PREMESSA/RECENSIONE/ABBRACCIO
Sono un uomo fortunato.
Per chi ama come me i classici (ed è quindi costretto a immaginare dialoghi unicamente interiori con saggi indiani del 6.000 A.C., poeti greci dell'età di Pericle, nel migliore dei casi filosofi morti nel primo dopoguerra), è una rivelazione illuminante e gioiosa incontrare fisicamente, nella bieca contemporaneità in cui siamo violentemente sbattuti, degli autentici alfieri del Bello, dei paladini della Gioia, dei custodi del Buon Gusto, degli irriducibili cavalieri dell'Intelligenza.
Dopo Massimo
Palma e il suo imperdibile "Berlino Zoo Station" (ne abbiamo parlato, è il caso di
dire, diffusamente QUI), ho avuto il piacere di scoprire un
altro libro meraviglioso, completamente diverso per stile, contenuti e
atmosfere, ma che mi ha conquistato con lo stesso ardente entusiasmo: "La Parmigiana e la Rivoluzione -
Elogio della Frittura ed altre pratiche militanti". L’autore, Daniele De Michele, in arte Don Pasta Selecter (trovate il suo sito QUI), andrebbe protetto dall’Unesco come patrimonio dell’umanità: è una fortezza di
Masada ambulante nei confronti del brutto, della stupidità, dell’insensata
negatività che possiede il mondo moderno.
Dire che il libro sia un semplice libro di ricette accostate a
canzoni o artisti sarebbe come dire che “The
Times they are-a changin’” è un disco per voce, chitarra e armonica.
E’ vero, o meglio è reale, ma non è vero: è un dato morto, indifferente, un catalogo funebre, un’etichetta che non può catturare il Bello e il Vero. S’ignorerebbe tragicamente il senso, l’importanza, la poesia ruvida e infuocata, la deflagrante potenza di quelle canzoni.
E’ vero, o meglio è reale, ma non è vero: è un dato morto, indifferente, un catalogo funebre, un’etichetta che non può catturare il Bello e il Vero. S’ignorerebbe tragicamente il senso, l’importanza, la poesia ruvida e infuocata, la deflagrante potenza di quelle canzoni.
Questo libro è molto di più: un manifesto, un progetto culturale,
un prontuario di gioia, un vademecum di buonumore, un atto d’amore.
Libro italianissimo eppure pervaso da un respiro internazionale e ispirato da
un vissuto cosmopolita, impregnato di tradizione nonostante sia un inno al
meticciato (o viceversa, come preferite), è lo specchio fedele dell’anima
potente e gentile dell’autore.
Quando lo incontro, al Bar Marani,
in una S.Lorenzo immersa nel primo
squillante sole di un pigrissimo fine giugno, mi appare sorprendente e
familiare. Sorprendente, perché leggendo il libro me lo aspettavo fiero, sanguigno,
caciarone e rustico: e lo è. Ma nel contempo è anche elegante, sottile e
cortese, parla un italiano forbito, impeccabile, speziato d’ironia e condito da paradossi,
addolcito da un erre moscia che me lo rende subito fraterno, innaffiato da una
pronuncia velatamente francesizzata delle vocali, ma inasprito al punto giusto
da improvvisi scoppiettii di vernacolo meridionale (romano d’adozione,
napoletano per celia, salentino d’orgogliosa origine) che esplodono al momento
giusto con tempi comici magistrali.
Familiare perché un uomo che scrive
un libro del genere, che ama il soffritto e Dylan, che scrive un libro di
ricette golosissime e le associa ai miei cantanti preferiti, uno scrittore
generoso, entusiasta, innamorato del Bello, del Buono, che lotta col sorriso, a
testa alta, contro l’ottusità
dell’industria alimentare, contro l’insensatezza dei pregiudizi etnici, contro
tutte le mafie e le chiese che sono in primo luogo gabbie nella nostra mente,
uno scrittore che davvero prova a spezzare le manette della mente, ma lo fa ridendo mentre ti offre un piatto squisito cucinato con le sue mani dopo aver
chiesto la ricetta a una vecchietta di un paesino in cima al mondo….beh, non
può che essere stato uno dei miei migliori amici in una vita precedente.
