venerdì 29 luglio 2016

15 anni dopo Genova 2001, il problema è l'estintore. Non la tortura di massa.


La foto che mostra le reali distanze e la dinamica antecedente all'omicidio
La settimana del quindicesimo anniversario dai tragici fatti di Genova 2001 è stata scandita da una serie di avvenimenti così sardonicamente puntuali da apparire ben più che coincidenze significative.
Come abbiamo notato su minimaetmoralia, è iniziata con una beffa: l'agente che mentì sostenendo di essere stato accoltellato da un no-global (quale giustificazione per le violenze della Diaz) è stato condannato ad un’ammenda equivalente a 47 euro. Un Ufficiale dello Stato può mentire su una tortura di massa operata dalle Forze dell’Ordine, per un costo inferiore a quello di una prestazione sessuale mercenaria.
Poi, c'è stata la nuova assoluzione per i cinque medici accusati di essere responsabili della morte di Stefano Cucchi, la foto del cui cadavere grida ancora giustizia.
Con magistrale tempismo, il Senato ha sospeso l'esame del disegno di legge per configurare il reato di tortura, smentendo clamorosamente le promesse del Premier nei suoi roboanti annunci su Twitter, e in completo disprezzo della condanna della Corte Europea di Strasburgo nei confronti dell'Italia (proprio per le torture commesse durante il G8 di Genova 2001).
Inoltre, Facebook ha sospeso per un giorno la pagina del fumettista Zerocalcare, dove egli semplicemente dichiarava di partecipare ad un evento in memoria di Carlo Giuliani e in solidarietà di chi fu arrestato in quei giorni; l'autore, con saggezza, ha subito stemperato la retorica anticensura: si tratta di un meccanismo automatico, attivato dalle segnalazioni in massa da parte di ambienti vicini alle Forze dell'Ordine.
Esponenti di ambienti simili (sindacati di polizia, giornalisti e politici del Centro-Destra) si sono riuniti nel l'anniversario della scomparsa di Giuliani, per un convegno dal titolo garbatamente spiritoso: "L'estintore quale strumento di pace".
Un chiaro caso di dissonanza cognitiva: le stesse persone che condannano le violenze di Erdogan per giustificare la chiusura contro gli islamici e i profughi, giustificano le violenze della Diaz solo perché inflitte dalle Forze dell'Ordine.
In tutto questo, nei dibattiti sui social è ricorso assordante il monito: "Eh, si, però Giuliani aveva in mano un estintore".
Si. Un estintore raccolto dopo due ore di cariche ingiustificate della polizia nei confronti di un corteo autorizzato e pacifico (Il documentario La Trappola lo spiega bene, vi prego di guardarlo, lo trovate QUI).
Ho passato una settimana a discutere sui social network su questo punto.
Gli orrendi e stupidi sulla pagina di Zerocalcare (del resto, si sa, Pazienza era andreottiano!)
Sono stato anche fortunato (a differenza di Zerocalcare, per esempio), mi sono confrontato con molte persone civili (anche un allora ufficiale dei Carabinieri presente quel giorno a Genova) ed anche nei momenti di maggiore distanza d'opinione si è sempre mantenuto un tono rispettoso e pacato, avendo come faro la definizione di una verità comune, non l'appartenenza a fazioni da stadio.
Molte persone (ragionevoli, progressiste, informate, indignate) hanno sottolineato come, mentre la violenza e l'orrore della "macelleria messicana" della Diaz e di Bolzaneto sono ormai argomenti (si fa per dire) pacifici, le dinamiche della morte di Giuliani sono ancora controverse.
Dunque, secondo loro, nella ricostruzione di una verità da opporre alla versione ufficiale imposta alla "maggioranza silenziosa", bisognerebbe concentrare le denunce sulle violenze successive, per rendere la follia di quei giorni, non dibattere su una tragica fatalità, in cui comunque il ragazzo "se l'è cercata".
Per queste persone parlare della morte di Giuliani non è un argomento vincente per rendere l'ingiustizia che un'intera generazione ha subito.
Eh, del resto, Giuliani aveva in mano un estintore.
Ho insistito metodicamente (c'è chi generosamente ha lodato la mia pazienza): proprio perché le dinamiche appaiono tuttora controverse (mentre sono chiare, se uno approfondisce, e completamente differenti dalla vulgata mediatica), bisogna insistere a parlarne. Bisogna insistere nel decostruire pazientemente la narrazione tossica che fu machiavellicamente confezionata in quei giorni ad uso delle masse per far passare il messaggio che sì, un ragazzo poverino è morto, ma era un facinoroso che aveva assaltato una camionetta, "se l'è andata a cercare".
Proprio questo è il (falso) pilastro argomentativo su cui si fonda la manipolazione sistematica di quei giorni: "si, la Diaz fu una vergogna, una reazione esagerata, la morte di Giuliani invece fu un caso separato, una tragica fatalità, vedete, quel movimento era fatto di giovani teppisti che assaltavano i poliziotti. E ti credo, poi, che scappa il morto".
Rimane, nell'eco spenta dell'opinione pubblica, un ragazzo morto per sbaglio, che comunque se l'era cercata, e una reazione eccessiva delle Forze dell'Ordine.

