giovedì 24 luglio 2014

DON PASTA dal vivo a Roma!




L'ultima volta che avevo pianto e riso contemporaneamente ad uno spettacolo era stato nel 1998, per il Pinocchio di Carmelo Bene.


Il miracolo si è nuovamente verificato due sere fa, per grazia di Don Pasta, a Villa Mercede a Roma.
Un uomo capace di commuoverti mentre soffrigge i friarelli merita davvero tutta la nostra attenzione.

Quando poco più di un anno fa chiesi, a questo adorabile Dj cuoco filosofo e performer naturale, quali erano le sue riflessioni sullo strutto (in QUESTA fluviale conversazione), non pensavo che un giorno mi sarei ritrovato a urlare tre volte col pugno chiuso con lui, al termine di un suo comizio improvvisato su una sedia: "Strutto! Strutto! Struttoooo!".
Dal soffritto a Bob Dylan, in mezz'ora si manifestò l'agnizione di una empatia fraterna.


Non c'è miglior modo di omaggiare un artista e rispettare un amico che quello di seguire i suoi consigli. Per cui, per una volta, arginerò la mia grafomania e vi presenterò solo alcuni lampi, spero illuminanti, di sensazioni sulla sua accalorata performance.

Don Pasta si è probabilmente calato con una fune sul palco, visto che lo spettacolo si svolge nella "sua" S.Lorenzo, a pochi passi dalla sua abitazione.
Ogni suo gesto trabocca entusiasmo, conoscenza, ironia, un umanissimo e fiero amore per ciò che è bello. La sacrosanta rabbia verso l'ingiustizia imperante è convertita sapientemente in uno sberleffo rinfrancante, che pur essendo genuinamente popolare possiede una inesorabile raffinatezza.


Mentre la band (bravissimi tutti!) incanta il pubblico con la straziata poesia metropolitana di Coltrane, Don Pasta prepara il soffritto, con ieratica concentrazione, e fa la pasta a mano, frenetico come un fauno eppure solenne come l'officiante del più antico culto.
Mescola gli elementi sulla padella senza appendici di legno, con le nude mani, come uno sciamano che controlla gli elementi, reso immune al dolore dalla passione che infonde in ogni minimo gesto dell'alchimia culinaria.
Lo stregone, taglia, sminuzza, impiatta al ritmo della musica, divenendo tableau vivant, significante immediato dell'arte quotidiana di nutrire chi si ama.
Quando, al culmine dell'intuizione sinestetica, porta il microfono sulla padella soffriggente, l'effetto sonoro, mescolandosi alle variazioni jazz del sassofono, è sospeso tra una sperimentazione à la Tom Waits e un brano strumentale da meditazione.
Più volte, durante lo spettacolo inframezzato dai suoi monologhi colti e paradossali sul valore rivoluzionario della cucina popolare, ci appare come Eric Cantona posseduto da un Lenny Bruce nostrano, altrettanto sanguigno ma più benevolo dell'originale.
L'empatia assoluta si realizza quando, a piatto concluso, si aggira per il pubblico imboccando gli astanti come un sacerdote blasfemo: "Hai peccato? Peccherai?". Ma nella sua goliardica irriverenza anticlericale non c'è nulla di satanico o negativo, è l'esplosione oltraggiosa e vitale della gioia di vivere. La gratitudine, il rispetto nei confronti della Madre Terra e la creatività messa al servizio dell'amore (uno dei più riusciti refrain della serata è "offrire qualcosa che si ama a qualcuno che si ama") rendono Don Pasta una molotov ambulante di energia positiva, pronta a ricaricarsi ad ogni pasto. C'è molto più spirito autenticamente religioso nell'imboccare un amico con dei friarelli ardenti che nell'inganno di secoli di dogmi artificiali.

Fotografia di Andrea Coppola

Al termine dello spettacolo, ci concede l'anteprima dell'introduzione alla sua ultima fatica, Artusi Remix (alla quale abbiamo avuto l'onore di partecipare QUI), sorta di enciclopedia tribale delle ricette antiche popolari, tentativo disperato eppure trionfale di conservare nell'era dei fast-food il patrimonio immenso della cucina popolare.
Le parole, appuntate poco prima sullo smartphone, vengono declamate con intenso orgoglio, e andrebbero trascritte, stampate e messe in evidenza in ogni classe elementare.
Quando Don Pasta ribadisce l'urgenza di non omologarsi mai, di mantenere la propria fiera diversità e identità, nel contempo opponendosi ad ogni becero fascismo o razzismo, i brividi salgono lungo la schiena come durante una sessione meditativa sull'Himalaya.

E a noi non rimane che andarlo ad cercare a fine show, meravigliosamente sudato e intriso di olio, con le macchie di farina che campeggiano come medaglie sulla maglietta de La Parmigiana e la Rivoluzione, e abbracciarlo come un fratello ritrovato.

2 commenti:

  1. Complimenti. Bella recensione. Condivido tutto ciò che hai scritto. Ho vissuto l'esperienza te lu "cornularu" (friarello) incandescente: un impeto di calore che ha avuto il sapore di un rito di iniziazione che mi ha inondato di peccato.

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