venerdì 20 novembre 2015

La Casta Morta - originale omaggio a Kantor




In occasione del centenario della scomparsa di Tadeusz Kantor,  coraggioso quanto inquieto innovatore del teatro novecentesco, al Teatro Trastevere di Roma ha debuttato La Casta Morta, uno spettacolo inteso come originale omaggio all’opera certo più celebre dell’autore polacco, La Classe Morta.
Si tratta di un’opera inedita, completamente diversa dal riferimento dichiarato, ma che trae da esso spunti e struttura (il testo, già tradotto e messo in scena in polacco, è di Adriano Marenco).
La scena si configura immediatamente come metafora del Potere, un non-luogo primordiale eppure attraversato dalla stridente compresenza di miti classici e volgari marionette della decadenza contemporanea.

L’atmosfera, nell’angusto ma suggestivo teatro trasteverino, è quella che spesso abbiamo respirato nei teatri cosiddetti “off”: tutto è pervaso dall’entusiasmo, e dagli impacci, di una giovane compagnia teatrale dalle grandi ambizioni, la Patas Arriba Teatro.
Nel soggetto (dell’eminente polonista e collaboratore di Kantor Luigi Marinelli e di Michele Sganga, autore anche delle splendide musiche) emergono intuizioni brillanti, una ridda di puntuali riferimenti colti (dal monolite kubrickiano alle canzonette popolari, dal sottotesto omerico al Magnificat, dalla riproposizione di figure della mitologia greca a ineludibili omaggi allo stesso Kantor), sospesi tra satira e cruda deformazione grottesca.
Non tutto ci ha conquistato, onestamente, della rappresentazione: a dotti calembour (gustose le traduzioni sballate dei versi del Magnificat) si alternano ammiccamenti troppo espliciti al pubblico (certe gag sono divertenti, come l’elenco dei Doppi celebri, ma strappano la risata troppo facilmente); alcune scene appaiono riuscite (il fallimentare discorso populista dell’onorevole “Uno-di-noi”) altre risultano troppo prevedibili (il monologo della deputata cattolico-conservatrice, pur ben recitato, che difende la famiglia e poi si concede ai colleghi del marito); apprezziamo il pudore di non esplicitare le scene “oscene” (i diversi volti del Potere simulano di orinare a turno sul monolite , cogliendo in quel momento di pubblica intimità un’impossibile innocenza infantile), meno certo indugiare su metafore evidenti (il leccare i piedi, l’orgia del potere, la “poppata” collettiva); avvertiamo come limite la difficoltà di rendere nell’immediato dell’azione teatrale la potenza di concetti esposti con lucido rigore per iscritto.
Certo, lo spettacolo è al debutto, è logico che ritmi e tempi comici vadano rodati, soprattutto in un’opera tutta fondata sul contrasto dialettico, la parodia del linguaggio, il gioco tra corpi e concetti, tra istinto ferino e elucubrazione ingannevole.
Dichiariamo di essere degli incontentabili scocciatori: per chi a 16 anni s’estasiava davanti alla macchina attoriale di Carmelo Bene (il teatro è accanto a S.Francesco a Ripa, ove si può ammirare la Beata Ludovica Albertoni, per il genio salentino “la più grande meraviglia”) che annichiliva il Novecento nel “buio musicale”, è raro essere sedotti dal teatro contemporaneo.
Con forse intollerabile presunzione, confessiamo che, fosse stato per noi, avremmo concesso il centro della scena (non diciamo solo, ma molto di più) agli archetipi classici, che accolgono gli spettatori con straniante confidenza, per poi irrompere come terribile nemesi nello spettacolo: intelligente (pur nel vezzo di renderla en travesti) la versione di Cassandra che reca una tastiera (con le canne d’organo sulle spalle) ove il Potere può suonare a piacimento tutti i discorsi memorabili, divenuti slogan, del Novecento (da “Ich Bin Ein Berliner” di J.FKennedy a “Vincere e Vinceremo” di Mussolini, dai deliri infernali di Hitler a “I Have a Dream” di Martin Luther King, fino al famigerato “nuovo miracolo italiano” di Berlusconi); efficace quella di Circe, spietata nel soggiogare i politici-maiali alla sua vendicativa malìa; potente e ipnotica quella della Dea Atena: una resa perfetta, nella sua quasi statica fedeltà alla rappresentazione della Vergine Guerriera, Dea della Conoscenza il cui scudo è lo specchio con cui inchiodare il Potere (e il Popolo) alla propria miseria.
Assolutamente splendide, come detto, le scelte musicali di Michele Sganga.
In conclusione, uno spettacolo non perfetto ma pieno d’intelligenza, con alcuni difetti evidenti ma anche innegabili pregi e, soprattutto, sorretto da uno studio profondo e da un enorme impegno.
E per chi coniuga cultura e passione non possiamo che avere, comunque, una profonda empatia.
Lo spettacolo è in replica oggi al Teatro Trastevere, tornerà in scena all’Istituto Polacco per il centenario di Kantor, e poi a Gennaio al Teatro Studio Uno a  Tor Pignattara.
Ne riparleremo senza dubbio.
Vi consigliamo di andarlo a vedere e di sostenere l’impegno di giovani menti non allineate.
In questo agonizzante Kali Yuga, che Dio benedica chi porta avanti faticosamente cultura e riflessione.

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