Circa quattro anni fa principiavo l'insensata avventura di questo diario virtuale.
Una decisione epocale, financo apocalittica nei confronti della mia proverbiale letargia, mascherata da sicumera, la quale saggiamente mi imponeva di trincerarmi dietro l'Elogio della Pagina Bianca di Stephane Mallarmé.
Una svolta traumatica, che ha avuto come rovescio, in omaggio alla legge della polarità, l'attuale delirio grafomaniacale che vi infliggo quotidianamente.
Due sono i principali responsabili del supplizio che vi martirizza cotidie, io qui solennemente declino qualsiasi attribuzione di colpa.
Quattro anni fa esatti, su richiesta di maicol&mirco, cedevo controvoglia al martellamento storico di Lorenzo Ceccotti.
Nei miei piani, la bizzarria sarebbe sopravvissuta per la durata massima di tre settimane.
Oggi mi ritrovo a conversare ogni settimana, su testate che apprezzo, con gli artisti e gli intellettuali più importanti del panorama culturale contemporaneo.
Colgo l'occasione per ringraziare tutte le lettrici e tutti i lettori della generosa, quasi incomprensibile, fiducia.
Ho esordito proprio con una prolusione, memorabile testimonianza di squilibrio mentale, su Gli Scarabocchi di maicol&mirco QUI.
In questa tetraèteride (un modo complicato per dire "quattro anni", la cui fondamentale invenzione dobbiamo al buon Solone mentre contestava i cicli lunari di Talete), con Gli scarabocchi ci siamo fatti compagnia QUI e QUI, più in varie prefazioni, ritmando a vicenda i corrispettivi progressi nell'ambito della patologia schizoide, s'intende.
Non è un caso, dunque, che proprio in concomitanza dell'anniversario del blog, Gli Scarabocchi sbarchino a teatro.
[Siete di fronte a una bieca e menzognera forzatura, poiché già più volte lo spettacolo è andato in scena nei mesi scorsi, ma non vedo per quale motivo, nell'oceano di false informazioni in cui si naviga ogni giorno, voi dovreste esercitare il vostro spirito critico, avido di verifica dei fatti, proprio su queste mie sciocche righe.
Fingiamo, dunque, l'ennesima miracolosa coincidenza, in realtà gli abbiamo visti il 4 Ottobre, in onore a San Francesco, a Centrale Preneste Teatro durante la rassegna Teatri di Vetro]
La prima obiezione è spontanea: come portare sulla scena creature così magnificamente astratte, perfettamente iconiche nella loro spettrale inconsistenza, quasi una grottesca esemplificazione, per contrari, del concetto di Wabi-Sabi (si, il volumetto Lost in Translation ci è proprio piaciuto)?
Come portare sulla scena l'effetto comicamente devastante della battuta violenta che ci sorprende a pagina appena girata, o il ritmo infernale dei paradossi riassunti in una sola, crudele, spietata vignetta? Come rendere la perfezione aforistica (perfezione nera, rovesciata nell'errore assoluto) delle affermazioni definitive, che assumono risonanza universale proprio perché porte da uno scarabocchio disegnato su carta, privo di identità, di corpo, di esistenza reale, mera identità concettuale che ci inchioda alla nostra miseria? Come restituire l'atmosfera irreale del non-luogo immerso nel sangue ove ha forma la quintessenza del nichilismo più beffardo?
Come rappresentare, insomma, in carne ed ossa Gli Scarabocchi?
La sfida è folle, insensata, destinata al fallimento.
Per questo la rispettiamo con grande interesse.
Il regista Andrea Fazzini, direttore artistico del Teatro Rebis (autore, tra l'altro, di un interessante spettacolo su Sylvia Plath), la accetta con coraggio, costruendo un filo narrativo tra le centinaia di vignette sfornate dalla mente filosoficamente criminale di Maicol.
Nell'impossibilità di rendere vivi Gli Scarabocchi, ragguardevole è lo sforzo degli attori Meri Bracalente (bravissima nel passare in pochi istanti dal ghigno blasfemo alla disperazione), Sergio Licatalosi (voce puntuale del disincanto) e Fernando Micucci (esplosivo nella coda dedicata al personaggio di Ivo il Barzellettiere). Le scenografie, essenziali ma convincenti, sono opera di Cifone, mentre la colonna sonora (che Pasolini avrebbe potuto scegliere come sigla per il finale, unica scena contemplabile, di Salò- Le centoventi giornate di Sodoma) sono composte ed eseguite dal maestro MAT64.
Non celiamo la soddisfazione per aver riconosciuto in un momento dello spettacolo un nostro testo, usato brillantemente come presentazione dello spettacolo di barzellette oscene di Ivo.
Ma, insomma, come lo spettacolo?
Bellissimo, disastroso, adorabile, superfluo.
Dipende dal punto di vista.
Da un lato l'idea è geniale: Gli Scarabocchi di maicol&mirco sembrano scritti in manicomio da Antonin Artaud. Proprio per questo qualcuno potrebbe dire che il progetto è inutile: portare a teatro un fumetto che è già compiutamente teatro, ma solo all'interno del suo essere un fumetto (no, non è una supercazzola, rileggetela con calma).
