mercoledì 29 ottobre 2014

COMICSDAY - e la scoperta di "Metamorphosis"





Il racconto della giornata
Questa rapida nota  è il racconto di una bellissima giornata trascorsa a Monterotondo presso la Libreria Ubik (QUI la pagina Facebook con tutti gli eventi):  un luogo di lettura incantevole che può vantare un catalogo di qualità peculiare.
Non è esagerato definirla un'oasi di cultura e cortesia, visti i tempi.
Da abituale frequentatore compulsivo di librerie dall'età di 13 anni ho assistito all'inesorabile trasformazione di luoghi culturali storici del centro di Roma da templi della ricerca a supermercati per intellettualoidi (ogni riferimento alla Feltrinelli di Largo Argentina, e di tutta Italia, è puramente voluto), in cui si crede sia postmoderno accostare l'immagine di Pieraccioni a quella di Pasternak.
Dunque, è balsamo la cortese competenza di Chiara Caiò e Lucia Garaio che hanno seguito con grande premura e attenzione lo svolgersi del programma.
Sono state talmente cortesi nei nostri confronti che a un certo punto, contro ogni intenzione e evidenza, durante le presentazioni ci siamo quasi presi sul serio.

Con Alessandro e Francesca Di Virgilio

La giornata è stata ribattezzata Comicsday, organizzata da Alessandro Di Virgilio, una delle persone più garbate e colte di quello che, con un'espressione meritevole della fucilazione pubblica istantanea, viene definito il "fumettomondo" italiano.
Lo ringrazio per la considerazione d'avermi invitato a moderare gli incontri, pur avendo io dichiarato da sempre il mio non essere un esperto di fumetti (riporto ancora e ancora la mia dichiarazione QUI)




Come da programma la giornata è iniziata con Nicoletta Baldari, disegnatrice di Ciak si gira, Geronimo Stilton, e la festosa accoglienza di tanti bambini che hanno imparato con lei a disegnare il loro beniamino (quando si parla di bimbi e personaggi di fantasia il lessico va subito in modalità Istituto Luce). 


                                     
Oltre a sottolineare la grande disponibilità e simpatia di Nicoletta, vorrei consegnare ai posteri un documento eccezionale: la testimonianza unica di un nuovo fulminante talento nel mondo del fumetto italiano.

Finalmente ho trovato un mestiere...

L'incontro successivo è stato con Stefano Simeone, nostra vecchia conoscenza.
Prima dell'intervista abbiamo stipulato un mutuo (e muto) accordo paramassonico per cui avremmo parlato di tutto tranne che dei suoi libri: dalle sentinelle in piedi a Juventus-Roma alla Leopolda al'argomento ontologico di S.Anselmo.
La formula si è rivelata vincente, siamo molto soddisfatti, la riproporremo vieppiù.
Non vi dirò le sue opinioni, saranno un prezioso lascito esoterico per i presenti a quell'incontro indimenticabile.
Consolatevi leggendo QUI e QUI le nostre precedenti interviste.
                            


Esattamente all'ora del tè (considerando un doppio quarto d'ora accademico), è iniziato il terzo incontro.
Alessandro Di Virgilio è passato (pur rimanendo magicamente sulla stessa sedia) da intervistatore a intervistato, accanto alla sua adorabile erede d'arte Francesca Di Virgilio e al disegnatore Mauro Cao.

Mauro Cao
Riguardo a Mauro devo dire una cosa: è una delle poche persone che quando parla di alcuni argomenti (sottoculture e  arti marziali su tutti) ascolto volentieri senza reagire in maniera scomposta.
Un privilegio raro.
Anche in questo caso, vi rimando alle nostre precedenti conversazioni riguardo il loro libro ...E tutto il resto appresso  QUI e QUI.

                           


E veniamo all'ultimo incontro, quello probabilmente più atteso dal pubblico: A Bevilacqua piace...
Giacomo Keison Bevilacqua  era, fra gli autori invitati, forse l'unico che non avevo precedentemente intervistato. 