Un autore che fa una battaglia
culturale seria, giusta, concreta, affondando nelle radici antropologiche più
radicate della comunità umana, restituendocele nel silenzio interiore creato
dall’ascolto d’un canto antico, e nella semplice meravigliosa soddisfazione di
mangiare, con gioia e rispetto, i frutti della terra.
Un libro che, nella sua gioiosa disinvoltura,
sembra rispondere con una battuta alla drammatica urgenza posta da Antonin
Artaud: "Mai come oggi si è parlato tanto di civiltà e di cultura, quando è la vita stessa che ci sfugge. E c’è uno strano parallelismo tra questo franare generalizzato della vita, che è alla base della demoralizzazione attuale e i problemi di una cultura che non ha mai coinciso con la vita e che è fatta per dettare legge alla vita. La cosa più urgente non mi sembra, dunque, difendere una cultura, […] ma estrarre da ciò che chiamiamo cultura delle idee la cui forza di vita sia pari a quella della fame”.
Un libro, soprattutto, la cui
bellezza dura nel tempo, entra nella nostra quotidianità: da quando l’ho letto
sono diventato un cuoco migliore (e chi mi conosce sa quanto io sia vanitoso a
riguardo), e ho scoperto o riscoperto autori musicali che avevo sottovalutato o
accantonato per anni.
Un libro, è presto detto, che
aumenta la qualità della nostra vita.
Concludo questa doverosa introduzione con una imbarazzata confessione: devo recuperare colpevolmente la tardiva recentissima
scoperta di un capolavoro italiano (scoperto, guarda caso, grazie all’amico che
mi segnalò “Berlino Zoo Station”): “Il Mondo salvato dai ragazzini” di Elsa
Morante. Faccio pubblica introspezione: aver scoperto questo libro a 34 anni,
dopo che mi è passato sotto gli occhi almeno un milione di volte, dopo aver
esplorato i libri di tutti gli autori che frequentavano la Morante (dall’odiato acume Moravia alla ammirata intelligenza profetica di Pasolini passando per l'adorato genio di Carmelo Bene), beh, ciò fa di me
oggettivamente un ritardato. Quantomeno, un ritardatario.
“… perché i Felici Pochi sono indescrivibili/ Benché pochi,/ ne esistono d’ogni razza sesso e nazione/ epoca età società condizione/ e religione./ [...] pure quando siano volgarmente intesi brutti,/ in REALTÀ sono belli, ma la REALTÀ/ è di rado visibile alla gente./[...]/Difatti gli F.P. sono accidenti fatali dei Moti Perpetui/ semi originari del Cosmo, che volano fra poli fantastici, portati dal capriccio dei venti,/e germogliano in ogni terreno./Ma assai più spesso tornano/ in certi orienti (barbari) e oscure zone (depresse)/ dove non s’ha il vizio d’assassinare i profeti/ né di sterminare/ i poeti.”
Ci accompagna, testimone discreto e graditissimo Guido Turus (di cui
parleremo presto), che lo ha appena intervistato per Bioresistenze (l'intervista molto interessante dal punto di vista economico-politico la trovate
QUI)
CZ E' un grandissimo piacere essere con Don Pasta, autore di questo libro bellissimo.
Io in realtà sono qui a reclamare la mia percentuale come account perché l'ho consigliato a tutte le persone che conosco, quindi se noterai un consistente aumento delle entrate tienimi presente
DP E' un piacere per me essere intervistato da uno che scrive un libro ad ogni articolo!! Solo un pazzo può scrivere l'articolo lunghissimo che hai scritto su Dylan!!
(si riferisce a questo QUI)
CZ Ti ringrazio!