Da un lato la riuscita è ottima: i tempi comici funzionano perfettamente, la gente ride fino alla diuresi incontrollata, gli attori trovano una simbiosi convincente nei botta e risposta, nelle smorfie concertate, nei gesti simulanti le creature fumettistiche.
Dall'altro, la distanza è chiaramente incolmabile, tra l'impatto della lettura e la contemplazione dello spettacolo.
In breve, lo spettacolo in sé, autonomamente funziona, e bene.
Si tratta di una delle cose più intelligenti che possiate vedere a teatro.
Ma, chiaramente, vive del confronto, del rimando alla fonte, per quanto la mano registica si senta, nella creazione di un sentiero di riflessione coerente (Maicol nella presentazione che facemmo con Fazzini da Giufà si disse "continuamente sorpreso da se stesso").
Altro elemento, che forse condiziona il nostro giudizio, è il fatto di avere visto lo spettacolo in un'occasione quasi celebrativa, la prima romana con centinaia di amici e ammiratori: le battute, conosciute a memoria dal pubblico, venivano attese come il goal mentre il calciatore allo stadio piazza la palla sul dischetto del rigore.
In realtà, però, mentre ci si sbellicava andava in scena l'abisso interiore.
Risata catartica? Troppo facile.
Le bestemmie di Maicol, lo diciamo dal momento 1 di questo blog, non sono goliardia scollacciata, ma urlo disperatamente metafisico, urlo che prova a rintronare l'universo sordo per stanarne il senso metafisico, proprio negandolo, ingiuriandolo, disprezzandolo.
Come si fa con ciò che si ama ma non si riesce a possedere.
Sarebbe interessante vedere lo spettacolo in un contesto assolutamente digiuno dalla lettura delle vignette.
Chi l'ha fatto assicura che il pubblico non ride, al contrario rimane impietrito in un silenzio rapito, sciolto solo dagli applausi finali.
Ecco, in quel caso, lo spettacolo assume(rebbe) il suo sacrosanto senso.
Ridare alla scena teatrale il suo ruolo di sguardo abissale sul buio (e la luce) interiore.
P.S.
Gli Scarabocchi di maicol&mirco saranno in scena oggi durante il Bilbolbul all' Ateliersì a Via San Vitale (luogo adattissimo: si, proprio quella della Porta dopo la quale per Guccini il mondo scoppiava).
Il civico è il 69.
Ascoltate il cd postumo di Paolo Poli per ulteriori ragguagli QUI
Buona visione.
Una decisione epocale, financo apocalittica nei confronti della mia proverbiale letargia, mascherata da sicumera, la quale saggiamente mi imponeva di trincerarmi dietro l'Elogio della Pagina Bianca di Stephane Mallarmé.
Una svolta traumatica, che ha avuto come rovescio, in omaggio alla legge della polarità, l'attuale delirio grafomaniacale che vi infliggo quotidianamente.
Due sono i principali responsabili del supplizio che vi martirizza cotidie, io qui solennemente declino qualsiasi attribuzione di colpa.
Quattro anni fa esatti, su richiesta di maicol&mirco, cedevo controvoglia al martellamento storico di Lorenzo Ceccotti.
Nei miei piani, la bizzarria sarebbe sopravvissuta per la durata massima di tre settimane.
Oggi mi ritrovo a conversare ogni settimana, su testate che apprezzo, con gli artisti e gli intellettuali più importanti del panorama culturale contemporaneo.
Colgo l'occasione per ringraziare tutte le lettrici e tutti i lettori della generosa, quasi incomprensibile, fiducia.
Ho esordito proprio con una prolusione, memorabile testimonianza di squilibrio mentale, su Gli Scarabocchi di maicol&mirco QUI.
In questa tetraèteride (un modo complicato per dire "quattro anni", la cui fondamentale invenzione dobbiamo al buon Solone mentre contestava i cicli lunari di Talete), con Gli scarabocchi ci siamo fatti compagnia QUI e QUI, più in varie prefazioni, ritmando a vicenda i corrispettivi progressi nell'ambito della patologia schizoide, s'intende.
Non è un caso, dunque, che proprio in concomitanza dell'anniversario del blog, Gli Scarabocchi sbarchino a teatro.
[Siete di fronte a una bieca e menzognera forzatura, poiché già più volte lo spettacolo è andato in scena nei mesi scorsi, ma non vedo per quale motivo, nell'oceano di false informazioni in cui si naviga ogni giorno, voi dovreste esercitare il vostro spirito critico, avido di verifica dei fatti, proprio su queste mie sciocche righe.
Fingiamo, dunque, l'ennesima miracolosa coincidenza, in realtà gli abbiamo visti il 4 Ottobre, in onore a San Francesco, a Centrale Preneste Teatro durante la rassegna Teatri di Vetro]
La prima obiezione è spontanea: come portare sulla scena creature così magnificamente astratte, perfettamente iconiche nella loro spettrale inconsistenza, quasi una grottesca esemplificazione, per contrari, del concetto di Wabi-Sabi (si, il volumetto Lost in Translation ci è proprio piaciuto)?