Con Alessandro Di Virgilio e Giacomo Keison Bevilacqua

 Non certo un ostacolo, considerando la disarmante simpatia di Giacomo e non potendo  il sottoscritto annoverare la timidezza fra i suoi molti difetti.




La scoperta di Metamorphosis
La fama di Keison è legata senza dubbio al personaggio della serie A Panda piace.
Giacomo ha trovato l'Uovo di Colombo del fumetto pop: un personaggio tenero e simpatico (cute, si direbbe in inglese) che esprime semplicemente e liberamente la sua personalità. Un gioco infantile e accattivante, in cui tutti i lettori possono riconoscersi o dissentire sorridendo. Un'intuizione semplicissima ma efficace che apre a uno sviluppo seriale pressoché infinito: innumerevoli le variazioni comiche, alcune riuscite, alcune brillanti, alcune facili, alcune furbe, alcune spiazzanti con cui negli anni Giacomo ha declinato le possibilità del personaggio.
Un'invenzione che ha raccolto un notevole seguito, mostrando (prima del ciclone Zerocalcare) le potenzialità di successo di un certo approccio al fumetto popolare.
Eppure, nel nostro incontro non si sarebbe dovuto parlare solo dell'ormai celebre Panda.
Un altro libro, meno famoso, di Giacomo è la storia a fumetti Metamorophosis, una miniserie in tre capitoli pubblicata verso la fine del 2012 per i tipi dell'Editoriale Aurea.



Confesso che non l'avevo letta.
Confesso che l'ho divorata nel pomeriggio prima della presentazione.
Confesso che mi ha colpito molto.
Mi ha colpito innanzitutto per la scelta, comunque apprezzabile, di rompere il facile schema di A Panda Piace (anzi, dopo questa esperienza narrativa anche le storie del Panda troveranno una nuova formula, più vivace e interessante). Il libro è, di per sé, coraggioso: non solo perché spiazza un pubblico che attende tutt'altro, ma perché affronta tematiche complesse e già trattate ai massimi livelli in tutte le forme. Se i maliziosi potevano accusare le opere precedenti di eccessiva facilità, di adagiarsi sugli allori di un apprezzamento garantito dei lettori, certo questa è tutto il contrario di un'operazione ruffiana.  Lo sforzo è ambizioso fin dalla struttura dell'opera: un modulo ternario in cui, fedele al titolo, la metamorfosi informa sia lo stile (che cambia di scenario in scenario, su diversi piani psichici e temporali) che i personaggi stessi (della ricchezza semantica di questo concetto ne parlammo in tutt'altro modo con Rita Petruccioli QUI).
Bevilacqua attinge dichiaratamente a tutti gli stilemi e moduli della narrazione pop contemporanea, collaudati da serie tv, fumetti di successo, film di culto: la ragazza fragile e adorabile, il trauma infantile, la storia d'amore apparentemente impossibile, il serial killer geniale vittima del delirio di onnipotenza et similia. Il tutto condito dalla sua consueta facilità narrativa, l'umorismo immediato e sempre gradevole, una sapiente gestione di ritmi e colpi di scena.
Giacomo dichiara onestamente tutti i debiti e i prestiti,  tramite citazioni evidentissime o affettuosi omaggi.
C'è però qualcosa di più: l'autore ha qualcosa da dire. Non è scontato, in questi tempi in cui la confezione meccanica di stereotipi viene spesso salutata come una nuova frontiera dell'arte.
Giacomo gioca col fuoco (le citazioni dei miti greci), rischia di scottarsi più volte (cedendo alla tentazione di mostrarci la protagonista nuda mentre si fa la doccia o sdrammatizzando con battutine maliziose l'acme drammatico del racconto), ma alla fine la lettura è sorprendente.
Non è facile trattare una materia come le ripercussioni psichiche di un trauma infantile, quando le orme del Gigante Urasawa  ne hanno già calcato in maniera definitiva il cammino (su Monster un giorno scriveremo un trattato). Per il discorso opposto, dopo il successo planetario del furbissimo Dan Brown mi viene l'orticaria a pensare a un serial killer che manda messaggi cifrati attraverso citazioni dalla cultura alta.
Eppure, il libro funziona.
Appassiona, diverte, sorprende.
Ben vengano tentativi ambiziosi come questo nel fumetto popolare, ben venga il coraggio di differire la propria personalità autoriale, ben vengano la spontaneità e la freschezza di un autore che, pur con molta umiltà, non ha paura di giocare su un livello più alto.
Con l'innocenza del suo approccio, Bevilacqua riesce ad essere molto più sottile psicologicamente di tanti autori "seri". 
Lo ringraziamo per questa lezione di semplicità.
E non vediamo l'ora di vederlo affrontare il totem Dylan Dog.

