credo sia dovuta, poiché leggendo le incendiarie pagine del suo Caracalla o il mito di Alessandro, non mi è potuto non venire in mente questo frammento delirante tratto dal film Claro di Glauber Rocha



in cui Bene appare al culmine della sua follìa estetica: ebbro, vestito da signora, mentre esalta, appunto,  la decadenza sadiana dei pretoriani ("la decadenza è bella"), ritmando, con tempi comici impeccabili, le alte riflessioni con triviali commenti sul gelato che sta gustando.


Pur avendo lo stesso gotha di riferimenti obbligati d'ogni adepto beniano (Francis BaconPierre KlossowskiVan Gogh via Artuad), ribadisco che la grande cultura di Foschini, e una intelligenza indubbiamente feconda, gli consentono d'affrancarsi da qualsiasi rischio derivativo, delineando una fortissima personalità autoriale.
Il grande precedente dell'opera è, indubbiamente, l'Eliogabalo di Antonin Artaud, il libro forse dall'incipit più memorabile a nostra memoria: "Se intorno al cadavere di Eliogabalo, morto senza tomba, e sgozzato dalla sua polizia nelle latrine del proprio palazzo, vi è un'intensa circolazione di sangue e di escrementi, intorno alla sua culla vi è un'intensa circolazione di sperma. Eliogabalo è nato in un'epoca in cui tutti fornicavano con tutti; È né si saprà mai dove e da chi fu realmente fecondata sua madre. Per un principe siriano, quale egli fu, la filiazione avviene attraverso le madri ; – e, in fatto di madri, vi è intorno a questo figlio di cocchiere, appena nato, una pleiade di Giulie; – e ch'esse influiscano o no su un trono, tutte queste Giulie sono delle fiere puttane."

Sulle orme di Artaud, Foschini mette la sua grande competenza storica al servizio di una immensa decostruzione del concetto stesso di Storia. Tutto il racconto della vita di Caracalla, come sospeso in un estenuato delirio onirico, è la testimonianza colossale di un fallimento, di una sfida impossibile destinata alla catastrofe: re-incarnare la grandezza leggendaria di Alessandro, essere colui che non si è, differire la propria disprezzata identità nella proiezione mitica di un Altro, divinizzato, smarrito in un Altrove irrecuperabile del labirinto di illusioni che chiamiamo Storia.
Lo stile di Foschini, complesso, barocco, sovraccarico fino a divenire irrespirabile, è il significante perfetto per rendere, in uno sfibrante crescendo musicale, il disperato anelito all'Impossibile dell'Imperatore tocco e sanguinario.
L'autore sottopone il lettore ad un allucinante tour de force:  frasi lunghe come pagine, costruite nel testardo ignorare l'utilizzo della virgola (per Cortàzar, "la porta girevole del pensiero"), nella sistematica moltiplicazione di subordinate e frasi oggettive, in una mostruosa, dissennata costruzione ipotattica che dura per tutto il testo.
Eppure, in questa ostentata farneticazione sintattica, egli è in grado di restituire, non solo, il lucido delirio delle  capricciose stragi di massa imperiali, ma anche lo splendore rovinoso, l'orgia autodistruttiva della decadenza romana.
L'apice della gloria nel suo spettacolare disfarsi nel fango.
Un nihil majakovskijano sulla Storia, alla ricerca del sublime attimo, l'Aion degli Stoici, opposto ai vincoli opprimenti di Kronos.

Anche dalle interviste di Foschini, trapela una esaltazione intellettuale, una visione antistorica da pagano postmoderno (per quanto queste etichette siano contraddette dall'antistoricità stessa della visione, ma il linguaggio, si sa, è limitata convenzione), una proiezione ideale che non ci sentiamo di sposare del tutto
Ma, tornando a una delle frasi meno ricordate di quella memorabile puntata di CB da Costanzo, se è vero che "c'è bisogno davvero di miti, c'è bisogno davvero dell'impossibile quello che noi siamo, la vita è impossibile la vita è invivibile e così anche che l'arte sia davvero irrespirabile", Caracalla o il mito di Alessandro è un'opera d'arte assoluta.



mercoledì 2 luglio 2014

TUTTI GLI ARTICOLI DI GIUGNO



Giugno, che sei maturità dell'anno, di te ringrazio Dio: 
in un tuo giorno, sotto al sole caldo, ci sono nato io, ci sono nato io... 
E con le messi che hai fra le tue mani ci porti il tuo tesoro, 
con le tue spighe doni all' uomo il pane, alle femmine l' oro, alle femmine l' oro... 
Francesco Guccini, Canzone dei dodici mesi



Cari lettori,
visto l'apprezzamento per il riassunto mensile precedente, credo che diverrà una gradita consuetudine.
Iniziamo con gli articoli pubblicati per FUMETTOLOGICA (per la quale abbiamo in serbo numerose sorprese a venire!):

- Abbiamo intervistato Rita Petruccioli in occasione della presentazione della sua mostra LEGENDA (nei prossimi giorni il completo resoconto su queste colonne digitali!) QUI


- Abbiamo intervistato il Prof. Alfredo Verde in occasione dell'introduzione di Corpicino di Tuono Pettinato (ne abbiamo già parlato QUI) come testo universitario QUI

-  Abbiamo intervistato Cosimo Miorelli, al cui talento dedicheremo presto maggiore attenzione, per #tavolidadisegno, QUI

Su LINKIESTA invece vi abbiamo parlato de:
La gigantesca barba malvagia di Stephen Collins (che avevamo già intervistato) QUI

Su questo blog:
- Abbiamo iniziato col trionfale ritorno di LRNZ che ha illustrato per noi l'omaggio filologico a The Smiths QUI


- Abbiamo parlato del progetto L'Inverno della Civetta, in particolare della nostra vecchia conoscenza Amal, QUI

- Abbiamo raccontato la grande emozione di vedere The Dark Side of the Sun al cinema QUI



- Abbiamo omaggiato i 50 anni dei The Beatles in America, con delle preziose immagini a fumetti per le quali ringraziamo Riccardo Corbò, autore di due bellissime puntate a tema su Rai Tre (trovate tutto QUI)

- Abbiamo raccontato il grande ingannevole spettacolo dei Rolling Stones al Circo Massimo QUI


Vi confessiamo che abbiamo una mole spaventevole di materiale pregresso da riversare su tutte le testate menzionate.
Per cui, recuperate il tempo perduto e STAY TUNED!!!