Festeggiamo la vigilia di Natale con l'ennesimo capitolo di #tavolidadisegno su FUMETTOLOGICA . Stavolta siamo andati a trovare il buon vecchio Leomacs, col quale già avemmo il piacere di conversare, più in generale, QUI. Dialogo in quel caso fregiato dall'illustrazione ad personam di maicol&mirco. Con Leomacs non ci si annoia mai, ogni occasione è spunto per un aneddoto gustoso o una riflessione sagace. Quando cultura ed umorismo si uniscono in matrimonio benedetti dall'intelligenza, i figli non possono che essere tipi affascinanti Come le sue tavole. L'intervista odierna la trovate QUI.
Un articolo "in difesa" di Zerocalcare all'interno di un dibattito sul suo grande successo, esploso negli ultimi due anni, contrapposto all'articolo "contro" di Andrea Coccia.
Credo siano necessari alcuni chiarimenti: la cornice dialettica in forma di "ring" pro/contro, da alcuni considerata discutibile, è giocosa, non pretestuosamente polemica.
E' palese che l'autore di maggior successo nell'ambito fumettistico nazionale non abbia bisogno di alcuna "difesa".
Se uno legge il mio articolo, fin da l'inizio me la prendo proprio con le contrapposizioni guelfi/ghibellini che divampano su ogni artista che acceda ad una qualche forma di successo.
Un'abitudine tutta italiota, di gettare nello stesso calderone qualsiasi cosa che esca dalla nicchia nobile e autoreferenziale dell'underground.
Per cui ci si scatena, alla cieca, nell'attacco indiscriminato a Roberto Saviano, Checco Zalone, Fabio Volo e Zerocalcare, come se appartenessero alla stessa categoria, senza discriminare e valutare ognuno dei "fenomeni" nella sua giusta luce: uno scrittore valido ma non straordinario, un comico sguaiato ma tutto sommato innocuo, una furbissima fornace di banalità spacciato come aforista per le masse e, infine, un onesto giovane fumettista.
Ora, secondo me, è chiaro a chiunque sia sano di mente e non roso dal demone dell'invidia che, se leggiamo le classifiche dei libri più venduti e troviamo "Dodici" tra Fabio Volo e Bruno Vespa, Zerocalcare (anche se può non piacerci) rappresenti il "bene"!
Intendo,come deve riconoscere anche il suo peggior detrattore, un autore genuino che ha successo raccontando le sue storie.
Non un prodotto dell'industria delle distrazioni di massa, né un viscido Servo del Male.
Quindi, non comprendo l'accanimento snobistico nell'affossare le sue opere.
In generale, tornando al dibattito, si è inteso analizzare, da due punti di vista diversi, ma non inconciliabili, il "fenomeno" editoriale.
Se si va alla sostanza delle argomentazioni, e non ci si ferma alla forma esteriore dell'operazione giornalistica, nessuno dei due articoli è "contro" l'artista, anzi, tanto meno la persona. In realtà, come moltissimi lettori hanno rilevato, gli articoli credo siano entrambi equilibrati, di fatto complementari, su alcuni punti praticamente concordi. Le considerazioni "contro" nascono comunque dall'apprezzamento dell'autore, e le mie a "favore" non risparmiano rilievi. Nessuna polemica parassitaria, dunque, solo il desiderio di sviscerare in maniera più approfondita un fenomeno sui cui a volte si è cianciato a caso.
Le votazioni, finora, sembrano concedermi, com'era prevedibile, una larga maggioranza di preferenze. Qualora si confermassero questi risultati, comunque vada l'onore delle armi al mio amico Andrea per aver avuto il coraggio di interpretare lo scomodo ruolo del bastian contrario.
P.S. Se volete ancora votare la regola è: se siete a favore votate, se siete contro...astenetevi;)
E' con grande piacere che oggi vi presento un'intervista a cui tengo molto:
una conversazione con Vanna Vinci, un'autrice colta, arguta, elegante, il cui umorismo impregnato di asprezze nichiliste e sfregi al conformismo è uno dei più dolci balsami che il fumetto contemporaneo possa offrirci per lenire le piaghe della stupidità imperante.
La parte della nostra lunga chiacchierata relativa alle sue opere, al suo stile, quella diciamo più tecnicamente fumettistica, la trovate QUI sulle colonne di FUMETTOLOGICA
Presto, su questo blog, pubblicheremo l'altra parte, quella più libera e divertita, in cui spaziamo per associazioni folli da Schopenhauer fino ai Cramps.
Discettare con Vanna è uno dei piaceri della vita.
Citando la celebre frase di un film:
"I think it's the beginning of a beatiful friendship!".