Eh, del resto, aveva in mano un estintore.
Come se questo giustificasse “la più grande sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale", secondo la celebre definizione di Amnesty International.
Vorrei ricordare che negli ultimi quarant'anni molti politici di spicco, alcuni dei quali sono stati ministri (anche vicini a quel Governo del 2001) o sindaci, all'età di Giuliani tiravano molotov o erano coinvolti in attività politica extraparlamentare, protagonisti degli anni di peggiore violenza politica in Italia.
Alcuni dei politici che oggi fanno la morale ai manifestanti "teppisti", da giovani erano vicini ad ambienti prossimi all'eversione.
Parliamo di pestaggi, spari, bombe. Altro che estintori.
Soprattutto, vale la pena di ricordare come la morte di Giuliani non sia stata causata dallo sparo attribuito a Placanica, ma dal Defender che lo investì subito dopo, senza menzionare il sasso che gli venne schiacciato in faccia per comprovare l'urlo immediato del vicequestore, il quale tentò di attribuire la colpa dell'omicidio a un manifestante.
Ma torniamo al vero grande problema che inquieta le coscienze italiche da tre lustri, il gesto gravissimo e intollerabile: Giuliani aveva un estintore in mano.
Questo dato inoppugnabile viene sempre riproposto come argomento principe, in ricostruzioni ossessive che però ignorano un piccolo dettaglio: non si è trattato di una a tranquilla serata in cui un pazzo esaltato ha assalito con un estintore dei pacifici tutori dell'ordine che, costretti dagli eventi, hanno sparato.
Non è andata così.
C'era un corteo pacifico e autorizzato che è stato caricato all'improvviso dalla polizia, senza ragione. Una carica violenta, indiscriminata e prolungata su manifestanti inermi. Poi, la peculiare struttura urbanistica di Genova ha creato una situazione infernale: migliaia di manifestanti (ripeto, in quel caso pacifici e autorizzati) stretti in un imbuto da due ore, manganellati senza via d'uscita. Un ragazzo, esasperato, ha imbracciato un estintore ed è stato ucciso, centrato da un colpo esploso dall'interno di una camionetta, poi investito. Ancora agonizzante, è stato colpito da una sassata in faccia, data per attribuire la colpa della sua morte ad un altro manifestante a caso.
È fondamentale chiarire questo punto.
La reazione di Giuliani, cioè imbracciare un estintore (vuoto, oltre tutto e parrebbe precedentemente lanciato dalla polizia) dopo che gli è stata puntata una pistola, non nasce durante un selvaggio assalto a dei poliziotti accerchiati. Insisto, insisto come un monaco che recita un mantra; nasce dopo che un corteo pacifico e autorizzato è stato caricato per ore. Mentre chi ha devastato la città è stato lasciato libero di farlo, con i poliziotti a 150 metri che non sono intervenuti. L'unica argomentazione intelligente che si può sostenere per giustificare tale comportamento è la tesi per cui, siccome nella galleria che separava il blocco della polizia dalla manifestazione c'era un problema di ricezione, le Forze dell'Ordine hanno frainteso e hanno caricato il corteo pacifico invece di quello violento.
Nel migliore dei casi, si tratta di un caso di mastodontica disorganizzazione, dalle conseguenze tragiche.
"Si, d'accordo. Però Giuliani aveva in mano un estintore".
Si, è vero.
Dopo due ore che ti menano senza motivo, ti ritrovi davanti una camionetta della polizia, da cui escono insulti, minacce, e una pistola puntata. Trovi un estintore per terra davanti a te.
Io avrei fatto come Carlo.
Forse peggio.
E sono un non-violento, cresciuto con i libri di Gandhi e i discorsi di Martin Luther King.
Ma l'adrenalina, la frustrazione, la rabbia di essere intrappolato mentre ti manganellano per ore, senza motivo, senza preavviso, senza smettere, senza via d'uscita, metterebbero alla prova anche un bonzo.
Forse, anche molti di quelli che oggi , comodamente seduti dietro una tastiera, sentenziano "Eh, ma aveva in mano un estintore", in quella situazione lo avrebbero imbracciato.
Inoltre, di aggressioni alla polizia, molto più gravi e ingiustificate di quella di Giuliani, ce ne sono di continuo, per motivi più futili. Scontri, tumulti, tafferugli di quel genere accadono (purtroppo) molto spesso fuori dagli stadi.