mercoledì 22 ottobre 2014

Un anno di Fumettologica

L'omaggio sempre intelligente di Tuono Pettinato

 È con grande soddisfazione che celebro oggi il primo compleanno di FUMETTOLOGICA, il Magazine quotidiano di informazione e cultura del Fumetto che in breve tempo si è imposto, oggettivamente, come il punto di riferimento informativo del mondo del fumetto italiano.
Da un lato, mi fa sorridere pensare di essere tra i collaboratori più prolifici, stante che non mi considero per nulla un esperto di fumetti (come dichiarato in tempi non sospetti QUI).
Dall'altro, sono fiero di far parte di una squadra così prestigiosa (senza far nomi, basta consultare l'elenco delle firme che vi pubblicano).



Sono confluito in questa avventura dall'esperienza di Conversazioni sul Fumetto (di cui QUI riportiamo tutti gli articoli) e, come si sarà immediatamente accorto chiunque abbia seguito entrambi i blog, l'approccio fumettologico è stato, soprattutto all'inizio, più informativo che squisitamente critico.
I pochi coraggiosi lettori di questo blog, abituati alle deliranti cascate di subordinate e parentesi discorsive che regolarmente gli infliggo, non faranno fatica a realizzare quale palestra di sintesi e linearità ha rappresentato per il sottoscrivente modellarsi su quel parametro giornalistico.
Per un verso, questa ascesi espressiva mi ha indotto a erompere ancora più sfrenatamente su queste deliranti colonne, dall'altro (si spera) è stato un passaggio obbligato di maturazione stilistica.
Oltre a ciò, FUMETTOLOGICA mi ha dato la possibilità di incontrare di persona autori che stimavo fin dalla gioventù (come Bruno Bozzetto QUI , Dave McKean QUI o Simon Bisley QUI), ricevendone reciproco apprezzamento.
Non è poco.
Ringrazio per questo Matteo Stefanelli e Andrea Queirolo, che mi invitò a collaborare con lui dai tempi di Conversazioni sul Fumetto.
QUI trovate tutti i miei articoli, non solo la rubrica (quasi fissa) #tavolidadisegno che, nel tempo, ho condiviso con altri colleghi (che ricordo nacque da un'intuizione di quel vulcano di Maicol).

Ecco QUI l'articolo che oggi celebra il primo anno della testata.
Ci auguriamo che sia solo l'inizio di una lunga, gloriosa storia di cultura e informazione del Fumetto.
Buona Lettura!

giovedì 16 ottobre 2014

La Trattativa di Sabina Guzzanti - un film importante



Ho visto "La Trattativa".
Lasciate perdere visioni politiche, antipatie o simpatie per l'autrice.
È un film serio, coraggioso, importante.
Realizzato con durezza e inaspettata asciuttezza.


Strano e affascinante il destino dei fratelli Guzzanti, menti brillanti, comici di innegabile talento, lucidissimi osservatori della contemporaneità, nel cui DNA è inscritto il segno della grande riflessione intellettuale, clamorosamente virata dalla figura paterna (comunque notevole intelligenza dialettica) sul fronte opposto. 
Non è esagerazione dire che le analisi politiche più lucide e centrate sul fallimento sleale e il progressivo smarrimento d'identità della Sinistra italiana sono state da loro dispensate in tempi non sospetti.

Amaro privilegio che dividono in Italia con altri intellettuali di ambito artistico e non strettamente politico, come Nanni Moretti e Giorgio Gaber (per non scomodare Pasolini, ma lì si entra nell'ambito del dono profetico). 