(No, non mi riferisco a "Casablanca", ma a "Gatto Nero, Gatto Bianco", che cita "Casablanca")
E' con grande contentezza che vi introduco l'articolo odierno.
Scrivere su linkiesta.it la recensione di quello che è oggettivamente il libro dell'anno, nel mondo del fumetto italiano cosiddetto d'autore, è senza dubbio un onore.
Stiamo parlando di "Unastoria" di Gipi.
Un libro così potente da riuscire a travalicare finalmente anche al di là dei limiti del ghetto culturale in cui il fumetto viene da sempre confinato, come da lui ben evidenziato nello scambio con Concita De Gregorio, giustamente divenuto frammento di culto tra gli appassionati dell'"arte invisibile"..
P.S.
I precedenti articoli, l'intervista a "Splatter" di Paolo d'Orazio e la recensione di "Corpicino" di Tuono Pettinato (li trovate QUI e QUI), hanno avuto un notevole feedback di condivisioni ed apprezzamento.
Speriamo di ottenere un'ascesa esponenziale in entrambi i parametri di gradimento.
Oggi per la consueta rubrica #tavolidadisegno intervistiamo Massimo Giacon.
Molto interessanti, oltre le risposte più tecnicamente fumettistiche, le sue considerazioni sulle icone politicamente scorrette.
Le foto (ci sono delle autentiche chicche;)) sono di Daniela Odri Mazza.
Esattamente venti anni fa, a quest'ora, tornavo da scuola a casa di mia nonna (personalità straordinaria alla quale devo geneticamente molte delle mie capacità dialettico-argomentative), con la quale all'epoca vivevo.
Mia nonna mi accoglie con la notizia: "E' morto Frank Zappa".
Io rimango senza parole, colpito dalla paradossalità della scena: "Come? Non ho capito...", e lei insiste: "Frank Zappa, il cantante americano, con i capelli lunghi e i baffoni! Ma che non lo conosci? Era un pazzo, ma era geniale. Mi dispiace".
Stessa scena era avvenuta due anni prima in occasione della morte di Freddy Mercury.
Ma, comprenderete, l'impatto in questo fu ancora più paradossale, spiazzante, surreale.
In una parola zappiano.
Zappa fu (accanto a Dylan, il "Don Giovanni" di Mozart e i Velvet Underground) la colonna sonora della mia adolescenza. Il suo poster gigantesco campeggiava nella mia cameretta con un'espressione di beffarda eleganza.
Come già menzionato in questo blog, ogni sera dei miei sedici anni trovava il suo apice nella scena consueta: Lorenzo Ceccotti, Daniele Capuano (che ce lo aveva fatto amare) e il sottoscritto per i vicoli di Trastevere, a intonare ebbri integralmente almeno uno dei tre capitoli formanti la formidabile trilogia iniziale "Freak Out", "Absolutely Free" e "We're Only in it for the Money".
Se Dylan era la porta verso la poesia, la ricerca spirituale, il cantore dei sentimenti nobili e degli ideali vibranti, Zappa per me incarnava magnificamente la pars destruens (come nel prosieguo della mia formazione culturale faranno Cèline nella letteratura e Carmelo Bene nella riflessione filosofica), lo sberleffo trionfante dell'intelligenza nei confronti della sconfortante insensatezza del Brutto che ci assedia.
Senza di lui non avremmo avuto probabilmente: Prince, i Primus, Stefano Bollani, "I Simpson", "I Griffin", "South Park", Elio e le Storie Tese etc...ognuno di noi pensi quanto deve a quest'uomo.
Tale fu il debito di riconoscenza che il nostro primo tentativo editoriale fu intitolato "Lampi Grevi", in omaggio al suo primo disco solista "serio" (per quanto possa avere senso tale definizione) "Lumpy Gravy".
Eccone il formidabile tema principale, per anni inno interiore delle nostre gesta:
A quella fanzine, dalla breve ma gloriosa esistenza, collaborarono (da co-fondatori) quelle che con molto affetto definisco alcune fra "le menti migliori della mia generazione": oltre ai citati Ceccotti e Capuano, c'erano Gianluca Abate, Lucio Villani, Daniele Catalli, Mariachiara Di Giorgio come valenti disegnatori, Francesco Fava, Alessandro Caroni, Luca Cruciani, Francesco Di Giorgio come fertili menti di idee e contenuti (chiedo perdono a chi eventualmente abbia dimenticato).
Lo strambo nickname che dà il nome al blog che state leggendo ebbe origine proprio in quel periodo, esattamente dal fotoromanzo "Neve e Sangue", ambientato a S.Pietroburgo e girato alla Garbatella, partorito dalle menti geniali di Alessandro Caroni e Luca Cruciani.
