mercoledì 4 giugno 2014

MORRISSEY, ovvero il fascino irresistibile dell'errore




PREMESSA

Questo delirio notturno è solo un appunto rispetto alle infinite considerazioni che potremmo dedicare a una delle personalità più complesse e affascinanti della creatività contemporanea.
Ci siamo essenzialmente limitati al periodo dei The Smiths, altrimenti l'analisi avrebbe richiesto in caso di stampa l'utilizzo del corredo di lenzuola della Reggia di Caserta.
Le citazioni dai testi sono in inglese, spero che questo non comporti un problema per i lettori.
Siamo fieri comunque che queste riflessioni sanciscano il ritorno della collaborazione con LRNZ, come già nei precedenti articoli su Dylan e Bowie (QUI QUI), come illustratore grazie allo straordinario ritratto che potete ammirare sopra, 
Buona lettura!

Un odio ventennale

Se un malcapitato interlocutore avesse posto, fino a pochi mesi fa, sotto il mio sguardo furente una qualsivoglia effigie di Stephen Patrick Morrissey avrebbe assistito al più conturbante dei prodigi: dal mio petto gonfio d'ira sarebbe apparso, novello Alien, Henry Rollins in guisa d'ologramma, riferendo fedelmente le seguenti asserzioni:



Troppo potente l'originale per essere svilito in una traduzione improvvisata.
Riassumendo, Rollins dice che per lui Morrissey incarna ogni possibile aspetto orribile che un essere umano possa avere, rimpiange amaramente di non essere stato lui a dirigere il video di November spawned a Monster, poiché se ne avesse avuto l'occasione nell'ultima scena Morrissey sarebbe stato cosparso di benzina e dato alle fiamme, invita dunque il cantante britannico ad assumere un pò di vitamina C, la vita in fondo non è così male, anche se in realtà alla fine cambia idea e sostiene che invece di dargli fuoco lo prenderebbe semplicemente in giro fino a farlo urinare nei suoi pantaloni, smettendo solo nel caso Moz promettesse di non rifare mai più una cosa del genere.
Il video che ha destato queste sobrie perplessità nel compassato leader dei Black Flag è QUESTO.

Diciamo che, per come vedevo le cose fino a poco tempo fa, in realtà le affermazioni del buon vecchio Henry peccano di un eccesso di diplomazia, un tributo al politicamente corretto che francamente mi disturba e perplime.
Alla visione della copertina del The very best of Morrissey, in cui il protagonista appare nudo seduto in vasca,  le gambe pelose appoggiate sul bordo, con i piedi in primo piano ed un'ebete espressione di viscida sensualità provocatoria, beh, ho progettato seriamente di tramutarlo in uno zampirone ambulante (e si che lì avrebbe avuto ben donde nel cantare "And i now how Joan of Arc felt")
Poi però qualcosa è cambiato.
E sono qui, ancora una volta fedele all'assunto blakeano del blog, a testimoniarvi il riconoscimento delle mie errate valutazioni.

Un innamoramento maturo


Sedotto dalla irrefutabile, disarmante, miracolosa bellezza di Please, please, please let me get what i want (un'illuminazione Zen al contrario, che atterrisce nella sua intatta semplicità), ho deciso di rimuovere dalle orecchie i tappi in ghisa che mi impedivano da 4 lustri di ascoltare l'appello collettivo di miriadi di amici, un'incessante perorazione che dura dagli esami di terza media: avrei dato una chance a The Smiths.


La benedizione è che la full immersion filologica è avvenuta alle soglie del "mezzo del cammin di nostra vita", quando la cosiddetta personalità è, si fa per dire, solida e stabile. E dunque, ho potuto filtrare il potente incantesimo della voce di Moz con esperto discernimento, opporre le barriere della mia weltanschauung al richiamo di questa sirena dalla seduzione immediata e insidiosissima.
Perché, nel momento in cui vi scrivo, quella voce lamentosa, aliena, screziata da assurdi falsetti, deformata da improbabili compiacimenti virili, artefatta in un'impostazione da crooner, sospesa tra melodramma e parodia, è diventata una presenza familiare, quotidiana, irrinunciabile.
Un medicamento vitale per lenire le piaghe dell'insensato logorìo degli impegni quotidiani.
Se avessi accettato il primo invito all'ascolto a 14 anni (invece di aprire il Grande Libro della Sapienza Dylaniana), probabilmente ora invece di essere un meditante felicemente sposato, sarei il leader del Movimento LGBT vegano irredentista, in carcere per il tentato omicidio della Regina d'Inghilterra.
Perché i versi del Moz ti entrano dentro come un comandamento magico.