La prima cosa che vorrei dire è che io sono un tuo seguace "ante litteram" , ho ritrovato nel libro una sorta di Vangelo di una fede che io spontaneamente seguo da anni....mi riferisco al mantra esistenziale che per risolvere i problemi basta aggiungere un pò d'olio....il mio aspetto denuncia questa mia attitudine, mia moglie ha chiesto diversi preventivi per sottopormi a liposuzione...volevo appunto chiederti se potevi enucleare questo concetto: L'importanza del soffritto come base della cultura e dell'identità italiana
DP Si, effettivamente, hai detto bene, secondo me, proprio in quest'epoca di regionalismi esasperati, l'unione italiana si basa sul soffritto. Ma proprio perché è impossibile smentirla: nessun padano potrà sfidare questa evidenza...cambia effettivamente il grasso utilizzato, cioè si può utilizzare il lardo, la sugna (grande amore per la sugna!), ovviamente l'olio di oliva, il burro...però tutti rispettano il punto che la cucina italiana si basa sul soffritto. Secondo me è questa la nostra grande caratteristica che io, vivendo in Francia,cerco di spiegare: è inutile parlare di cucina italiana se non imparate questa regola di base che è il soffritto. E in effetti questo soffritto secondo me funziona...se si aggiunge olio. Per esempio, una pasta al sugo, secondo me funziona se si vede alla fine il bordo giallo, altrimenti... è nichilismo.
CZ Scusa, devo comprare un pacchetto di Kleenex, mi sto commuovendo.
Due domande fondamentali sul soffritto. La prima:
vogliamo fare una raccolta firme, tipo quelle che sottoscrive Saviano, per la reintroduzione dello strutto nelle mense scolastiche?
DP Si, si, difatti ora su "Change" dobbiamo lanciare una petizione sull'uso dello strutto. Mi accorsi del problema dello strutto quando una volta dovevo fare i pasticciotti, i pasticciotti salentini, un dolce tecnicamente molto semplice: pasta frolla e crema pasticcera, ma con questa leggerezza insolita della pasta, questa fragranza, che non si trova per esempio nelle crostate romane, che sono molto dure, mi resi conto che la base di questa leggerezza, di questa fragranza era lo strutto.
Andai dal macellaio a Roma e chiesi dello strutto.e lui mi rispose: "Non lo facciamo". Io risposi che lo strutto è insito nel maiale, non è che lo devi produrre...
CZ Si procuri un maiale...
DP ...ma lui mi rispose: "Non se lo compra nessuno". E li mi resi conto della gravità, perché molte cose acquisiscono un gusto migliore proprio grazie allo strutto. Detto ciò, la gente potrebbe pensare: "Ma questo mangia sempre grasso!", e invece è completamente falso. L'uso di uno strutto sano si fa ovviamente con ponderazione, è completamente folle questa idea che usare lo strutto o friggere voglia dire mangiare pesante. Hanno completamente travisato il concetto di uso dello strutto. Lo strutto, la sugna, il grasso uno li usa poco, mica ogni giorno...però quando uno deve fare le cose per bene le devi fare per bene, e quindi..usi la sugna!!!
CZ Standing ovation interiore.
Domanda ora più tecnica; nel soffritto aglio e cipolla come convivono? E' una deformazione orientale, o anche nella nostra tradizione possono essere compresenti?
DP Questa è la domanda più difficile che mi è mai stata fatta.
Intanto, non c'è una regola. Ci sono litigi sconvolgenti già solo sull'uso dell'aglio o della cipolla in sé, ad esempio nel sugo. Con un napoletano ho rischiato pesantemente la perdita dell'amicizia, perché prediligono l'aglio e non la cipolla. Là c'è una questione di educazione familiare, non c'è nulla di più complicato che infrangere delle regole familiari sull'uso del soffritto. Noi per esempio nel sugo mettiamo la cipolla, ma quando ho provato a spiegarlo al napoletano "nun me capiva", ripeteva: "No, se mette l'aglio!". Insieme, si possono usare in alcuni piatti, possono dare risalto ad esempio se si fanno i saltati di legumi, di ortaggi, l'unione spacca! Danno due sapori diversi, e quindi è come si utilizzassero i piselli e le fave, danno una composizione diversa di sapori. Sul sugo, per esempio, ne metterei solo uno, non ce la farei a metterli entrambi.
CZ Nella Carbonara ce la metteresti la cipolla?
DP No.
CZ Nell'Amatriciana (da romano faccio domande per locali)?