Oggi, per commemorare il ventennale della scomparsa, Lucio Villani sul suo blognon a caso ha ritratto proprio la copertina di quell'album.
Zappa visto da
Lucio Villani
Come raccontare la grandezza di Zappa nella tirannica brevità di un post?!
(già sento le vostre battutine, sciocchi!)
Vorrei sottolineare aspetti meno immediatamente evidenti di quelli che chiunque può ricordare (il genio musicale, il respiro orchestrale delle sue composizioni, la provocazione oltraggiosa, lo sberleffo anti-perbenista etc.)
La prima considerazione è quella di sottolineare l'intelligenza assoluta, tutt'altro che sregolata, ma lucidissima, matematica, inesorabile del suo progetto musicale e della sua visione culturale.
A riprova di ciò, Zappa fu uno dei principali riferimenti del primo, fortunato post di questo blog (lo trovate QUI)
Come dice il titolo di uno dei suoi, se non erro, 64 dischi, Zappa & the Mothers of Invention erano davvero "Ahead of their Time": un anticipo strabiliante sui loro tempi che ora a distanza quasi di 40 anni dall'esordio dobbiamo pubblicamente riconoscere.
Solo un genio poteva architettare la più grande parodia del movimento hippy in tempo reale. "We're only in it for the money", parodia frontale del disco feticcio dei Beatles fin dalla copertina.
Un disco che dimostra (oltre che una ricchezza incontenibile di spunti musicali e acrobazie melodiche) una capacità di analisi culturale che in quegli anni forse ha avuto solo Pasolini, e Gaber poi, per rimanere in Italia.
Solo un genio poteva decostruire seduta stante il mastodontico movimento culturale di illusoria ribellione, i cui penosi strascichi scontiamo ancora oggi nella sistematica inversione di segno di tutti i suoi protagonisti (per rimanere sempre nel nostro Paese si pensi alla larga parte di militanti di "Lotta Continua" trasferitisi in blocco tra le file berlusconiane).
Solo un genio poteva creare una bomba contro l'ipocrisia yankee come "Brown shoes don't make it", cioè "American Beauty" più corrosivo e profondo fatto trent'anni prima in 7.30 minuti di genio satirico assoluto: pochi minuti in cui Zappa riesce a prendere in giro magnificamente praticamente chiunque (da Schoenberg a Jim Morrison) scoperchiando sardonico il tappeto del perbenismo W.A.S.P., e mostrando spietatamente l'immondizia morale che ne era la sostanza.
E poi, potremmo parlare ore (sono vent'anni che lo facciamo!) dell'infinita aneddotica oltraggiosa, che ha reso Zappa il monumento vivente al politicamente scorretto vero, ben più delle adorabili provocazioni di "Catholic Girls", "Bobby Brown" o "Jewish Princess" (ebbe l'infallibile prontezza di raccogliere tutti i suoi brani offensivi nell'antologia "Have i offended someone?").
Mi riferisco soprattutto ai suoi rapporti con gli altri grandi geni del rock.
Dalle scaramucce sul palco con i Velvet Underground durante il concerto del 1966 (si dice che gli introdusse più o meno: "ora suonano loro, fanno schifo", approfondimenti QUI); allo stentoreo "Fxxx You, Captain Tom" ripetuto a David Bowie, colto di sorpresa a soffiargli il chitarrista Adrian Belew (lo racconta quest'ultimo QUI); al famoso episodio con Dylan: dopo averlo accolto con giocose battute antireligiose, la leggenda narra che Zappa rispose alla proposta di fare un disco insieme (da parte ricordiamo del futuro Premio Pulitzer e più volte candidato al Premo Nobel per la Letteratura) : "Va bene Bob, ma i testi li scrivo io!" (va detto che Bob era reduce dalla trilogia cristiana ben poco affine all'ispirazione di Frank, come spiegato QUI);
Come non menzionare il colpo di teatro assoluto: la candidatura al Presidente degli Stati Uniti d'America.
Il genio.
Ora, personalmente non condivido l'iper-laicismo ideologico di Zappa, ma vederlo sbeffeggiare l'ottusità della censura perbenista americana con i suoi proclami alla Groucho Marx è uno dei grandi piaceri della vita (dato questo assunto QUI, gioitene QUI).
Questo intende essere solo un doveroso omaggio, senza nessuna pretesa esaustiva di raccontare una carriera irripetibile.
Ma soprattutto, vuole essere un invito a non confinare un artista straordinario nelle stanche etichette di "provocatore", "goliarda", "genio e sregolatezza". Frank Zappa è stato non solo uno degli artisti più eclettici e preparati della recente storia musicale americana, ma è stato una delle poche figure della cultura "pop" a manifestare la consapevolezza culturale dei grandi maestri.