Ora, Giuliani si aveva il passamontagna e aveva in mano un estintore. In generale: un ragazzo in assetto da guerriglia durante una settimana di manifestazioni viene giudicato un teppista terrorista. Ma lui era lì per esprimere un dissenso, anche violento, nei confronti di un Sistema che stava predisponendo una forma di violenza politica assai peggiore (non mi riferisco alla Diaz, ma alle politiche economiche di selvaggio liberismo che stiamo tuttora subendo). 
La sua forma di protesta (discutibile per molti, comprensibile per me) era per il bene collettivo.
Non contro i "negri", gli zingari o contro i tifosi di un'altra squadra di calcio.
Eppure mi pare che CasaPound abbia un palazzo al centro di Roma.
Eppure, non ogni domenica (per fortuna) ci scappa il morto o accadono repressioni violente e indiscriminate come quelle dei giorni successivi.
Se fossimo maliziosi (ma non lo siamo) ipotizzeremmo che si è trattato di un preciso piano strategico per stroncare nel sangue un movimento fastidioso che stava crescendo a dismisura, creare un "morto" controverso da poter additare sui media come uno "che se l'è cercata" (etichetta valida per ogni morte scomoda), ottenendo due effetti: spaventare a morte le nuove generazioni, scoraggiandole dall'andare in piazza; dare in pasto all'opinione pubblica un immagine distorta e calunniosa di comodo di un movimento variegato e non uniforme, in cui c'erano gli anarchici e pure i Papa Boys, le tute bianche e i boy scout.
In tutto ciò, riuscendo a seppellire gli orrori della notte successiva, anzi promuovendo successivamente i responsabili, molti dei quali hanno fatto carriera.
Trovo assurdo e frustrante doverne parlare ancora, dopo 15 anni, dopo documentari, testimonianze, sentenze, foto, dibattiti, citiamo per sintesi solo come da tre anni sia disponibile un'ottima ricostruzione degli eventi di quel giorno, ad opera di Wu Ming (la trovate QUI).
Se fossimo maliziosi (ma non lo siamo) potremmo dire che la morte di Giuliani non è stata un incidente tragico: è stata parte, come una variabile matematicamente prevedibile, di una precisa strategia della tensione.
Se fossimo maliziosi, potremmo pensarla così. Certo, sarebbe veramente uno scenario inquietante.
Ma, per fortuna, noi non cediamo alla malizia.
Fu una tragica fatalità: "Neppure Zeus al suo fato può sfuggire”, si sa dai tempi di Eschilo.
Vorremmo, in conclusione, riportare le parole di Zerocalcare, per sottolineare che "evidentemente Genova non è finita (...) non solo –ma basterebbe quello- perché ci sta ancora una persona in galera a 15 anni di distanza dai fatti (...) mentre altri venivano promossi e facevano carriera, ma perché è la controparte e pezzi dei suoi apparati che continuano a fare una guerra accanita e che sulla narrazione di quelle giornate non vogliono mollare di un centimetro (...) è dal 21 luglio 2001 che litighiamo su quanto è successo a Genova (...) Però forse vale la pena continuare" (aggiungo io) a raccontare, a cercare verità, a pretendere giustizia.
L'avevamo scritto anche noi, sul sito de Il Fatto Quotidiano QUI, parlando del bellissimo di Happy Diaz di Massimo Palma, che Genova 2001 non è mai finita.
Massimo Palma tra Giuliano ed Haidi Giuliani, nella Scuola Diaz, 15 anni dopo
Da una parte abbiamo un ragazzo di vent'anni che è andato col passamontagna a una manifestazione per esprimere (in maniera per molti discutibile) il suo dissenso contro un sistema iniquo.
Dall'altro esponenti delle Forze dell'Ordine (ovviamente non tutti, ci sono molti esponenti che hanno preso subito la distanze dalla mattanza di quei giorni e la considerano una macchia indelebile), preposte alla difesa dei cittadini che, secondo un'inchiesta del Guardian, non di Lotta Comunista, che trovate QUI, hanno: sparato, torturato, manganellato persone che dormivano nel sacco a pelo, minacciato di stupro giovani ragazze dopo averle prese a calci e costrette nude con la testa nel water, rifiutato cure a malati gravi, urinato addosso ai feriti sanguinanti, reso persone paraplegiche a forza di botte, preso a calci chi non inneggiava a Hitler e Pinochet.