DP Nell'Amatriciana...ci può stare. Un'altra cosa importante: un'altra petizione importante che io farò è: quando dicono che non bisogna sfumare l'aglio perché diventa tossico...con tutte le cose che ci mangiamo, mi rompi il....perché non posso bruciare l'aglio?!!
La pasta con le cozze se non bruci l'aglio che senso ha....è l'asse portante la bruciatura dell'aglio! Anche nelle orecchiette con le rape, aglio e acciughe....devi brucià l'aglio...sennò, come dire...sei un cojone!
Quindi altra petizione su...
CZ Ch-ch-changes!
Un'aspetto interessantissimo nel libro è la menzione de "La Terra del Rimorso" di Enrico De Martino, in cui lo studioso, da marxista, lamentava lo smarrimento della tradizione magica popolare, delegata unicamente alla acquisizione della Chiesa. A te che provieni da terre pregne di cultura magica, chiedo: quanto la cucina è alchimia?
DP E' alchemica e messianica. C'è un elemento mistico, ma nel senso profondamente umano. Non c'è niente di metafisico, né di religioso, nella misura in cui il termine religioso implica una delega a qualcun altro.
CZ Certo, magari nel significato etimologico (da "rilegare", unire) che è molto più bello.
DP ...nel senso di dimensione irrazionale, assolutamente si. La cucina è completamente irrazionale...chiedi una ricetta a una signora, è un suicidio!! Non ti dà mai una dose precisa...una volta a Palermo chiesi a una signora una ricetta che era qualcosa di sconvolgente, lei mi rispose: "Me la sono sognata stanotte!" E quindi non sapeva dirmi nulla...
CZ Ci vorrebbe Jung...il regno della pura intuizione!
DP..e li ti rendi conto che si tratta di una dimensione irrazionale, e consapevole allo stesso tempo, in cui c'è una conoscenza ancestrale di gesti antichissimi ma insieme c'è qualcosa che può accadere solo in quel momento preciso. Un elemento emotivo che, tra l'altro, si collega al fatto che stai cucinando anche per gli altri. C'è questo elemento affettivo che rende quel piatto (teoricamente realizzato da una mera serie di gesti e ingredienti) qualcosa di completamente irrazionale e profondamente umano. Mai riproducibile nello stesso modo. Quindi, in questo senso, alchemico.
Per me ormai è come il "Libretto Rosso" |
CZ Credo potrei scrivere un articolo a riguardo più lungo di quello su Dylan...mi vengono in mente McEnroe nel tennis, o Baudelaire in poesia...superare la forma attraverso la perfetta conoscenza della forma stessa...trascendere le costrizioni della forma attraverso il perfetto dominio della prassi...
DP Infatti, McEnroe non l'ha mai detto, ma insieme a Coltrane ha mangiato la parmigiana di mia nonna (grande leitmotiv del libro NdT)...prima delle più grandi vittorie mangiava sempre la parmigiana di mia nonna...per lui era come la banana di Chang...
CZ AHAHHA...Non mi ricordo invece quale giocatore una volta agli Internazionali di Roma stava per vincere con Federer tipo per la prima e unica volta...e si dovette ritirare per indigestione da straccetti hahahah---
DP hahahahahahah!!!
CZ Ora, affrontiamo il cuore del libro: questa bellissima intuizione di accostare ricette ad artisti musicali (già ti aspetti la domanda che ti farò ovviamente...)...vorrei che ci parlassi della cucina come sinfonia! Non solo la ricetta, ma proprio la gestualità del cuoco (c'è un brano bellissimo nel libro quando descrivi il parmigiano che scende dall'alto come neve, quasi come manna...). Quanto c'è di artistico e di "compositivo" nella cucina?
DP Beh, certo, sicuramente l'elemento sinfonico è nei passaggi, nelle diverse fasi...
CZ Infatti, il libro stesso è costruito, ritmato quasi, sui movimenti di una sinfonia...