Il talismano dell'intelligenza contro i condizionamenti della società.
Era anche un fulminante aforista.
Tra le innumerevoli citazioni, scelgo: "Se passi una vita noiosa e miserabile perché hai ascoltato tua madre, tuo padre, il tuo insegnante, il tuo prete o qualche tizio in tv che ti diceva come farti gli affari tuoi, allora te lo meriti." Non dimentichiamocelo mai. Grazie Frank.
Per l'ormai consueta rubrica #tavolidadisegno su FUMETTOLOGICA oggi è il turno di Marco Galli.
Un autore particolare, a me molto caro, col quale ho il piacere di confrontarmi quotidianamente sui social network su vari temi. Un dialogo sempre rispettoso e stimolante.
Ecco, un esempio lo trovate QUI.
La sua ultima opera, "Oceania Boulevard", per i tipi di Coconino, è una pregevole rivisitazione del genere noir, immersa in atmosfere evidentemente lynchiane.
Ma, pur nel dichiarato omaggio dei riferimenti, il racconto cattura per originalità e visione, lo stile straniante eppure fascinoso rende la lettura incisiva e difficile da dimenticare.
Tutti i grandi cantautori, come tutti gli autori in genere, sono attraversati da una nota dominante, da un basso continuo che percorre come un costante sottotesto la loro opera, riaffiorando in ogni variazione ed esperimento. Ad esempio, in Dylan è l'inquietudine della ricerca spirituale, in Cohen il combattimento tra mistica e sensualità, in Guccini il rimpianto delle possibilità mancate, smarrite nei gorghi del tempo.
Quella di Nick Cave è certamente l'ossessione.
Ossessione che si esprime nella ripetizione stessa dei ritornelli dei suoi brani più classici: l'inno amorale dei "natural born killers" ante litteram "Deanna", l'ineluttabile arresa alla possessione di eros/thanatos in "Do you love me?"
Ossessione che si declina tentacolare, già nei brani menzionati, sui temi cardine della torturata vicenda umana: l'amore e la religione.
Nel primo caso, si pensi alla dinamica speculare delle due grandi canzoni d'amore (non a caso entrambe "murder ballad" dall'ispirazione popolare), le due incursioni incendiarie nel mainstream: i duetti con P.J.Harvey e Kylie Minogue. L'archetipo è fortissimo, scolpito dal "Cantico dei Cantici": "Amore è forte come la Morte". Due racconti di passione erotica che divengono furia omicida.
Il primo ("Henry Lee"), conturbante gioco di seduzione e distruzione fra le due icone "alternative" della canzone d'autore; il secondo ("Where the wild roses grow") geniale inversione dell'icona sexy scioccherella nella mortuaria bellezza preraffaellita (omaggiato non a caso da Dylan nella paradossale leggerezza "Bye and Bye").
Nel secondo caso, l'ossessione religiosa, il percorso meriterebbe un saggio a parte, nella sua stordente ricchezza antinomica: dalle bestemmie scritte sul petto (in italiano!) ai tempi dei The Birthday Party alla dialettica disperante di "As i sat sadly by her side" (il suo capolavoro al quale dedicheremo presto una riflessione a parte), dalla commossa confessione di "Into my arms" all'aperta parodia di "God is in the House", dalla contrapposizione frontale col comandamento evangelico di "Dig, Lazarus, Dig!" all'apertura verso il divino meraviglioso della recente "Mermaids". Il percorso spirituale in costante divenire, tra sfregio blasfemo e raccoglimento interiore, è ben raccontato in questa introduzione al Vangelo di Marco del Nostro, una testimonianza unica e illuminante (la trovate QUI)
Ossessione che ritorna in tutti i grandi brani in cui la personalità autoriale di Cave si sia espressa con la potente indipendenza del vero maestro.
Citeremo ancora solo due esempi: "The Mercy Seat", il delirio degli ultimi istanti del condannato a morte, vero capolavoro nella sua semplicità quasi da cantilena infantile, non a caso omaggiato dal maestro Cash nella sua antologia del canto americano contemporaneo;
e soprattutto "Oh, Lord", una delle vette dell'abilità lirica di Cave di calarsi nei panni del posseduto, del peccatore, dell'omicida, dell'indemoniato. Un vertice di parossismo, una catabasi senza redenzione, un crescendo intollerabile di autodistruzione: raramente l'arte musicale moderna è riuscita a rendere con tale lacerante icasticità l'assordante deflagrazione dell' inferno interiore, il cortocircuito suicida tra la repellente normalità e l'irriducibile follìa dell'individuo.