Però, Giuliani aveva in mano un estintore.

lunedì 25 luglio 2016

7 letture estive, spensierate ma non troppo

La Long Room nella biblioteca della Trinity College di Dublino: quella di Harry Potter
L'estate, si sa, è tempo di letture: finalmente possiamo goderci quei tomi che nel corso dell'anno si sono accumulati fino a configurare una pila sbilenca e pericolante accanto al comodino.
Certo, sotto l'ombrellone portarsi l'Ulisse di Joyce o L'Uomo senza qualità di Musil parrebbe una risibile velleità da fanfaroni (chi scrive lo ha fatto, candidamente impegnato nella lettura), eppure confidiamo che i frequentatori (mi si dice che da venticinque forse son giunti al vertiginoso numero di trenta) di queste deliranti colonne giammai si chinerebbero ai dettami delle classifiche da Tv, Sorrisi e Canzoni.

Ecco, dunque, una lista ispirata ad un onorevole spirito di compromesso.
Si tratta di libri di qualità, di apprezzabile divulgazione, ben scritti, dai toni ironici e tendenti alla leggerezza: dunque, dopo avervi consigliato per un anno testi esoterici e opere di seria riflessione, indubbiamente si virerà verso un registro meno impegnativo.
Ma comunque tenendo sempre alta la fiamma vitale dell'intelligenza e dello stile.

Ecco a voi: sette letture estive, spensierate ma non troppo.