Col potere liberatorio della risata, secondo l'assunto ruzantiano del giullare medievale, hanno rivelato, e spesso puntualmente anticipato, le derive grottesche della politica italiana degli ultimi vent'anni.



Tra i due fratelli maggiori, Corrado e Sabina. l'autrice è sicuramente quella più esplicitamente impegnata civilmente, più diretta e "politica" nel senso alto del termine. A questo riguardo, un rilievo che spesso si può muovere al suo approccio satirico è di mancare di quella leggerezza, propria del genio, che è tratto peculiare delle riflessioni di Corrado. Usiamo il termine nella ormai comune accezione profonda, conferitagli da Italo Calvino nelle sue celebri Lezioni Americane: "leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore".
Un eccesso di sarcasmo acido, di livore dialettico, di pesantezza mentale inquinava le sue ultime (pur sempre interessanti) prove satirico-documentaristiche.
Se da un lato tale implacabile rancore poteva essere giustificato dalla gravità delle accuse rivolte al Potere, dall'altro innegabilmente indeboliva la potenza delle sue argomentazioni.



Quando raggiunge l'equilibrio, come tutte le donne coraggiose, la regista riflette incosciamente la potenza dell'archetipo di Shri Mahakali: il purissimo potere femminile che, nella tradizione indù, sfida e massacra i demoni dell'ingiustizia.
Quando lo smarrisce, spunta da sola le proprie armi con l'eccesso di arrovellamento fegatoso.



Nulla di tutto ciò nel suo ultimo film, La Trattativa.

Un film importante.
Un esempio, serio e rigoroso, di cinema civile.
Ciò che colpisce non è il grande dettaglio documentale, o la potenza espressiva. Sono qualità a cui la Guzzanti ci ha abituato. Ciò che colpisce è proprio l'asciuttezza della progressione argomentativa.
Ed appunto, ciò che mancava in passato: un solido equilibrio formale, una grazia interiore (non a caso tema circolare del film)  che ispira il racconto, anche nei momenti di più intollerabile cupezza.
La fotografia di Ciprì garantisce una qualità visiva di livello internazionale.
Un plauso agli attori, tutti notevoli, nel bilanciare realismo e caratterizzazione di personaggi a volte stra-famosi, altre volte oscure comparse o cruciali marionette del sordido disegno criminale che di fatto ci governa da decenni.



Lo straniamento brechtiano è utilizzato con saggezza, senza appesantire. La cornice del racconto conferisce al teatro il suo antico ruolo di luogo della crisi, dell'analisi sociale, dell'introspezione collettiva: nello svelare il trucco della finzione recitativa dall'inizio  (gli attori che si truccano all'interno del teatro prima di interpretare i protagonisti reali), ancor più appare deflagrante il messaggio della finzione manipolatoria delle versioni ufficiali.
Possiamo dire che si tratta di una compiuta evoluzione della teoria e pratica del teatro di Dario Fo.
Detto da un ammiratore di Carmelo Bene, è indubbiamente un complimento.

Non voglio rivelare nulla delle rivelazioni (scusate il bisticcio), perché desidero intimamente che tutti vediate il film. Quello che ne Il Divo di Paolo Sorrentino veniva suggerito con la sottile ambiguità ontologica del protagonista, qui viene esposto con preciso rigore logico-argomentativo e una convincente asciuttezza formale.



Bellissima l'intuizione dell'esame di teologia del pentito Spatuzza, che non riesce inizialmente a rispondere alla definizione del concetto di Grazia.
La Guzzanti ha l'intelligenza e la sensibilità di non esplicitare come la risposta giusta non sia nelle elucubrazioni filosofiche di millenni di dibattiti, ma nell'esempio luminoso e commovente di Don Puglisi, che in punto di morte sorride ai suoi sicari . 