Il concetto Wabi-Sabi, "trovare la bellezza nell'imperfezione", illustrato da Elle Frances Sanders |
Come portare sulla scena l'effetto comicamente devastante della battuta violenta che ci sorprende a pagina appena girata, o il ritmo infernale dei paradossi riassunti in una sola, crudele, spietata vignetta? Come rendere la perfezione aforistica (perfezione nera, rovesciata nell'errore assoluto) delle affermazioni definitive, che assumono risonanza universale proprio perché porte da uno scarabocchio disegnato su carta, privo di identità, di corpo, di esistenza reale, mera identità concettuale che ci inchioda alla nostra miseria? Come restituire l'atmosfera irreale del non-luogo immerso nel sangue ove ha forma la quintessenza del nichilismo più beffardo?
Come rappresentare, insomma, in carne ed ossa Gli Scarabocchi?
La sfida è folle, insensata, destinata al fallimento.
Per questo la rispettiamo con grande interesse.
Il regista Andrea Fazzini, direttore artistico del Teatro Rebis (autore, tra l'altro, di un interessante spettacolo su Sylvia Plath), la accetta con coraggio, costruendo un filo narrativo tra le centinaia di vignette sfornate dalla mente filosoficamente criminale di Maicol.
Nell'impossibilità di rendere vivi Gli Scarabocchi, ragguardevole è lo sforzo degli attori Meri Bracalente (bravissima nel passare in pochi istanti dal ghigno blasfemo alla disperazione), Sergio Licatalosi (voce puntuale del disincanto) e Fernando Micucci (esplosivo nella coda dedicata al personaggio di Ivo il Barzellettiere). Le scenografie, essenziali ma convincenti, sono opera di Cifone, mentre la colonna sonora (che Pasolini avrebbe potuto scegliere come sigla per il finale, unica scena contemplabile, di Salò- Le centoventi giornate di Sodoma) sono composte ed eseguite dal maestro MAT64.
Non celiamo la soddisfazione per aver riconosciuto in un momento dello spettacolo un nostro testo, usato brillantemente come presentazione dello spettacolo di barzellette oscene di Ivo.
Ma, insomma, come lo spettacolo?
Bellissimo, disastroso, adorabile, superfluo.
Dipende dal punto di vista.
Da un lato l'idea è geniale: Gli Scarabocchi di maicol&mirco sembrano scritti in manicomio da Antonin Artaud. Proprio per questo qualcuno potrebbe dire che il progetto è inutile: portare a teatro un fumetto che è già compiutamente teatro, ma solo all'interno del suo essere un fumetto (no, non è una supercazzola, rileggetela con calma).
Da un lato la riuscita è ottima: i tempi comici funzionano perfettamente, la gente ride fino alla diuresi incontrollata, gli attori trovano una simbiosi convincente nei botta e risposta, nelle smorfie concertate, nei gesti simulanti le creature fumettistiche.
Dall'altro, la distanza è chiaramente incolmabile, tra l'impatto della lettura e la contemplazione dello spettacolo.
In breve, lo spettacolo in sé, autonomamente funziona, e bene.
Si tratta di una delle cose più intelligenti che possiate vedere a teatro.
Ma, chiaramente, vive del confronto, del rimando alla fonte, per quanto la mano registica si senta, nella creazione di un sentiero di riflessione coerente (Maicol nella presentazione che facemmo con Fazzini da Giufà si disse "continuamente sorpreso da se stesso").
Andrea Fazzini, il sottoscritto e Maicol, coperto da bevande di varia natura |
In realtà, però, mentre ci si sbellicava andava in scena l'abisso interiore.
Risata catartica? Troppo facile.
Le bestemmie di Maicol, lo diciamo dal momento 1 di questo blog, non sono goliardia scollacciata, ma urlo disperatamente metafisico, urlo che prova a rintronare l'universo sordo per stanarne il senso metafisico, proprio negandolo, ingiuriandolo, disprezzandolo.
Come si fa con ciò che si ama ma non si riesce a possedere.
Sarebbe interessante vedere lo spettacolo in un contesto assolutamente digiuno dalla lettura delle vignette.
Chi l'ha fatto assicura che il pubblico non ride, al contrario rimane impietrito in un silenzio rapito, sciolto solo dagli applausi finali.
Ecco, in quel caso, lo spettacolo assume(rebbe) il suo sacrosanto senso.
Ridare alla scena teatrale il suo ruolo di sguardo abissale sul buio (e la luce) interiore.
P.S.
Gli Scarabocchi di maicol&mirco saranno in scena oggi durante il Bilbolbul all' Ateliersì a Via San Vitale (luogo adattissimo: si, proprio quella della Porta dopo la quale per Guccini il mondo scoppiava).
Il civico è il 69.
Ascoltate il cd postumo di Paolo Poli per ulteriori ragguagli QUI
Buona visione.
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