La necessità dell'Ombra

L'ascolto quotidiano dei The Smiths è per me un meraviglioso esercizio intellettuale, un formidabile antidoto per l'ego. Vi narro del mio personalissimo approccio non per tediarvi con uno sproloquio egoico, ma per esaltare la grandezza dell'Autore.
Dacché, prima che personaggio, cantante, icona, Morrissey è soprattutto un pregevolissimo maestro di scrittura. E ciò che mi seduce irrefrenabilmente dei suoi versi squisiti, ciò che mi conquista della sua sofisticata retorica è che per me, filosoficamente, è tutto sbagliato.
Sono rarissime le affermazioni, nelle stentoree strofe che ho memorizzato dopo pochi giorni di febbrile esplorazione sonora, che sottoscriverei. E più l'assunto è da me distante, più l'asserzione è severa, più artisticamente espugna le mie resistenze critiche.
Spezzando le manette della mente, nevvero?
Ecco ad uopo una rapida rassegna di alcuni dei miei brani prediletti accostati a frammenti delle mie convinzioni:
Strech out and wait: predico il distacco dai sensi, considero lo sdoganamento della trasgressione sessuale un enorme trucco industriale del fantomatico Sistema per annebbiare le coscienze, abbassare il livello di coscienza collettivo, disperdere energie potenti in una stanca coazione a ripetere. L'inganno dei dogmi freudiani è per me la maledizione di questo Kali Yuga. Anche schiettamente  dal punto di vista del mero piacere, quale decadenza! La promiscuità della artefatta "rivoluzione sessuale" ha prodotto generazioni di frustrati, insoddisfatti perenni proiettati verso la prossima perversione, nel vano tentativo di differire un piacere che in realtà, smarrita la spontaneità, è una condanna alla noia.
Eppure, non resisto, artisticamente, al languore poetico di questo invito all'abbandono erotico, all'irresponsabilità del piacere come unico rifugio nella vanità del tutto. Un brano in cui l'eleganza del versificare morrisseyano, accompagnato da una melodia insieme intima e antica,  raggiunge forse il suo apice: "Amid concrete and clay/ And general decay/ Nature must still find a way/ So ignore all the codes of the day/ Let your juvenile influences sway/ This way and that way/ This way and that way/ God, how sex implores you/ To let yourself lose yourself". Versi scritti nei disinibiti anni'80, tuttavia capaci di decostruire condizionamenti sociali come fossero scagliati contro l'era vittoriana dell'amato Wilde. E ancora, in conclusione: ""There is no debate, no debate, no debate/ How can you conciously contemplate/ When there's no debate, no debate?". L'abbandono all'istinto non solo come conforto della misera finitezza umana ("Let your puny body lie down, lie down"), ma come liberazione dall'assillo del pensiero.
Ask: considero la timidezza una piaga sociale da estirpare con un'educazione spartana, da temprare (come avvenne nel mio caso) nelle più crudeli periferie, affinché sorgano alti nel carattere gli stendardi dell'entusiasmo e dell'autostima. Ciò nonostante, ammiro nella lieta dolcezza di questa canzone una delle massime espressioni di felicità (nel senso di realizzazione) di quello che in un mondo giusto ed equo sarebbe il pop.
Meat is Murder: sono un chef follemente carnivoro, la cui cucina si fonda sul soffritto, lo strutto, il guanciale e il ragù in ogni forma (potete constatare QUI). Ma considero questo inno anticarnivoro una delle più potenti strumenti di persuasione dell'arte moderna. La costruzione retorica della canzone è perfetta. Posta la premessa maggiore (discutibile, ovviamente), il sillogismo si svolge con un rigore argomentativo invincibile: dopo la commozione indotta teatralmente dal verso "this beatiful creature must die", la logica stringente di "a death for no reason/ and death for no reason is murder" viene ribadita dal fermo diniego di chi si oppone all'ingiustizia: "no, no, no/ it is murder".
  Still Ill:  la mia convinzione filosofica si fonda sul riconoscimento della non-dualità, lo svelamento della povera illusione del materialismo, da cui scaturisce una concezione vitale e dinamica dell'esistenza. Ecco, appunto: "Does the body rule the mind/ Or does the mind rule the body?/ I don't know..". Qui, addirittura in questa versione magnificamente gigiona dal vivo (quella dello splendido album Rank) la propria non-conoscenza viene  urlata con sfrontatezza sbarazzina. Un'ammissione che non ha nulla di socratico, ma che inghiotte tutto nella mancanza di senso.
Ancora una volta: dissento filosoficamente, ammiro esteticamente.
Heaven knows i'm Miserable now: il titolo è sufficiente: sono ostile ad ogni relativismo, disprezzo l'auto commiserazione, preferisco la rabbia alla tristezza, il disprezzo virile a qualsiasi forma di lamentosità esistenzialista. Bene, questa canzone è praticamente divenuta il mio inno e il mio scudo, ogni mattino che mi reco al lavoro.
Death of a Disco Dancer: dedico il mio tempo libero ad attività di volontariato connesse alla meditazione, diffondendo nelle scuole di tutto il mondo il messaggio che la pace interiore è l'unica via per realizzare il sogno di Gandhi, Mandela, Martin Luther King (ne ho parlato QUI). Forse proprio per questo, adoro la coda finale del brano, lo sberleffo sardonico a tutto ciò in cui credo: "Love, Peace and Harmony/ Love, Peace and Harmony/ Oh very nice, very nice, very nice..... but maybe in the next world".
There is a light that never goes out non ho mai contemplato la possibilità del suicidio, faccio strame di ogni romanticismo...non credo ci sia bisogno nemmeno di citare i versi, essendo uno dei ritornelli più famosi degli ultimi 30 anni!