Abbiamo già omaggiato simili accecanti momenti di luce nella storia italiana (QUI).
Dopo quasi due ore di indignazione e di rovesciamento dei ruoli (ci si ritrova ad ammirare il coraggio di un pentito e a disprezzare l'ignavia delle istituzioni, questo spiega anche la controversa battuta dell'autrice sulla "solidarietà" a Riina e Bagarella degli ultimi giorni), si avverte la sensazione fisica di oppressione che i latini chiamavano angustia.



Ma il finale del film, centratissimo, scioglie ed eleva il cuore in una commozione spirituale, in un profondo anelito ideale. Un imperativo morale spontaneo, imposto dal rispetto delle poche figure che hanno combattuto a testa alta nel pantano immondo della trattativa: su tutti, Falcone, Borsellino, Don Puglisi.
Ha ragione il  caro collega Giorgio Brusco, del blog dedicato alla meditazione benvenutinparadiso: questo film, affermando QUI che se questo film venisse visto da tutti, potrebbe rappresentare la catarsi collettiva della storia recente italiana.
Vedetelo.
E parlatene.



mercoledì 15 ottobre 2014

MORRISSEY A ROMA - il racconto del concerto



Dopo l'analisi dei testi dell'era The Smiths (QUI) e l'intervista a Mike Joyce (QUI) , ecco il racconto del primo dei due concerti romani del 2014 di Morrissey.
Buona Lettura

Divertente è tornare da una riunione di due giorni sul World Day for Inner Peace (dettagli QUI) e andare direttamente a un evento battezzato World Peace is None of Your Business!
Il concerto che sto per raccontarvi  mi è apparso come un incrocio tra una festa di compleanno a sorpresa e un convegno spontaneo tra le "best minds of my generation" (per citare un poeta di cui parleremo tra poco): all'entrata incontro decine di amici, alcuni tra i miei scrittori prediletti, eccellenze intellettuali come Massimo Palma (ne abbiamo parlato QUI) e Tuono Pettinato (QUI).
Un raduno spontaneo di menti brillanti venute al richiamo del più affascinante tra gli intellettuali sociopatici: Steven Patrick Morrissey.


Il clima raccolto da club esalta la varietà della fauna: si distinguono gli smithsiani d'annata, ormai ultra quarantenni, vistose macchie eccentriche dai riflessi mod o new wave nella folla trepidante.
Video dei Ramones e dei New York Dolls creano la giusta atmosfera elettrica, un codice di riconoscimento estetico tra gli astanti.

Morrissey sulla tomba di Johnny Ramone
I primi, il Moz li stroncò da giovane critico, ma sta pagando l'antico debito curando una loro antologia. Per ciò che riguarda i secondi, voci insistenti lo danno da ragazzo presidente del fan club; certo è che dopo le incomprensioni con Bowie durante la brevissima memorabile tournéé insieme, sostituì il "David's eyes" della sua versione (variazione dell'originale "Jagger's eyes") con "David Johansen's eyes".



Rimanendo nell'ambito, l'amore per Patti Smith è dichiarato da anni, Horses eletto a disco preferito, come consacrata dalla cover di Redondo Beach. A uno spettatore passeggero, la furia del punk potrebbe apparire in stridente contrasto con l'aplomb da dandy del Morrissey maturo. Ma indubbiamente queste icone brucianti si addicono molto più a preparare l'apparizione di un fiero misantropo antimonarchico, piuttosto che a promuovere un album imposto da una multinazionale ai propri utenti, ritagliate  nella sagoma danzante di Bono Vox, come nell'ultimo video degli U2.

                                          


Fashionably late, il Moz appare finalmente sul palco: è in forma, elegante e maturamente sensuale, in tutto il fascino della sua virile ambiguità. Molto di più rispetto alla fugace apparizione del giorno prima da Gazebo (con tutta la simpatia per Zoro, magari il titolo imparatelo la prossima volta, ha cantato una canzone una!).


L'attacco inconfondibile di The Queen is Dead apre trionfalmente le danze, mentre sullo sfondo campeggia un grottesco fotomontaggio della regina scapigliata che mostra entrambi i medi al pubblico. Ancora una volta ci dona una velenosa variazione nella risposta alla Regina che lo riconosce come "quello che non sa cantare": "And i know you, you cannot even talk!".
La band, compita nella consueta eleganza di camicia bianca e pantaloni neri, è precisa e potente, con picchi di squisita fattura tecnica negli assoli e nelle variazioni strumentali.