DP Esatto. Dal momento dell'acquistare, anzi, dal momento di pensare cosa cucinare. Poi, il momento dell'acquistare, e quindi il cambiamento improvviso, perché non trovi l'ingrediente che ti serve. Poi, il momento del cucinare, e il momento dell'offrire. Già questa è una sinfonia. All'interno di ogni movimento c'è una serie di momenti emotivi, quindi è sinfonica perché ogni momento ti porta a vivere un differente stato d'animo.Quando ho cominciato a parlare di cucina e musica mi riferivo soprattutto all'atto del cucinare e non del consumare. E poi c'è l'altra sotto-sinfonia che sono: antipasto, primo, secondo e dolce.
CZ L'antipasto è l'ouverture...
DP Rappresentano degli stati emozionali che cambiano radicalmente...
CZ Sempre collegato al discorso alchemico, è come se fossero le diverse fasi dell'Opera...
DP L'antipasto di fritto è "Allegro", poi viene ovviamente il "Largo"...
CZ Un elemento per me di grande interesse, collegato sempre al discorso della cucina come superamento delle identità regionali, è il fatto che tu colleghi i piatti della tradizione nostrana ad artisti in realtà di tutte le culture e i paesi (...splendida la citazione ad esempio del grande Nusrat Fateh Ali Khan). Le tue origini sono nel Salento, Carmelo Bene parlava di "bisticcio etnico" a riguardo (lo trovate QUI). Tu pensi ci sia una ricchezza (al di là degli abusati luoghi comuni) costitutiva, etnicamente, che possa ispirare una forma mentis come la tua, capace di tali associazioni per me intuitive, ma per molti magari assurde...
DP La domanda è bella, e me la sono posta tante volte. Teoricamente, il Salento è un luogo arretrato, di destra, così è sempre stato. Mi cambiò completamente l'opinione del Salento, lo racconto nel libro, quando ci fu l'arrivo degli albanesi. Un momento drammatico, in cui al contrario del Nord è già di per sé una minaccia a prescindere, per noi la prima reazione è stata il gesto dell'offrire: "Questi stanno arrivando dopo un viaggio allucinante...diamogli da mangiare, poi vediamo che succede!" . Non ci si è posti proprio il problema. Parlando con un leghista, col quale teoricamente ci si poteva parlare, rimasi sconvolto, compresi il concetto dei gesti ancestrali fra i cattolici...
CZ Infatti, deriva dalla Magna Grecia, ancora prima dall'India, l'idea che l'ospite è sacro, perché in esso può celarsi il dio...
DP Esatto. Leggendo l'"Odissea" infatti mi sono reso conto che ad ogni tappa del suo viaggio ad Ulisse offrono le braciole, lo accolgono un canto e del vino. Questo aspetto è profondamente radicato in Salento. La caratterizzazione del Salento fondamentalmente è quella di un'isola abbandonata, sottosviluppata, ci si impiegavano ore per arrivarci, in un'arretratezza devastante. Questo ha favorito il mantenimento di codici ancestrali, antropologicamente immutati, al contrario di altri luoghi che li hanno smarriti nello sviluppo. Questo ha creato il corto-circuito rispetto alla contemporaneità: nel momento in cui la contemporaneità non sa rispondere a determinate dinamiche, ti rendi conto che nei meccanismi ancestrali si risponde in maniera equilibrata.
CZ Certo, poiché è una saggezza eterna. Quindi, è sempre attuale.
DP Ed è di tutti. Non è che il fascista non ce l'ha. E' pre-politica e pre-cattolica. Il che rende questa zona particolare. Chiaramente, luogo di mare, luogo di invasioni...non so dire se c'è un discorso culturale, di sovrastrutture che si siano create, ma sicuramente la persona che arriva non è considerata un nemico. Anche l'invasore, a un certo punto t'insegna qualcosa. Non so perché, ma è un popolo tollerante. Tollerante perché curioso. Il mio lavoro nasce proprio dall'attitudine di non porsi il problema di una cosa, prima che avvenga. Ciò che in Maghreb esprimono con "Inch'Allah!".
CZ Arriviamo alla domanda clou...