1) Il Libro Infame di Gianluca Nicoletti, illustrato da Roberto Ronchi (Tunué)
Gianluca Nicoletti è volto ma soprattutto voce nota, per la sua vasta attività giornalistica (attualmente seguito speaker di Radio24).
Nicoletti ha una prosa rapida, forbita e insieme scollacciata, ricca di arguzie, schiava felice di doppi sensi carnascialeschi.
Il libro è a tratti divertentissimo, nel suo essere una ricostruzione adorabilmente egocentrica della storia personale dell'Italia attraverso la vita dell'autore, entrambe raccontate, in pieno spirito pop/camp, attraverso gli aspetti più kitsch del quotidiano del dopoguerra: dagli inquietanti manifesti delle pubblicità progresso che esponevano disegni dei "mutilatini" per scoraggiare i bambini a giocare con le mine inesplose al catalogo Postalmarket quale deposito di fantasie erotiche per un'intera generazione, fino all'ossessione mcluhaniana per l'irruzione delle nuove tecnologie nella nostra vita.
L'autore concede, prevedibilmente, molto spazio alla sua particolare manìa di sollevare le donne (eh, si, avete letto bene), con significato filosofico annesso, indulge forse in maniera eccessiva su certo libero pensiero figlio degli anni'70, ci sorprende con dotte incursioni nella letteratura esoterico-fantastica, ci delizia dando il giusto ruolo iconico a Ranxerox.
Le illustrazioni di Ronchi danno corpo all'immaginazione goliardica di Nicoletti, percorsa ossessivamente da un gusto quasi adolescenziale per lo spirito fescennino.
Spassoso e non banale.



2) È ricca, la sposo e l'ammazzo di Jack Ritchie (Marcos y Marcos)
Anche se il  nome di Jack Ritchie forse non vi dice nulla, in realtà avete benissimo in mente l'atmosfera delle sue creazioni.
Avete presente quella peculiare dimensione stilistica sospesa tra umorismo elegante, cinismo feroce e tensione criminale tipica degli episodi televisivi della serie Alfred Hitchcock presenta?
Basti pensare che molti di quei piccoli capolavori di thriller sardonico sono ispirati proprio a racconti di Richie. Un maestro del racconto breve, brevissimo, padroneggiato con sapienza assoluta: abile in poche pagine a calare il lettore in una tensione intollerabile per poi, puntualmente, truffarlo con un capovolgimento finale inatteso. Ciascuno dei brevi racconti presenti in questa raccolta è una testimonianza della formula perfetta trovata da Ritchie: leggerli è come trovarsi davanti a un cantastorie sadico che ci racconta una storia dell'orrore con i tempi comici di una barzelletta, lasciando a noi la scelta se urlare di terrore o scoppiare a ridere.
Campione della miniatura, eccellente nella gestione della tensione, Ritchie ha fatto della brevità, e dell'ironia, veri e propri pilastri della sua poetica: "Non c’è romanzo che non si possa migliorare trasformandolo in un racconto breve: nelle mie mani, I Miserabili sarebbe diventato un pamphlet".
Il racconto che dà il titolo al libro ha ispirato il celebre film omonimo con Elane May e Walter Matthau.
Magistralmente cinico.


3) L'inaspettata eredità dell'ispettore Chopra di Vaseem Khan (Newton Compton)
Tutt'altra atmosfera quella del giallo ambientato a Mumbai di cui stiamo per parlarvi. Non la Mumbai mistica, criminale, psichedelica e infernale di Shantaram (imperdibile libro autobiografico di Gregory David Roberts), ma comunque realistica, resa, per quanto possibile, nella sua unicità di macrocosmo cangiante ed oceanico, in cui centinaia di migliaia di persone brulicano tra miseria e successo, in una "disperata vitalità" tipicamente indiana che non a caso affascinò Pasolini nel suo primo viaggio del 1961 (narrato appunto ne L'odore dell'India).
L'ispettore Chopra, virtuoso e saggio, appena giunto alla meritata pensione, riceve in dono un  regalo, per quanto piccolo, necessariamente ingombrante,: un elefante.
 Tanto per fugare ogni dubbio, viene ribattezzato Ganesha: il Dio dell'Innocenza e della Saggezza.
Le qualità interiori che lo guideranno, come una magica protezione, in una discesa improvvisa e pericolosa nelle viscere degli slum. C'è qualcosa di commovente in questo vecchio ispettore, ormai libero da vincoli e impegni, che continua a rischiare la vita per mantenere la promessa di giustizia giurata ad una madre davanti al cadavere del figlio.
La nostra discreta conoscenza della cultura indiana ci ha consentito di cogliere tutti i riferimenti, i giochi di parole e le sfumature del libro nelle sue mille referenze, forse un glossarietto o delle note esplicative potrebbero aiutare un lettore meno avvezzo a mantra e ricette del Maharastra.
Una lettura in grado di essere positiva senza essere stucchevole.