Ezra Pound sostituisce per una volta  Oscar Wilde sullo schermo, sicuramente per compensare l'oltraggio inferto dal nostro paese al grande poeta (e no, non mi riferisco al centro sociale fascista spacciato per luogo culturale, quella è la beffa dopo il danno). Ci sentiamo di sottoscrivere da sempre le sue parole in una recente intervista su XL: "Quando atterro sul suolo italiano sono felice, indipendentemente dalla mia volontà. Però è stata l’Italia a mettere Ezra Pound in una gabbia per settimane… Sì, una gabbia! Come punizione per essere un genio. Credo che sia stato il punto più basso della storia italiana".


Morrissey governa il palco con consumata gigioneria, delizia e tortura i fan con le sue ironiche pose da divo, raccoglie bigliettini d'amore da un fan, finge di metterseli in tasca per consegnarlo poi ad un altro, ironizza elegantemente sulla sua chiacchierata malattia e sul suo aplomb ("The Doctor says i should not smile...so i won't"), quando si chiede perché dovrebbe essere lì in quel momento,scatenando il collettivo "because we love you" dei fan, finge di trasalire: "Ah, i see".
Alla faccia di chi lo etichetta da anni come un malinconico depressone dalle tendenze suicide, Moz si impone fondamentalmente come un maestro d'umorismo. Basta un cenno teatrale, una smorfia impercettibile, una battuta accennata per indurre un effetto diuretico come il miglior Buster Keaton.
Il nuovo inno animalista The Bullfighter dies lascia presagire, come è lecito aspettarsi, la preponderanza di brani dall'ultimo, riuscito album nella scaletta.
Dalla sua recente opera, Morrissey coglierà nella serata alcuni dei brani più potenti, di cui brevemente diamo nota:
World Peace is None of your Business è un impeccabile compendio del sarcasmo antiborghese del Nostro, in cui la soavità rassicurante della voce da crooner esalta ancora di più il disprezzo per gli indifferenti, gli ignavi sociali di moraviana memoria. Versi degni di essere mandati a memoria:

"Work hard and sweetly pay your taxes
Never asking what for
Oh, you poor little fool oh, you fool

World peace is none of your business
Police will stun you with their stun guns
Or they'll disable you with tasers
That's what government's for
Oh, you poor little fool oh, you fool

World peace is none of your business
So would you kindly keep your nose out
The rich must profit and get richer
And the poor must stay poor"

"Each time you vote you support the process", è lo slogan antiistituzionale perfetto, che sintetizza nella immediatezza del pop questa stupenda digressione da anarchico reazionario di Carmelo Bene (omaggiato QUI): "Nelle aristocrazie il principe non si fa eleggere, è lui che elegge il suo popolo. In democrazia il popolo è bastonato su mandato del popolo. È la pratica certosina dell'autoinganno. Si dice che il trenta per cento sia astensionismo.
Nego, tutto è astensionismo. Sono comunque voti sprecati."


Kick the Bride Down the Aisle, invece, esplode come un violentissimo schiaffo in faccia al Mr. Darcy dell'occasione, per svegliarlo bruscamente dal sogno dell'idillio nuziale: le dolcezze della sposa sono la tagliola per una vita di schiavitù sociale e morte interiore. L'intuizione  è medesima a  quella del nostro amato Schopenhauer (per quanto la nostra esperienza lo smentisca gioiosamente): "La maggior parte degli uomini si lascia sedurre da un bel volto; infatti la natura li induce ad ammogliarsi facendo in modo che le donne mostrino a essi, tutto in una volta, il loro pieno splendore ovvero...facciano un «colpo a effetto»; e nasconde invece i molti guai che avranno in seguito: spese a non finire, preoccupazioni per i figli, un carattere bisbetico, cocciutaggini, invecchiamento e inacidimento nel giro di poco tempo, inganni, corna, capricci, attacchi isterici, amanti, diavoli e inferno. Definisco perciò il matrimonio un debito che si contrae in gioventù e si paga nella vecchiaia.". La soluzione sembra invece suggerita dal nostro odiato Sade: prendere a calci la sposa sull'altare, facendola rotolare per la navata della chiesa, la spettacolare dissacrazione del rito e della felicità borghese. Apprezziamo il gesto simbolico solo perché sappiamo che è rivolto a una istituzione putridamente ipocrita.