...noi ci siamo conosciuti tramite Laura Cionci (di cui abbiamo parlato QUI )e al mio delirio fluviale su Dylan...tu lo citi nella prefazione, però nel libro manca una ricetta su di lui...Ora è vero che come correttamente illustrato in "I'm not there" Dylan è una Sfinge dai numerosi aspetti, non so se puoi riassumerlo in una ricetta...a quale piatto istintivamente lo assoceresti? Puoi anche dividerlo in periodi, se vuoi...prima e dopo la svolta elettrica etc...
DP Hahahahahhaha! Premetto che stava nei primi due libri: in "Food Sound System" e in "Wine Sound System". Nel primo lo associavo al risotto con gli asparagi selvatici. "Blowin' in the Wind" diventava ovviamente "Blowin' in the Wine"! Ci tengo a dire questo: cosa mi rende assolutamente folle riguardo Dylan? Innanzitutto che qualsiasi musicista successivo negli anni'60 e '70 lo considerava una sorta di divinità..
CZ ESATTO! Lo dico sempre...
DP Jimi Hendrix...
CZ John Lennon...
DP I Rolling Stones...
CZ e DP in coro: TUTTI!
DP ...ma anche nei gruppi garage, tutti facevano le cover di Bob Dylan...ha sconvolto la Storia... ma perché non gli danno il Nobel?!
CZ Ma infatti la cosa che dico sempre quando parlo della grandezza unica di Dylan è: non è che lo dico io!!! Tutti i più grandi dicono che lui è il più grande. Magari, a uno può piacere più, che so, Neil Young o Leonard Cohen, ma che lui sia il Cantautore Padre è oggettivo.
DP E' come Omero.
CZ Fernanda Pivano diceva: "è l'Omero del XX° secolo".
DP Una cosa che spiega benissimo il senso del lavoro è alla fine di "I'm not there"...si mostra tutto il tempo quanto lui abbia lottato contro il ruolo di "Salvatore della Tradizione" al quale era stato relegato...lui dice una cosa che ogni volta che lo vedo piango: non puoi salvare la Tradizione, è la Tradizione che salva te, perché è un movimento popolare, irrazionale che per raccontarti ti parla, ora non ricordo esattamente, degli orologi come cocomeri...la musica tradizionale non ha bisogno di essere protetta, è sacra. Ma è sacra nel movimento intimo delle persone (QUI trovate il brano alla fine della pagina in inglese), e quindi lui che fu al contempo il più grande scopritore e il più grande violentatore della tradizione
CZ Proprio il profanatore del Tempio a Newport...
DP...esatto, per me quello è stata la più grande lezione sul senso del mio lavoro. A me una volta chiesero di fare un lavoro sulla tradizione salentina, e per me i Sud Sound System sono la più grande esperienza a riguardo, proprio perché la pizzica era scomparsa, e attraverso di essi che mettevano gli stornelli sul Ragamuffin' si riscoprì completamente l'orgoglio e la coscienza del popolo. Ancora una volta, l'elemento democratico dell'oralità, come del cibo. Per me oralità e cibo fanno parte di questa sapienza democratica e popolare.
Quindi, Dylan diceva in fondo non c'è proprio bisogno di parlare di Tradizione, la Tradizione è nei fatti. Il pericolo, chiaro, è quando si rompe, ma l'oratore, il raccontatore della Tradizione per forza di cose deve discostarsi da essa, per poterla raccontare. Ma ce l'ha dentro, è qualcosa che si tramanda attraverso il movimento intimo delle persone. Quel bellissimo discorso di Dylan mi permise molto di pormi di fronte alla Tradizione in modo sano e onesto.
Io devo tutto alla Tradizione, e proprio per questo posso mischiarla.
CZ Comprendo perfettamente.
DP Come ricetta: per la prima parte della sua storia secondo me era corretto il risotto con gli asparagi selvatici, un piatto buffo. Teoricamente il risotto sappiamo è del Nord, ma gli asparagi selvatici hanno per me una storia familiare molto buffa. Mia nonna, come ogni autentico raccoglitore di asparagi, non rivela il luogo della raccolta, deve rimanere segreto. A un certo punto, per arrampicarsi, scivolò e si ruppe una caviglia , ma pur di non rivelare il posto tornò a casa con la caviglia rotta. E là fu obbligata a 80 anni a prendersi un cellulare, ma la cosa impotante era non rivelare il posto segreto. Quindi, il risotto con gli asparagi è la cosa più tradizionale in quanto assolutamente selvaggio...il primo Dylan era brutale, era la perfezione della semplicità...