Eppure, da queste premesse diametralmente opposte, Morrissey ha scritto versi che mi potrei tatuare, nella loro potenza distruttiva di inno antisociale: dal memorabile "Burn down the Disco/ Hang the blessed D.J./Because the music that they constantly play/ IT SAYS NOTHING TO ME ABOUT MY LIFE" (Panic, ovviamente); al perfetto nihil sulla società inglese: "Pass the Pub who saps your body/ And the church who'll snatch your money" (The Queen is Dead); fino a un verso meraviglioso, davvero degno di un Oscar Wilde reincarnatosi in un punk: "Boot the grime of this world in te crotch, dear" (Sheila, take a bow). E' proprio la diversità a dettare l'empatia profonda, sono i percorsi opposti che fanno giungere alle medesime conclusioni.
Schizofrenia? Tutt'altro. L'opposto, invero.
La riconciliazione con la propria Ombra è il preludio ad una personalità integrata, Jung docet.
Ascoltando The Smiths, ogni giorno concedo la parola all'opposizione nel mio parlamento interiore, e questo garantisce l'equilibrio democratico della mia psiche.




La contraddizione come dogma e maschera

In realtà, questo specchiarmi nel mio opposto come un Narciso ubriaco, proprio ciò mi pone in assoluta sintonia con un autore la cui grandezza consiste nell'incarnare poeticamente la contraddizione.
Tratto peculiare e fondativo di tutta la carriera artistica del Nostro.
Fin dal nome del celebre gruppo. Un dandy,  misantropo, antisociale, fiero della propria diversità, altero nella sua bizzarria,  indifferente allo scandalo dei benpensanti ("And if the people stare/ Then the people stare/ Oh I really don't know and I really don't care" da Hand in Glove, il primo singolo-manifesto del gruppo)
sceglie come nome identificativo della propria band il cognome più diffuso e anonimo del proprio paese: The Smiths. Un animo aristocratico che odia i regnanti, un misantropo che ama il popolo.


Dalla parola all'azione: nella leggendaria apparizione televisiva a Tops of the Pops, Moz entrò nella memoria collettiva come il paradosso incarnato. Impugnando per tutto il tempo dell'esibizione in playback un mazzo di  gladioli agitati come una mazza ferrata, il frontman diviene il correlativo oggettivo della poetica del gruppo: la fragilità come corazza , la poesia come un'arma, la sensibilità ostentata come un oltraggio.
Paradosso uguale e contrario avverrà durante le celebri esibizioni dal vivo di Panic: durante i versi sopracitati che invitano ad impiccare il Dj, Morrissey agita il cappio danzando sulle note di un inno giocoso, nel video ufficiale si vedranno dei bambini saltare a corda al ritmo di "Hang the Dj, hang the Dj".