Neal Cassady Drops Dead  rappresenta uno stupendo omaggio al lato più autentico della beat generation (in piena delirante distorsione del termine hipster che ben presto ci condurrà all'acquisto di una Luger, come Richard Benson insegna).



Da buon letterato il Moz, nell'omaggiare Ginsberg e il suo lamento per il vero eroe della strampalata epica beatnik (di cui Dean Moriarty, il protagonista di On the Road, per ammissione di Kerouac, suo fraterno amico, è un pallido clone), rivaleggia col poeta: il ritmo ossessivo del brano esalta i giochi di parole e le rime imprevedibili con cui il cantautore costella la narrazione, fino alla retorica domanda finale:
"Victim, or life's adventurer
Which of the two are you?"

                                   
Più perplessi ci lascia Istanbul, sorta di versione in rime wildiane (suggestive ma troncate nel racconto) del filmaccio Io vi troverò.

Il concerto prosegue bello, potente, emozionante, nonostante la scaletta sia al di sotto delle grandi potenzialità dell'autore. Non ci riferiamo solo ai classici dei The Smiths (sogneremmo un concerto che iniziasse con Reel Around the Fountain e finisse con Please, Please, Please let me get what i want comprendendo l'intera produzione), ma anche alla vasta messe della carriera solistica.
Se preferirà Everyday is like a Sunday a Suedehead come classicone finale (scatenando la folla nel coro apocalittico: "COME ARMAGEDDON COME"), sicuramente, avrà inteso To Give (the reason i live) di Frankie Valli come omaggio alla canzone italiana...ma avremmo preferito vivere la sognante commozione di Now My Heart is Full, la folle frivolezza masochista di The Last of International Playboys, l'insidioso fomento di The National Front Disco, la grande fierezza di Irish Blood, English Heart, financo la malizia seducente di The More You Ignore Me, The Closer I Get.
Del tutto, incomprensibile la scelta, invece, di cantare a Roma I'm Throwing My Arms Around Paris e non You have killed me (si rifarà la seconda serata).


Acme emotivo (come da trent'anni a questa parte) è Meat is Murder, accompagnata come d'uso dall'intollerabile video documentaristico sulle crudeltà inumane a cui gli animali sono sottoposte dall'industria alimentare. Il pubblico si divide tra coloro che guardano il video con dolore e chi abbassa lo sguardo dal disgusto. Fu proprio una visione (in tv!) di un simile documentario a scioccare il bimbo Steven Morrissey e a convincerlo della scelta vegetariana: evidentemente crede nel potere rivelatorio di quello sconvolgimento emotivo. Come ci disse Mike Joyce nella nostra conversazione, il brano è sempre emozionante dal vivo, anche ora che il Moz lo rende un mero commento ideologico al video: ci dispiace che abbia sostituito uno dei suoi versi più belli, la dolente deduzione "It's death for no reason. And death for no reason is MURDER", con lo slogan secco: "KILL! EAT!/ KILL EAT...MURDER", mentre indica l'evidenza agghiacciante delle immagini.

Degli agognati brani dei The Smiths la concessione scende, dal tour precedente, da sei a quattro ma, come si suol dire con una risibile espressione, "valgono da soli il prezzo del biglietto":
How soon is Now? illumina col suo ipnotico splendore la metà del concerto, immergendo il pubblico nella sinuosa danza attorno all'eterno quesito esistenziale del presente sfuggente.
Soprattutto Asleep, un dolcissimo inno al cupio dissolvi in guisa di ninna nanna romantica: le luci si abbassano, il profilo del Moz si staglia immerso nell'oscurità, stentoreo e maestoso. Proprio come nel ritratto di LRNZ per il nostro articolo, che grazie a una serie di manovre diplomatiche degne del Cardinale Richelieu sono riuscito a far arrivare nel camerino del cantante, come degno premio della sua opera.
E delle irriducibili umanissime emozioni, della sopraffina delizia intellettuale che in meno di 90 minuti è comunque riuscito a donarci.