CZ La spontaneità assoluta...
DP Spontaneità, ma di una perfezione assoluta...l'equilibrio, il risotto con gli asparagi è delicatissimo, quindi bisogna lavorare molto sugli equilibri, che sono infinitesimi...e che Dylan era in grado magnificamente di gestire, una macchina perfetta a partire da niente...
CZ Due accordi, una voce "stonata"...
DP Uno che "non sapeva cantare" ed è diventato il più importante dei cantanti...la seconda fase, che è altrettanto importante..."Like a Rolling Stone" è qualcosa di sconvolgente per l'umanità intera!...(prende tempo per riflettere)....qui ci devo mettere del meticciato...è poi una canzone lunga...direi la Scapece, le sarde alla scapece...una versione delle sarde in saor, in ogni nazione mediterranea c'è questa parola, che tra parentesi è ebraica, in cui per conservare il piatto, intanto friggi, poi metti aceto, pane vecchio, zafferano, quindi ci sono tutte le regole fondamentali: il meticciato, la conservazione, la frittura...hai la sintesi dell'umanità, e quindi della musica...e quindi Bob Dylan. Qualcosa di assolutamente meticcio e assolutamente antico. Come "Like a Rolling Stone". Non è che Dylan avesse dimenticato la Tradizione, ci stava assolutamente dentro, cambiava semmai la forma, nell'essenza ribadiva di essere sempre se stesso.
CZ Infatti, Johhny Cash, alfiere e custode della Tradizione, diceva di non rompergli le scatole, "il ragazzo sa quel che fa" (QUI trovate le sue celebri e splendide parole sul giovane Dylan)
DP Appunto. Ma perché nel fondo non c'era nessuna rottura. Era la gente che era pazza, erano fanatici in maniera surreale, come si può vedere. E' anche vero che lui aveva talmente scombussolato l'identità delle persone che questi lo vedevano come un dio in terra. Ma era un problema loro, non era un problema suo.
CZ Esatto.
DP ...E quindi la Scapece mi piace perché è tradizionale e meticcia, popolare e raffinata allo stesso tempo, è rock e molto complessa, come appunto le sarde in saor, la pasta con le sarde siciliana... ci sono equilibri interni che raccontano tutta la storia dell'umanità.
CZ Già che ci siamo: Bowie come lo cucineresti?
DP Ti confesso di non essere un grande grande amante di Bowie, ho sempre avuto un rapporto un pò conflittuale...per carità un genio, ma l'ho cominciato a conoscere tardi, venivo dal punk, era troppo "raffinato" per me...più andavo avanti però mi rendevo conto che era un genio assoluto, troppo complesso rispetto al mio gusto...quindi l'ho sempre visto come un'amante, non una relazione stabile, ma contrastata...mentre adesso ho cambiato i miei gusti, li ho sviluppati, quindi quando ascolto Bowie dico solo: "E' meraviglioso!" . Allora, direi ovviamente una cosa raffinata. Vivo a Tolosa, la patria dell'anatra, anche questo piatto che nasce popolare. Ricordiamoci che Bowie è un raffinato ma non "fighetto", anch'egli a suo modo punk, ribelle...
CZ Beh, con "Rebel, Rebel" ha scritto proprio l'inno di quella generazione, anche se in anticipo...
DP L'anatra, al contrario di quello che si possa pensare, è assolutamente un piatto popolare, è il piatto più povero che si possa pensare. Tra l'altro, l'anatra si cucina nel suo grasso, che è leggerissimo in realtà. Anatra, ovviamente all'arancia, che è un piatto complicatissimo da realizzare, ma io lo faccio così: conservo un pò di grasso dove cucinarla, ci metto delle scorze di arancio (trucco che ho imparato in Maghreb), taglio in fettine molto fine e cuocio nel succo di arancia. Secondo me è allo stesso tempo dolce e amaro, si sentono proprio basso e batteria forti...