4) Il Principe Rosso di Timothy Snyder (Rizzoli)
Questo è davvero un bel libro.
Sarebbe senza dubbio piaciuto ad Hugo Pratt. La figura dell'Arciduca Guglielmo D'Asburgo, infatti, bisessuale e socialista discendente della famiglia reale che aveva regnato su mezza Europa, ormai in decadenza, sembra proprio quella di un personaggio incontrato da Corto Maltese nelle sue avventure rocambolesche, tra pirati e massoni (non a caso pare che l'eroe di Pratt sia ispirato ad un altro discendente della casata, Luigi Salvatore d'Asburgo-Lorena).
Il bellissimo e carismatico Arciduca ha attraversato il primo Novecento col fascino di un eroe byroniano, diviso tra lignaggio e ideale, volontà e destino, ambizione e fortuna avversa.
Forte della sua dignità nobile, con fierezza l'Arciduca sfidò sia Hitler che Stalin, ma purtroppo terminerà la sua vita, dopo averla dedicata al sogno di un'Ucraina indipendente, deportato in una cella sovietica, stroncato dalla tubercolosi.
Una vicenda così affascinante non poteva non sedurre Snyder, docente di Storia a Yale, in grado di architettare un racconto avvincente e documentatissimo, che a tratti evoca la dotta prosa di Robert Darnton più che quella accattivante di Valerio Massimo Manfredi.
Splendido e conturbante.


5) Da quassù la terra è bellissima di Toni Bruno (Bao)
Provocatoriamente, inserisco un fumetto serio tra letture, solo apparentemente, spensierate, tanto per burlarmi degli stereotipi.
Davvero significativo il salto di maturità che Toni Bruno ha effettuato dalle sue pur valide prove precedenti (dedicate a temi delicati quali la morte di Stefano Cucchi e la parabola di Kurt Cobain).
Il libro è davvero raccontato bene, evitando le insidiose trappole di una narrazione codificata da 60 anni di film e romanzi: la tensione globale, individuale e collettiva, ingenerata dalla Guerra Fredda.
Bruno concilia una narrazione spontanea, disinvolta, giocosa con la drammaticità del tema: l'eroe sovietico della conquista dello spazio (ovviamente ispirato a Gagarin, a cui dobbiamo la citazione del titolo) è entrato in crisi ansioso-depressiva. Dal suo stato d'animo deriva la gloria di un intero paese, forse la stabilità degli equilibri politici internazionali. Dovrà ricorrere alle cure di uno psicoterapeuta...americano.
Ecco, uno spunto così poteva risolversi in macchietta o apologo buonista in poche tavole. Invece, Bruno riesce, grazie soprattutto ad un'attenta regia e ad una buona capacità di introspezione psicologica, a rendere tutto plausibile, convincente, persino toccante.
Una riuscita riflessione sul potere dell'empatia.
Uno dei migliori fumetti del 2016.