il ritratto di Morrissey di LRNZ



lunedì 13 ottobre 2014

TUTTI GLI ARTICOLI DI SETTEMBRE


Cari pochi ma eccellenti lettori,
il vortice di impegni è tale che non sono riuscito nemmeno a compilare per tempo questo comodo ripasso mensile.
La Giornata Mondiale della Pace Interiore (dettagli QUI e QUI) è un progetto ormai tradotto in 21 lingue, pronto a una diffusione davvero capillare in tutto il mondo; dal punto di visto letterario e giornalistico, si accumulano spunti, idee, progetti, possibilità contatti.
La pausa è quindi la classica quiete prima della tempesta.
Tempesta di articoli, di approfondimenti, di nuove collaborazioni, di, si spera, pubblicazioni.
Approfittate, dunque, per recuperare gli articoli precedenti.
Per ciò che riguarda settembre:




Su FUMETTOLOGICA abbiamo pubblicato tre interviste:

- Quella ad Antonio Sualzo QUI



- Quella ad Alberto Madrigal QUI



- Quella a Massimiliano Clemente per i dieci anni della casa editrice Tunué QUI



Il dato interessante è che nelle interviste si tratta di opere che non appartengono a generi a me cari: il cosiddetto schematicamente stile "intimista" o relativo a storie di vita quotidiana (et similia).
Eppure Sualzo e Madrigal (come in precedenza Simeone QUI, non a caso i tre autori della collana Città viste dall'alto di Bao) sono tra gli interlocutori più gradevoli e gentili con cui abbia mai avuto piacere di conversare.
Stesso discorso vale per alcuni autori della Tunué*

Sul blog invece abbiamo raccontato alcuni incontri ai quali, per diversi motivi, siamo molto legati:



- l'omaggio a Carmelo Bene, nel giorno del suo compleanno, col suo antico amico e interlocutore Doriano Fasoli (siamo particolarmente onorati della sua stima ed amicizia), arricchita dai geniali Carmelo Meme di Tuono Pettinato QUI



-  ( il riassunto, scusate l'effetto matrioska, degli articoli di Agosto QUI)

- la presentazione dei libri Tacita Silva e Legenda di Rita Petruccioli, assieme ad Alessio Spataro, in occasione della mostra curata da Rossana Calbi QUI



- l'incontro con Mike Joyce, storico batterista dei The Smiths. Intervista che trovate in italiano QUI e in inglese QUI



Oggi proverò a incontrare una sua vecchia conoscenza, col quale purtroppo Mike Joyce ha scritto non solo la storia della musica rock inglese, ma anche quella del gossip giudiziario.



Non dico nulla.
Nonostante la meditazione, rimango uno scaramantico.
Però vi anticipo (se avete capito di chi parlo) che ho già un appuntamento con chi fu la fonte d'ispirazione di una delle sue principali fonti d'ispirazione...
sbizzarritevi!
Buona Lettura


* P.S.
Non posso non ricordare con affetto e stima il recentemente scomparso Lorenzo Bartoli.
Questo il mio ricordo che ho pubblicato sulla mia pagina Facebook:

"Di fronte alla morte tutte le parole appaiono risibilmente vane e retoriche. 
Ho avuto il piacere di incontrare 
Lorenzo Bartoli alcune volte. Non posso dire d'averlo conosciuto.
Conserverò il ricordo di una persona gentile, colta e ironica.
Fossimo tutti ricordati così.
Un rispettoso e sentito abbraccio ai suoi cari."



QUESTA la nostra breve conversazione.
Per sferzante ironia della sorte, anche il luogo dove ci incontrammo, il celebre locale Pompi, sta per chiudere i battenti.
Manterrò un ricordo ancora più dolce e malinconico del nostro incontro.