E' il fascino irresistibile della contraddizione, che reclama il sacrosanto diritto ontologico all'errore,  a fare di Moz un nazionalista che odia il suo Paese, un conservatore che odia la Thatcher, uno snob adorato dalla classe operaia. Un artista che non solo nelle canzoni, ma ossessivamente nelle interviste ripete: "i don't know, i really don't know", e viene seguito tuttora come un profeta e un maitre à penser.
Si potrebbe mettere una pietra tombale asserendo che si tratta di un lunatico, ed archiviare il caso.
Ma la nostra invincibile curiosità ci impone di scoprire le mille angolature di questa personalità irrisolta, gravide di intuizioni artistiche: da un lato l'apologia della fragilità adolescenziale (basti pensare a Half a Person), dall'altra la seduzione, il fascino del vandalo, del delinquente, dell'assassino (Sweet and Tender Hooligan). Addirittura, nella stessa canzone convivono la dichiarazione di disagio sociale più divertente a memoria d'uomo ("I tried living in the real world/ Instead of a shell/ But before I began/ I was bored before I even began"), la richiesta incondizionata d'amore egoistico ("Learn to love me/ Assemble the ways/ Now, today, tomorrow and always") e l'invito alla ribellione sociale, subito smentito e parodiato ("SHOPLIFTERS of the world/ Unite and take over/ SHOPLIFTERS of the world/ Hand it over").
Nel già citato capolavoro Still Ill, questo processo di argomentazione per assurdo arriva ai massimi livelli.
Il memorabile incipit "I decree today that life/ Is simply taking and not giving/ England is mine and it owes me a living", nella sua grottesca solennità,  viene rinforzato dallo splendore della pura aggressività dialettica di "Ask me why and I'll spit in your eye". Morrissey è inarrivabile nell'esprimere disprezzo, disgusto, sdegno.
Pensiamo all'incipit semplicemente epico di The Headmaster Ritual: "Belligerent ghouls/ Run Manchester schools/ Spineless swines/ Cemented minds". Versi validi per qualsiasi congrega al potere in ogni tempo e luogo.
I suoi trionfanti necrologi all'indomani della morte della Thatcher (sognata nella preghiera collettiva che chiudeva il primo disco solista) sono un manuale di testo che andrebbe messo in coda all'edizione Adelphi de L'arte di insultare di Schopenhauer.
Eppure, fu proprio lui, in una delle più grandi canzoni mai scritte sull'amore rifiutato (I know it's over, come tutte le sue vette personalissima e universale), a sancire uno dei pilastri etico-estetici che ci ispirano: "It's so easy to laugh/ It's so easy to hate/ It takes guts to be gentle and kind".
Il Male è banale, la gentilezza d'animo è rivoluzionaria.
Un'ultima considerazione, delle numerose che potremmo alternare, sulla doppia anima, aristocratica e popolare del Moz, me la dovete concedere da romano. Nel brano You have killed me, dedicato a Roma, Moz esordisce indentificandosi con Pasolini. Nella sua autobiografia, però, descrive come luogo di incantevole spontaneità, teatro di una gioventù spensierata e ridente, non le selvagge ma vitali periferie pasoliniane, bensì Piazza Euclide. I Parioli. L'epicentro dei fatti di cronaca nera che fecero dichiarare proprio a Pasolini, in polemica con Moravia, l'irrimediabilità del "mutamento antropologico": contrapponendo la crudele indifferenza dei ragazzi borghesi, esattamente di quella zona,  all'energia, amorale ma sincera, dei suoi amati ragazzi di vita.
Diverse sensibilità? Tempi cambiati? Moz è troppo colto e sensibile per cadere in trappole per turisti.
La sua coscienza dell'antinomia si rivela nell'elemento dominante dei suoi testi, in quello che Pirandello chiamava appunto il "sentimento del contrario": l'umorismo.



L'humour come grazia e redenzione

E' vero, se contiamo le occorrenze, nelle sue liriche Morrissey menziona la morte molto più di un sacerdote nella liturgia funebre (citata non a caso direttamente in Sweet and Tender Hooligan, "in the midst of life we are in debt"). E' vero, si definisce "Sorrow's native son", parla sempre di tendenze al suicidio, di rinuncia alla vita o estinzione. Questo ad un livello superficiale.
La splendida verità è che quasi tutti i suoi testi sono pervasi da humour sottilissimo, che in quanto tale, quando viene colto, esplode devastante come una gag di Buster Keaton sotto benzedrina.
E non solo in quelli dichiaratamente umoristici si trovano battute fulminanti, come Vicar in a Tutu ("It was worthwhile living a laughable life/ To set my eyes on the blistering sight/ of a Vicar in a Tutu") o Frankly, Mr.Shankly ("But sometimes I'd feel more fulfilled/ Making Christmas cards with the mentally ill").  E non ci riferiamo nemmeno alla brillante stravaganza di Bigmouth strikes again (addirittura con la voce accelerata che doppia e prende in giro simultaneamente un Moz al culmine dell'autoironia),
No, no: proprio nei brani che la massa imbecille considera deprimenti.


