venerdì 21 novembre 2014

BLATTA di Alberto Ponticelli - l'inferno come destino sociale


Tutta, o quasi, l'arte del Kali Yuga è arte della nigredo.
Se dovessimo chiarire il concetto  a lettori non avvezzi al linguaggio esoterico, tradurremmo: tutta, o quasi, l'arte dell'ultimo secolo (periodo di grande confusione morale e progressivo smarrimento ideologico) è arte del dissidio, dell'esilio, della lacerazione, della disarmonia.
Tutti, o quasi, i grandi geni del Novecento, in ogni ambito artistico, sono stati in primo luogo testimoni del Nulla, cantori del fallimento, profeti della Morte, ossessivi talmudisti della mancanza di senso. Con accenti, toni e ispirazioni diverse, tutti maestosi monumenti al pessimismo più fosco.
 In letteratura, da Joyce a Beckett, da Céline a Fitzgerald a Kafka, in primo luogo: una magistrale esplorazione dello smarrimento di sé. Nel cinema, da Hitchcock a Kubrick, da Lynch a Polanski a Lars Von Trier: geni differenti, che condividono però uno sguardo spietato, crudele, implacabile sull'abisso di nequizie dell'animo umano. L'arte figurativa e la musica classica , con l'avvento di per sé destinato all'anacronismo delle avanguardie, hanno spalancato la porta dell'inferno, o meglio del subconscio, delle dissonanze, dell'impossibilità di visione (da Munch a Bacon, da Schöenberg a Luciano Berio). Nell'ambito della musica popolare, l'atmosfera è talmente intrisa di negatività, di compiacimento satanico e celebrazione del Male, da far proporre più volte addirittura la candidatura al Premio Nobel per uno dei pochi cantori universali, affrancati dal morbo collettivo di negazione esistenziale. Ci riferiamo ovviamente a Bob Dylan, che della presenza del Male fa spunto di ricerca gnostica (come dice il suo ammiratore Guccini: "la giostra dei miei simboli fluisce uguale per trarre anche dal male qualche compenso"). In filosofia tutto ciò è stato sistematizzato fin troppo: da Sartre a Ciorian, fino alle derive post-strutturaliste, registrando tardivamente ciò che l'arte aveva già intuito e manifestato (come dice il mio non amato Hegel in un'affermazione invero illuminante: "la filosofia arriva sempre troppo tardi...la nottola di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo").
Restringendo il discorso al perimetro del fumetto italiano attuale, questa visione allucinata del reale, questo iperrealismo tetro e delirante, eppure tragicamente rivelatore, ha i suoi moderni maestri: Akab ne è il più potente creatore di icone, Maicol il più geniale aforista, Ratigher il narratore più efficace.
In questo indirizzo, con autonoma personalità autoriale, si iscrive pienamente Alberto Ponticelli con Blatta (ristampato recentemente da RW Linea Chiara).



Raramente atmosfere simili, di orrore distopico, ci colpiscono o attraggono*.
Ma il libro di Ponticelli ha il carisma nero di un monolite visivo, piantato come una tomba su ogni possibile speranza nell'umanità.
Saranno state forse le circostanze della prima lettura ad amplificare l'impatto devastante dell'opera sulla mia sensibilità. Ultimo giorno del Comicon, città di Napoli paralizzata dai festeggiamenti per la Coppa Italia: dopo esservi giunto a piedi, dribblando bombe artigianali e  prostitute nigeriane coi volti dipinti d'azzurro (somma tristezza, tingere di festa altrui la propria schiavitù), mi sono barricato nella Stazione Centrale, divorando il libro mentre centinaia di tifosi impazziti provavano a buttare giù a calci le vetrate, armati di mazze a volto coperto.
Circostanze indubbiamente peculiari, quasi un corollario vivente dell'assunto dichiarato in quarta copertina: "l'uomo non è in grado di gestire la propria libertà".
A una attenta rilettura, avvenuta dopo mesi in un ambiente sicuramente meno singolare, Blatta non cede nulla in potenza d'urto interiore.


Il libro è l'epitaffio su ogni delirio laicista riguardo le "magnifiche sorti e progressive" della tecnocrazia: l'immortalità ("per un laico la massima espressione dell'affermazione della vita"  fa dire Corrado Guzzanti a Padre Pizarro, in una delle sue più geniali invenzioni satiriche) diventa un sempiterno inferno. Senza rivelare nulla al lettore interessato, Ponticelli ci cala in una distopia, più che orwelliana, ultra-huxleyana, in cui la condizione umana è ridotta al nulla automatico, ben oltre qualsiasi incubo kafkiano o beckettiano. Qualsiasi possibile rivolta è stroncata in una reincarnazione coatta, qualsiasi impeto della volontà annullato in un impermeabile esistenza meccanica.
L'anomalia del Sistema (rappresentata, appunto da una blatta, l'insetto più ripugnante diventa simbolo e porta di un'impossibile libertà) conduce a un ulteriore straniamento, a una ancor più annichilente consapevolezza.
Ponticelli implacabilmente inchioda l'uomo alla sua nuda miseria animale, qualsiasi tentativo di ricostruzione sociale, di ritorno a una purezza edenica è travolto dal male divenuto Macchina, Sistema, Espropriazione dell'Identità.
Il condominio di Polanski de L'Inquilino del Terzo Piano, che congiura contro l'identità dell'individuo fino a condurlo allo smemoramento schizofrenico di sé, è divenuto l'intera umanità.
Il finale, sospeso, tra fuga e dissoluzione, abbandona il lettore alla più desolata contemplazione del nihil ontologico.
Per chi, come chi scrive, abitualmente si nutre della luminosa saggezza di Chesterton, delle illuminazioni di Tolstoj e delle visioni mistiche di Blake, riconoscere il valore di un'opera simile credo equivalga a conferire una medaglia artistica.




*Consentitemi una brevissima digressione: ho letto Debbi la strana di Paolo Di Orazio .
È un libro estremo, tremendo, a tratti intollerabile. Ogni pagina vomita incubi tragicamente plausibili, che invadono il subconscio del lettore come barbari infoiati assalirebbero un monastero. Tutto il Male del Mondo trasuda dalle righe acide e assordanti che compongono il racconto, ossessive e sfregianti come un rosario blasfemo.
Io che non sopporto lo splatter, e disprezzo il porno, non mi sento di consigliarlo a nessuno a cui voglia bene. Per i miei parametri, la censura scatterebbe alla seconda pagina.
Ma voi, e so che siete tanti, che amate questi generi, che siete cresciuti con Stephen King e Clive Barker, che adorate Lovecraft e vi nutrite di sguardi sulla negatività, non avete alternative: incoronate Paolo come Re d'Italia.
Per stile, profondità e spietatezza, non ha eguali...

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