6) Il Libro dei Viaggi nel Tempo di James Wyllie, Johnny Acton e David Goldblatt (Newton Compton)
Abbiamo già citato il nostro adorato Robert Darnton, un campione della divulgazione storica.
Se in parte Timothy Snyder aveva ricordato la passione per gli angoli più oscuri e illuminanti della storia, i tre autori di questo delizioso ed inusuale testo storico possono essere accostati all'altro lato della sua coltissima opera di scavo storiografico: il gusto divertito per la curiosità, il paradosso, l'approccio imprevedibile all'oceano di conoscenza imponderabile del cammino umano.
Con la cornice giocosa del viaggio temporale, siamo condotti in momenti cruciali o altamente significativi della storia umana. Il talento degli autori è tutto nel calarci interamente nel quotidiano di quei momenti, maniacalmente ricostruito, con dilettevole attenzione ai particolari (i biglietti dei mezzi pubblici, l'abbigliamento, le condizioni climatiche, i posti dove spendere meno e mangiare meglio). Diciotto mini-guide turistiche per diciotto momenti sparsi nel grande libro degli errori umani, pietre miliari della nostra incerta evoluzione: dal debutto di Shakespeare al Golden Globe a Woodstock, dall'eruzione del Vesuvio all'arrivo di Marco Polo a Xanadu, dai concerti dei Beatles ad Amburgo risalendo alla prima spedizione di Captain Cook.
Certo, la selezione è eurocentrica e con una predilezione spiccata per la contemporaneità.
Avremmo apprezzato un salto alla corte di Ashoka o di Re Janaka, una conversazione con Confucio o Socrate, una sessione di preghiera con Guru Nanak o Rumi, anche solo una serata nel palazzo imperiale di Akbar.
Ma, comunque, apprezziamo l'approccio disinvolto e attento ai singoli episodi, consapevoli dell'impossibilità di abbracciare l'immenso corpo sfuggente del divenire storico.
Stimolante e istruttivo.

 

7) L'Enigma dell'Alfiere di S.S.Van Dine (Barbera Editore)
In realtà avrei potrei suggerire qualsiasi libro scritto da Willard Huntington Wright (questo il vero nome dello scrittore e critico d'arte) che abbia come protagonista l'incantevole egomaniaco Philo Vance. Come spesso nella storia, dobbiamo rendere grazie a un incidente: Wright era un importante intellettuale, autore di una imponente monografia su Nietzsche, direttore della rivista Smart Set , sulla quale pubblicavano autori del calibro di Ezra Pound, Yeats e Conrad (perfino D'annunzio!), quando una devastante crisi di nervi indusse il medico curante a suggerirgli di dedicarsi a una forma più leggera di letture: i libri gialli. Con la sua forma mentis geniale, Wright divenne subito un esperto enciclopedico del genere, scrisse un saggio esaustivo sul genere detective story, ma soprattutto divenne S.S. Van Dine (le iniziali riprese dall'adorata rivista menzionata, il cognome un'allusione a Van Dyck), il padre della per noi fraterna figura di Philo Vance.
Come tutti i maestri, iniziò uccidendo con rispetto il proprio: tutti i romanzi di Van Dine capovolgono il metodo induttivo dell'amato Sherlock Holmes. Ciò che appare evidente a una prima indagine è palesemente un inganno. La verità va ricercata nei dettagli minimi, spesso nelle pieghe nascoste della vicenda, seguendo percorsi apparentemente irrazionali o paradossali, ma in realtà guidati da una impeccabile logica deduttiva. Un insegnamento filosofico, prima che investigativo.
Se un giorno fossimo affrancati per benedizione superna dal giogo della necessità, ebbene, desidereremmo passare il nostro tempo cullati dall'ipnotica logorrea di Philo Vance, l'elegantissimo, coltissimo, sarcastico e sprezzante protagonista, rigorosamente credente solo nel potere inesorabile della logica, e proprio per questo consapevole dei suoi limiti invalicabili. Un maestro di cinismo colmo di tenerezza per i bambini e gli animali (come ricorda in QUESTO bel pezzo Edoardo Ripari) magnificamente descritto dall'autore: "Aristocratico per nascita e istinto, teneva se stesso rigorosamente distaccato dal mondo in cui vivono le persone comuni. Nel suo modo di fare era presente un’indefinibile forma di disprezzo per l’inferiorità in qualsiasi sua manifestazione".
Descrizione tratta da La Strana Morte del Signor Benson.
Confessiamo che anni fa ci accostammo al libro solo perché divertiti dal libro, pensando a ben altro omonimo.