Spesso la bici è il veicolo dell'antieroe morrisseyano, di questo moderno Wilde camuffato nei panni goffi di Mr.Bean. Pensiamo all'inizio fantozziano di This Charming Man, anticamera dell'incontro fatidico ("Punctured bicycle/ On a hillside desolate/ Will Nature make a man of me yet?"). Ma, soprattutto, in Stop me if you think you've heard this one before: "I was delayed, I was way-laid/ An emergency stop/ I smelt the last ten seconds of life/ I crashed down on the crossbar/ And the pain was enough/ to make a shy, bald buddhist reflect/ And plan a mass-murder".
Nemmeno il Woody Allen dei bei tempi.
Spesso, le battute sono così genialmente sottili che Moz dal vivo le esplicitava, o nell'interpretazione grottesca o proprio enfatizzandole l'effetto comico. Penso ancora a Still Ill, al magistrale climax antiromantico "Under the iron bridge we kissed/ And although I ended up with sore lips...", oppure alla adorabile variazione di You've got everything now  "I never got a job...because i'm too sensible!", o, per finire, con una sequenza degna dei migliori Monty Python, all'inizio di A Rush and A Push of the Land and the Land is Ours: "I travelled to a mystical time zone/ And I missed my bed/ And I soon came home".

Non a caso la grafica Lauren Lo Prete,  rivelando un quoziente intellettivo in zona Pico della Mirandola, è stata visitata dall'intuizione definitiva: associare i testi dei The Smiths alle strisce dei Peanuts.
I risultati si annoverano tra i motivi per continuare a stare al mondo.









E dal cerchio magico di questo anello di congiunzione, tra umorismo intelligente e giocosità infantile, schiuderemo il nostro ultimo volo pindarico.

L'inalienabile diritto all'eterna adolescenza

Per quanto i primi versi della la prima canzone del primo album del gruppo (Reel around the Fountain) descrivano, con un certa ambiguità tra rimpianto e compiacimento, la perdita dell'innocenza, già in quella canzone agisce la panacea d'ogni negatività: l'ironia che con intelligenza va sfumare gli eccessi dell'età adulta (e adulterante). Il sogno romantico è subito smentito dall'amara constatazione della realtà, eppure l'effetto è salutarmente comico: "I dreamt about you last night/ And I fell out of bed twice/ You can pin and mount me like a butterfly/ But "Take me to the haven of your bed"/Was something that you never said".
Morrissey, pur nel suo sofisticato aplomb intellettuale e nella sua matura disillusione, rimane un eterno adolescente, ancora scioccato dalla tremante scoperta della pubertà.
Questo è il carisma della sua protesta, questo è il fascino del suo sguardo.
Pensiamo a quella gemma provocatoria di Nowhere Fast: "I'd like to drop my trousers to the Queen/ Every sensible child will know what this means". Appunto, ogni bambino di buon senso: saggezza e innocenza.
Le qualità su cui per tutta la vita sputerà esteriormente, sono quelle a cui ambisce interiormente.
Prima ancora che "La Regina è Morta", il Moz si ricorda che "Il Re è Nudo".
Pensiamo all'incanto di Sheila take a Bow , non per nulla ispirata al Bowie felicissimo di Kooks:




è la meraviglia dell'adolescenza la grande Musa di Moz, quel cosmo interiore di proiezioni mitiche, benedette irresponsabilità, spensieratezza liberatoria, sfrontata indifferenza verso tutto.
La già citata Heaven Knows, I'm Miserable Now, nell'apparentemente capriccioso anelito alla libertà, scoperchia l'ipocrisia della sovrastruttura sociale, nel più semplice dei "perché?", urlato come da un bimbo che pesta i piedi: "In my life/ Why do I smile/ At people who I'd much rather kick in the eye?".
Una domanda che tutti ci siamo posti, e che Moz ripropone come dilemma esistenziale, obliterando il buon senso di qualsiasi ovvia considerazione utilitaristica. La responsabilità è sacrificata volentieri sull'altare dell'autenticità. Gli fa eco ancora Still Ill, in pochi versi in cui c'è tutta la magia dei The Smiths: "And if you must go to work tomorrow/ Well, if I were you I wouldn't bother/ For there are brighter sides to life/ And I should know because I've seen them/ But not often". La protesta, il disprezzo delle convenzioni, l'invito alla bellezza, l'ironia amara.