CZ Bowie classico anni'70, con Mick Ronson...
DP Si, Bowie anni '70. Un piatto rock, ma elegante, sobrio, solido, nel senso vero, con alla base basso e batteria.
(In questo momento nel bar appare Laura Cionci!!! Effetto "Carramba che sorpresa!" I due non si vedevano da dieci anni....)
Mi appoggio a due colonne: Laura Cionci e Don Pasta |
CZ A questo punto domanda obbligatoria. Tu hai deciso di trasferirti a Tolosa. Come vivi questo tuo essere esule, con rimpianto o convinzione?
DP Lo vivo in maniera drammatica e conflittuale. In realtà, è un piccolo esilio, non ho problemi drammatici...ma come dire: me rode er culo!
L'esempio emblematico è "Soul Food", avevamo fatto un lavoro lunghissimo per parlare di resistenza attraverso l'agricoltura, realizzando progetti importanti, l'anno scorso portando detenuti a cucinare fuori durante le "cene carbonare", etc... Al di là degli artisti prestigiosi che hanno partecipato, non ci hanno mai dato un finanziamento, non ci hanno mai cercato..
CZ In Italia, dici...
DP In Italia. Come se non esistessimo. Come se non fosse un progetto, non dico importante, ma culturalmente e socialmente utile. Questa è la ragione per cui me ne sto in Francia, perché in Francia come succede ogni volta un progetto così me lo finanziano! E questo mi permette di vivere in maniera coerente il rapporto fra arte e società. Per la cultura francese è fondamentale che gli artisti possano vivere in maniera coerente la loro dimensione e portare i dilemmi attorno al rapporto tra arte e società
In Italia, non gliene frega niente. Ogni soldo viene speso all'interno di un sistema di clientele, a destra come a sinistra, quindi il dramma è che me ne devo stare in Francia, perché qui non si possono fare lavori seri e svilupparli serenamente. Mi manca tantissimo l'Italia.
Quando faccio le cose in carcere in Francia mi pagano, qui lo fai se hai voglia di farlo, solo l'idea che un artista possa dare il suo contributo e campare di questo onestamente qui è una barzelletta. Non si pongono proprio il discorso: soldi = bene pubblico, soldi = strumento per far bene alla comunità. Si è rotto proprio il meccanismo. In Francia, devo dire, il soldo pubblico per la cultura serve per sostenere democraticamente la comunità.
CZ Il paradosso evidente è che i paesi culla della cultura europea, Grecia e dopo Italia, sono quelli che investono meno nella cultura, e non a caso soffrono economicamente. Il paradosso più osceno.
DP Quindi, l'esilio lo vivo male. Il mio lavoro è legato alla cultura popolare italiana. Lo spettacolo sulla parmigiana in Italia me lo ha finanziato l'ambasciata di Francia!!!
CZ In Italia?
DP A me il tour in Italia me lo ha finanziato l'ambasciata francese! E stavo male, non me lo sono goduto per niente. Per loro è normale, attraverso il finanziamento pubblico tu usi soldi per creare bellezza per tutti. Alla Provincia di Roma, con tutti gli assessori presenti alla manifestazione, niente.
CZ Ultima domanda, chiudiamo in allegria.
Ma la famosa foto col pugno chiuso e la presina...è un omaggio a Frank Zappa?
DP CERTO!!
Abbracci, commozione, esplosione d'amore fraterno!
Concludiamo con un brano indimenticabile del libro, che per noi, è proprio il caso di dirlo, ha il sapore di un manifesto: "Abbiamo bisogno di spiriti insoddisfatti dai realismi. Di barattoli conservati a bagnomaria, senza bisogno di microonde. Mettiamo a disposizione il nostro savoir faire. Esperti e pluridiplomati in cazzeggio.
...Siamo paladini della chiacchiera inutile. Siamo il partito degli occhi rivolti verso il cielo.
Siate carbonari sino in fondo. Esercitatevi alla perdita del tempo.
E soprattutto, strutto, strutto, strutto.
Votate Donpasta!"
Finalmente, un candidato degno di rappresentarmi!
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