Così la Grazia si manifesta, per le vie più ilari e meno protocollari.
Più che un libro, uno dei piaceri assoluti dell'esistenza.

Buona Lettura!

Piccolo Festival delle Dieci Notti - Invito alla Lettura (e all'Ascolto)

La locandina  dell'evento firmata da Lucio Villani

L'idea è di una nostra vecchia conoscenza: quel poliedrico artista che risponde al nome di Lucio Villani (illustratore sopraffino e forse ancor più valido musicista) col quale (assieme a Lorenzo Ceccotti, Mariachiara Di Giorgio e altri nomi gloriosi) negli ultimi scampoli del millennio scorso fummo creatori di Lampi Grevi, fanzine dalla vita effimera quanto memorabile (in seguito con Daniele Catalli e Vania Castelfranchi darà vita alla più longeva Krakatoa).
Ed è proprio il tipo di idee che ci piacciono: una serie di dieci serate dedicate alla letteratura (dieci grandi autori, dieci classici contemporanei), unite dal filo rosso della musica blues.
La seconda edizione della manifestazione verrà strutturata nel seguente modo: per dieci notti, Michele Botrugno leggerà brani di letteratura selezionati da Alessandro Carbone, che introdurrà brevemente ciascuna lettura.
Dieci letture che intendono esplorare "il senso della visione" di autori celebri, tra i quali alcuni dei nostri prediletti (Cèline, Flaiano), altri che abbiamo abbandonato nella prima adolescenza (Bukowski, Benni), altri di cui apprezziamo l'alto valore letterario ma non innalziamo sugli altari del nostro pantheon (Calvino, Hemingway).

A seguito del primo momento letterario, si darà spazio alla musica.
Il cartellone offre interessanti spunti per chi è attento a fermenti musicali autentici e non si limita a ingurgitare auditivamente ciò che ci propinano le radio di musica leggera, avamposti sonori del Male:  The Hay Bale Stompers, Lino Muoio Mandolin Blues, Kozmic Blues, The Red Wagons, Rico Blues Combo, Veronica Sbergia in duo con Max De Bernardi, Alberto Marsico & Organ Logistics, River Blonde, Sax Gordon & Luca Giordano band, Marco Pandolfi e Roberto Luti, con una doppia incursione di Giulia Ananìa e il suo progetto REM – Rome Emotional Map.  Le danze sono state aperte da Simone Nobile and his Jukes, mentre non mancherà l'Orchestra Cocò, di cui Villani è voce e contrabbasso.
Il tutto culminerà con un grande, doveroso omaggio a quel donatore universale di gioia e allegrezza che fu Django Reinhardt, tributato da The Philosophists, con special guest Daniel John Martin.


Certo, queste dieci notti non hanno la sacralità del Navaratri (nell'induismo, le nove notti di adorazione della Dea Durga, più la decima in qui si celebra il trionfo sui demoni da Lei distrutti), ma nelle pigre notti di fine Luglio comunque rappresentano un'attrattiva, anche per il luogo che le ospita.


Da oggi 26 Luglio al 4 Agosto, con la preziosa coda del post-Festival fino al 7, si potrà vivere la bellezza del Lungotevere che conduce alla Basilica di S.Pietro celebrando un piccolo ma vero Giubileo, quello della Cultura, contrapposto a quello di una falsa Misericordia che ha impedito di gioire dei giardini di Castel S.Angelo, spazio storico della manifestazione Invito alla Lettura.


L'iniziativa è, appunto, promossa dalla Federazione Italiana Invito alla Lettura.
Un invito che fin dalla più tenera età non abbiamo mai rifiutato.

P.S.
Se volete approfondire l'arte di Lucio Villani trovate un saggio della sua arguzia QUI
Se volete studiarvi l'intero programma dell'iniziativa lo trovate QUI