Per questo abbiamo bisogno di una dose quotidiana dei The Smiths.
Nel soffocante tritatutto del meccanismo sociale, in questa folle cieca macchina fondata sul profitto votata all'autodistruzione in cui tutti siamo ostaggio, il giovane Moz ci ricorda il diritto all'errore, alla stonatura fuori dal coro, alla fierezza d'essere l'ingranaggio che inceppa il sistema, alla diversità proclamata a testa alta.
Rivelatori più che mai i versi  iniziali di The Boy with the Torn in His Side: "Behind the Hatred there lies/
A murderous desire for love". Ancora la contraddizione, ancora l'umorismo come sentimento del contrario, più che mai lo splendore ribelle e sofferente dell'adolescenza.
Nell'apparente frase ad effetto, nell'ennesimo paradosso wildiano, si cela il segreto più illuminante: è la sete d'amore a rendere violenti, ribelli, oltraggiosi, diversi.
Tornano in mente i versi sublimi del XVI Canto del Purgatorio dantesco, in cui ritengo si spieghi tutto.
Ma proprio della vita in generale:
"Esce di mano a lui che la vagheggia
prima che sia, a guisa di fanciulla
che piangendo e ridendo pargoleggia,
l'anima semplicetta che sa nulla,
salvo che, mossa da lieto fattore,
volontier torna a ciò che la trastulla.
Di picciol bene in pria sente sapore;
quivi s'inganna, e dietro ad esso corre,
se guida o fren non torce suo amore."



Qualsiasi nostra esperienza, dalla più banale e prevedibile alla più folle e trasgressiva, è solo un effetto esteriore della causa primordiale: l'inconscia ricerca d'Amore.
Non a caso, nel brano forse più famoso del gruppo (How Soon is Now?, quasi un koan zen),  Morrissey il dandy, il misantropo, l'antisociale, colui che sa di essere sgradevole ("you don't have to tell me"), scioglie l'armatura dialettica nella più universale delle confessioni:
 "I am Human and I need to be Loved/ Just like everybody else does".

2 commenti:

  1. Brutalmente parlando, gli Smiths rappresentano nella mia memoria "la musica di quando non capivo una mazza". La musica che non ascoltavi ma che di colpo ti sei messo ad ascoltare per farti ad arte indottrinare da una ragazzina carina persa nei suoi falsi miti di regresso dandy. E per guadagnare così il diritto di indottrinarla con altre regole, su altri piani.
    Ma, in realtà, Morrissey mi ha sempre fatto ridere, più che incazzare à la Rollins (ma quanto era disturbato da giovane? Ma che faccino disfuzionale ha?). Ridevo un po' di lui e un po' con lui, come ridi delle manie e follie di un amico che però wow, come scrive lui non scrivono in molti. Lo prendevo un po' come un baustello ante litteram (e ante baustelle, ovviamente, si parla dei primi '90). La verità è che amavo la musica di Marr, amavo il suo modo di cantare, amavo la ragazzina e il resto boh, pazienza. Anche da solista la sua voce mi bastava (Vauxall and I è un capolavoro, secondo me).
    La tua analisi mi costringe a realizzare che sì, ora, nei miei quarant'anni, da spartire con il Moz passato, presente o futuro ho - filosoficamente - ben poco pure io, che nella mia ignoranza rilevo comunque una certa affinità col tuo sentire. Eppure il suo dandysmo continua a divertirmi perché non riesco a crederlo vero, perché so come la ricerca dello stile e della posa siano per tutti uno scudo e un'arma di conoscenza allo stesso tempo, strumenti che l'essere consapevole sa sfruttare per lavorare sulla propria coscienza da cucciolo smarrito nell'immensità.
    e parte l'ascolto forzato di tutto Moz da capo. Spero di resistere al flange delle chitarre anni Ottanta. Che il Tutto mi dia la forza.

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  2. grazie sempre dei tuoi commenti, preziosi e puntuali

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